Efficacia e diritto del lavoro
Autore | Adalberto Perulli |
Pagine | 889-911 |
Adalberto Perulli
Efficacia e diritto del lavoro
S: 1. Le origini: Verità ed efficacia. - 2. L’efficacia come valore condizionato. - 3. Razionalità ed
efficacia. - 4. Efficacia economica: l’analisi economica del diritto. - 5. Le declinazioni dell’efficacia:
efficacia e ragioni valutative. - 6. Efficacia e nuova regolazione. - 7. Efficacia ed efficienza economica
del diritto. - 8. La funzione antropologica del diritto: per un mondo comune giustificabile.
1. Declinare il concetto di efficacia nel campo del diritto del lavoro richiede una
preliminare operazione di chiarificazione semantica, posto che la nozione in esame, ap-
partenendo ad una famiglia di termini che contempla numerosi sinonimi utilizzati nel
linguaggio comune, presenta una molteplicità di sensi, alcuni dei quali più consoni al
linguaggio (ed al metalinguaggio) giuridico, altri caratteristici dell’analisi economica,
altri ancora connessi ai paradigmi scientifici delle scienze sociali.
Efficacia designa anzitutto, in ragione della sua etimologia greca (kraínein) e latina
(efficere) l’attitudine a “far essere”, a produrre l’effetto sperato o atteso, dunque per
estensione, a raggiungere il risultato. L’efficacia è quindi fondamentalmente produttiva:
produce effetti di realtà, ed è questa la ragione per cui alle origini del pensiero occiden-
tale l’idea di efficacia è associata a quella di verità (alétheia). Essenza della verità è l’effi-
cacia, nel senso etimologico di ciò che “fa essere” la realtà, e tale antico legame – ripre-
so in età moderna nelle intuizioni di Bacone e di Nietzsche - appare di tutta evidenza
nell’era della tecnica, in cui la verità misura se stessa nell’ordine dell’efficacia1. Ma in
origine, il motivo della verità come efficacia potente si salda con l’idea di giustizia
(díke), nel senso che quando il discorso (la parola) è efficace – nel senso di “far essere”
o non essere – è anche conforme a giustizia, onde può dirsi che il criterio dell’efficacia
legittima il diritto. Al contempo, l’efficacia è razionale, nella misura in cui, nell’univer-
so delle azioni possibili, l’agire in conformità ad uno scopo è governato dalla valutazio-
ne dell’attitudine del mezzo rispetto al fine, e questa forma di razionalità strumentale è
regolata dall’efficacia, cioè dalla capacità di “far essere” ciò che si vuole. In tal senso
l’efficacia è anche il principio regolatore della razionalità strumentale, che controlla
l’idoneità dei mezzi rispetto ai fini.
Con l’epoca moderna e la dogmatizzazione dei concetti scientifici che si realizza a
cavallo dei secoli XVII e XVIII, l’idea di un’efficacia produttiva di realtà tende ad allon-
tanarsi rispetto al piano del discorso giuridico. Probabilmente, ancor prima che in ragio-
ne dell’evoluzione interna del pensiero giuridico, questo congedo è il portato della mo-
dernità e della logica scientifica, tale per cui l’ordine dell’essere è costretto a cedere
all’ordine della rappresentazione, nel senso heideggeriano di un tempo - la modernità,
appunto - in cui il mondo diventa immagine del mondo (Welt-bild), e la verità della cosa
non è più un es-porsi dell’alétheia ma un dis-porsi nel campo della rappresentazione
1 Su questi temi si veda, in una prospettiva teoretica, Galimberti 1999.
890 Studi in onore di Edoardo Ghera
anticipata dalla funzione legislativa della ragione2. Al contempo, muta anche la nozione
di ordinamento giuridico, che assume connotati teoretico-cognitivi trascurando, ed anzi
lasciando decisamente da parte, la nozione di sistema reale3.
Come ora cercheremo di dimostrare, nell’orizzonte attuale del linguaggio giuridico
il senso dell’efficacia, dopo aver perduto il suo connubio originario con i temi della ve-
rità (e dei suoi effetti di realtà), si declina in una serie di modalità pertinenti al problema
della definizione del diritto e delle sue categorie analitiche, recuperando sul piano
dell’analisi economica del diritto quell’idea di produzione di realtà valutabile in base alla
capacità della regola giuridica di garantire l’efficienza economica.
2. In una prima accezione giuridico-dogmatica, che accomuna tanto le teorie idea-
listiche che le teorie giuspositivistiche di stampo normativistico, l’efficacia designa la
creazione di un effetto, il quale si qualifica come valore condizionato (in generale a un
determinato fatto della realtà) che risiede sul piano del dover essere normativo-ideale (il
Sollen, nel quadro d’analisi kelseniana), a prescindere dalla realizzazione fattuale di tale
valore4. A questa efficacia senza effetto reale nella sfera giuridica corrisponde, in quella
della conoscenza, l’oggetto trascendentale: quest’ultimo, infatti, non è un oggetto reale,
ma una “pura idea della relazione”, che esprime soltanto l’essere in relazione del pensiero
con un pensato assolutamente indeterminato5.
Concepita la norma giuridica in termini di valore e di dover essere, essa può pre-
scindere dalla contingenza dei fatti e degli accadimenti, cioè della sua concreta realizza-
zione in termini di applicazione, rispetto, conformazione effettiva6. Se il contratto è re-
golarmente concluso è produttivo di obbligazioni, l’obbligazione essendo l’effetto
giuridico della stipulazione, a prescindere dalla efficacia in positivo (osservanza): l’obbli-
gazione può non essere adempiuta, ma l’efficacia resta tale sul piano del valore giuridi-
co7. Il licenziamento produce un’obbligazione di giustificazione, quale effetto giuridico
dell’atto di esercizio del potere, a prescindere che la conseguenza sia effettiva sul piano
dei comportamenti concreti, giacchè essa resta tale sul piano dei valori.
Siamo qui nella sfera dell’autonomia assiologica del sistema giuridico, in cui la cau-
salità giuridica (produzione dell’effetto) è irriducibile alla causalità fisica. La teoria del
diritto discute se questa struttura della condizionalità della norma giuridica produca
degli effetti solo sul piano ideale o anche nella sfera del reale (ad es. è chiaro che l’ina-
dempimento dell’obbligazione di giustificazione rende nullo il licenziamento, ma non
né detto che ristabilisca il rapporto, inteso quest’ultimo come effetto reale della disciplina
protettiva), ma in ogni caso, dal punto di vista metodologico tradizionale, il compito del
giurista consiste nell’occuparsi della efficacia della norma sul piano dei valori e non su
2 Cfr. Heidegger 1938.
3 Cfr. Mengoni 1996b, 33.
4 Cfr. Falzea 1965, 432 ss.
5 Cfr. Kant 1920, 671.
6 Cfr. Kelsen 1967, 14.
7 Peraltro, nella dottrina kelseniana l’efficacia può manifestarsi tanto nell’effettivo adeguamento delle nor-
me giuridiche, quanto nell’esecuzione delle sanzioni per l’inosservanza della norma: cfr. Gavazzi 1988.
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