L'emersione del diritto comune delle intese
Autore | Francesco Alicino |
Pagine | 65-81 |
CAPITOLO SECONDO
L’ATTUAZIONE DELL’ART. 8 (C. 3)
DELLA COSTITUZIONE.
IL DIRITTO COMUNE DELLE INTESE
S I
L’emersione del diritto comune delle intese
S: 1. Fonte di diritto comune, ma non generale. – 2. L’emersione
del modello di intesa standardizzato. – 3. L’estensione del diritto comune
dell’intesa. – 4. I “culti ammessi” alla bilaterale negoziazione. – 5. La
revisione delle “vecchie” intese. Nel solco della standardizzazione. – 6.
Il diritto comune delle intese. Le ragioni di un “successo”.
1. Fonte di diritto comune, ma non generale
Concepito come congegno normativo teso a favorire l’esercizio e
la tutela del diritto alla differenza, l’istituto di cui all’art. 8 (c. 3) Cost.
si è con gli anni inverato in una disciplina, al contempo, uniforme
e premiale: sostanzialmente uniforme rispetto alla ristretta cerchia
delle confessioni titolari di intese; abusivamente premiale nei con-
fronti dei soggetti forti del pluralismo confessionale1. La tendenza
livellatrice del processo di attuazione del modulo convenzionale si
esterna così con un seducente richiamo2, amplicato dalla possibilità
di accedere «ai ticket della sub-negoziazione con lo Stato» e alle «ri-
1 G. C, La rappresentanza e l’intesa, in Islam in Europa / Islam in
Italia. Tra diritto e società, a cura di A. Ferrari, Bologna, il Mulino, 2008, p. 304.
2 N. F, Il pluralismo in materia religiosa nel settore del nanziamento
pubblico delle confessioni, in Diritto e religione in Italia. Rapporto nazionale sulla
salvaguardia della libertà religiosa in regime di pluralismo confessionale e cultu-
rale, a cura di S. Domianello, Bologna, il Mulino, 2012, p. 80. Sul punto si veda
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sorse economico-nanziarie di natura pubblica»3. Ciò signica che
il sistema delle discipline negoziate affascina i gruppi normatori per
quella stessa eccessiva e selettiva generosità che ne determina l’irra-
gionevolezza e il contrasto con il principio pluralista.
Ne consegue l’atteggiamento tenuto da alcune organizzazioni du-
rante i negoziati con i rappresentanti dello Stato: pur di accedere
all’ambita categoria di “culto ammesso” alla trattativa Stato-Chiese
e superare le restrittive disposizioni del 1929-1930, le confessioni
sono spesso disposti a rinunciare alle norme speciali di segno identi-
tario, poiché foriere di ostacoli verso la sottoscrizione dell’accordo4.
E questo spiega perché il contenuto delle nuove intese si limiti
spesso a ricalcare quello degli accordi precedentemente stipulati,
tutti facendo riferimento alla capola del 1984: all’intesa-tipo con
i rappresentati dalla Tavola valdese5, a sua volta informata – quanto
alla individuazione delle materie, ancorché le soluzioni siano state
differenti – alla coeva disciplina concordataria di Villa Madama ri-
guardante i rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica.
La stipulazione della prima intesa nel 1984 ha impresso le diret-
tive normative alla prassi governativa e parlamentare, scolpendo i
contenuti standardizzati di tutte le fonti negoziate, di cui si sono in
tal modo ridimensionate le capacità di onorare gli elementi identi-
tari6 delle confessioni interessate7. Il rapporto fra il mezzo (l’intesa)
e il ne (la libertà di fede) si è in breve rovesciato: divenendo l’intesa
non già lo strumento per soddisfare le speciche e peculiari esigenze
anche A. L, voce Sostentamento dei ministri di culto. Postilla di aggiorna-
mento, in Enc. giur., Roma, 2000, VIII, p. 2.
3 M.C. F, Libertà religiosa e società multiculturali: la risposta italia-
na, in Diritto e Religioni, 2009, n. 1, p. 429.
4 Supra, Cap. Primo, Sez. II.
5 Intesa approvata con la legge 11 agosto 1984, n. 449.
6 «Governo e Parlamento, in concorso tra loro, hanno nito con lo snaturare
le intese, pregurate nel disegno costituzionale quale strumento di partecipazione
democratica per regolamentare esigenze speciche di una confessione, e piega-
te invece al compito innaturale di dettare la disciplina generale dell’esistenza e
dell’attività di una confessione»; G. C, La rappresentanza e l’intesa,
cit., p. 303. Sul punto cfr. R. B, La condizione degli appartenenti a gruppi
religiosi di più recente insediamento in Italia, in Il Diritto ecclesiastico, 2000, I,
pp. 370-373.
7 Come dimostra chiaramente la Relazione al disegno di legge del 25 maggio
2000, sulla base dell’intesa stipulata fra lo Stato e l’Unione Buddhista Italiana
(UBI) il 20 marzo 2000, in Atti parlamentari della Camera dei Deputati, n. 7023,
su cui infra, Cap. Terzo, Sez. I.
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