Un caso emblematico di legittima difesa negata

AutoreAlberto Uccelli
Occupazione dell'autoreAvvocato del foro di Livorno
Pagine57-64

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@1. Il fatto e la sentenza di primo grado

Un caso di legittima difesa “negata” in relazione a una vicenda verificatasi nel 2001 consente di esaminare una prima reazione della giurisprudenza alla modifica legislativa apportata nel 2006 all’art. 52 c.p. L’episodio e la sentenza di primo grado sono anteriori alla riforma, mentre la sentenza di appello è stata emessa successivamente all’entrata in vigore della legge 59/2006.

La fattispecie, giudicata dal GUP presso il Tribunale di Livorno è così delineata nel capo di imputazione.

L.F. è chiamato a rispondere “del reato di cui a) all’art. 575 c.p. perché, esplodendo un colpo di arma da fuoco con il fucile caricato con muzionamento spezzato costituito da nove palle in piombo del diametro di millimetri 8,5 e del peso di grammi 3,75 cadauna cartucce del tipo a pallettoni e attingendo T.S. alla regione temporo-parieto-occipitale destra con una rosata parziale composta da cinque pallettoni e procurandogli così gravissime lesioni meningoencefaliche, cagionava la morte del predetto T.S., il quale si apprestava a fuggire, scavalcando il cancello di ingresso dell’abitazione della famiglia L.F. dove aveva tentato di introdursi allo scopo di commettere il furto…”.

L.F. è chiamato anche a rispondere di duplice tentato omicidio nei confronti di L.P. e B.M. “perché esplodendo un secondo colpo di fucile con l’arma di cui al capo che segue nella direzione dell’autovettura Ford Focus in sosta all’esterno della proprietà dei L., a bordo della quale si trovavano L.P. e B.M. in attesa di essere raggiunti da T.S. e attingendola con alcuni pallini del diametro di 2,3 millimetri, compiva atti idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare la morte dei predetti”.

A loro volta T.S. e B.M. erano imputati di tentato furto aggravato. All’udienza preliminare del 5 novembre 2002 B.M. patteggiava la pena per il furto mentre L.F. e L.P. richiedevano il giudizio abbreviato che il GUP integrava d’ufficio con una perizia balistica.

Il 17 giugno 2004 il GUP emetteva sentenza con la quale, in relazione al reato di omicidio volontario, ritenuto l’eccesso colposo in legittima difesa a carico di L.F., lo dichiarava colpevole del reato di cui all’art. 589 c.p. e, concesse le attenuanti generiche, lo condan-Page 58nava alla pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione. Assolveva L.F. dal reato di tentato omicidio volontario perché il fatto non sussiste e condannava L.P. per il tentato furto.

1.1. Vale la pena di ripercorrere la motivazione della sentenza: si vedrà così come in un caso abbastanza clamoroso (colpo di fucile che attinge alla nuca l’autore del tentato furto con cinque pallettoni), già la formulazione “tradizionale” dell’art. 52 c.p. consentiva di giungere a soluzioni di ragionevole equità, sulla scorta delle copiosa e consolidata giurisprudenza formatasi nell’arco di molti decenni.

Riportiamo quindi i passi salienti della sentenza: “Si deve perciò ricostruire il fatto nel senso che L.F., dopo aver visto almeno uno dei ladri già all’interno della sua proprietà e un altro in procinto di entrarvi, prese il fucile che teneva nella sua abitazione, uscì nel porticato ed esplose due colpi con cartucce caricate una a pallettoni e una a pallini (tale assunto è confermato sia dalle consulenze svolte nel corso delle indagini preliminari sia dalla perizia espletata nel corso del giudizio) attingendo con i pallettoni la testa del povero T.S. Appurato ciò, i problemi da affrontare in punto di fatto sono essenzialmente due: se il L.F. abbia esploso uno dei colpi, e segnatamente quello caricato a pallini, verso l’autovettura Ford Focus dei ladri in fuga e se il colpo esploso all’indirizzo del T.S. sia stato o meno accidentale”.

Per quanto concerne il reato di tentato omicidio il GUP così concludeva: “non vi è una prova certa sull’origine dello sparo che provocò i danni all’autovettura e vi è inidoneità degli atti posti in essere a determinare l’evento morte” quindi assolvendo L.F. perché il fatto non sussiste, sia pure applicando il secondo comma dell’art. 530 c.p.p.

1.2. Nel passare a trattare del reato di omicidio il giudice premette questa considerazione: “l’impossibilità di identificare con certezza l’origine delle tracce rinvenute sull’autovettura e, soprattutto, se la causa di tali tracce sia da ricercarsi in un colpo di arma da fuoco esploso da L.F., riverbera i suoi effetti anche sui fatti descritti nel capo A dell’imputazione e, cioè sulla condotta che portò al decesso di T.S. Infatti, se sicuramente i colpi sparati da

L.F. sono stati due (tale circostanza non è in contestazione), è necessario appurare quale deidue sia stato sparato per primo e se, secondo quanto si può rilevare da tutte le circostanze soggettive e oggettive rilevabili dagli atti processuali, si possa escludere l’accidentalità del colpo mortale così come sostenuto dalla difesa del L.F.”.

Giova a questo punto ricordare...

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