Disorientamenti giurisprudenziali tra concussione, induzione indebita e corruzione

AutoreElio Palombi
Pagine9-15
197
dott
Rivista penale 3/2016
DOTTRINA
DISORIENTAMENTI
GIURISPRUDENZIALI
TRA CONCUSSIONE,
INDUZIONE INDEBITA
E CORRUZIONE
di Elio Palombi
1. La problematica che da sempre ha caratterizzato il
delitto di concussione ha avuto ad oggetto la differenzia-
zione dal delitto di corruzione, che ad avviso delle SS.UU.,
nella sentenza n. 10 del 24 ottobre 2013, depositata il 14
marzo 2014, è stata resa "più netta e chiara" con la riforma
di cui alla L. 6 novembre 2012, n. 190. A ben vedere, se con
la riforma è stata ben def‌inita la f‌igura della concussione,
che nella formulazione precedente dell’art. 317 c.p. tanti
guasti interpretativi aveva creato in relazione al discrimi-
ne tra concussione per induzione e corruzione, seri pro-
blemi sorgono oggi con l’introduzione della f‌igura dell’in-
duzione indebita ex art. 319-quater c.p., per l’esistenza di
una "zona grigia" in cui, secondo le stesse SS.UU., è arduo
stabilire se un comportamento possa essere qualif‌icato
come concussione oppure come induzione indebita, nella
quale il privato non è costretto ma solo condizionato psi-
cologicamente nel suo agire.
Data la "polivalenza semantica" e la "connotazione
eclettica" del concetto di induzione, le SS.UU. si sono, per-
tanto, impegnate nel tentativo di rendere un pò più netti
i conf‌ini tra i due reati, al f‌ine di garantire il rispetto del
principio di determinatezza nell’interpretazione del reato
di induzione indebita. Se non si restringe l’indetermina-
tezza insita nella norma, infatti, viene osservato, "l’incri-
minazione aff‌idata esclusivamente al concetto vago di
induzione si esporrebbe a evidenti censure di illegittimità
costituzionale".
Con riferimento al reato di cui all’art. 319-quater c.p.,
il verbo "indurre", ad avviso delle SS.UU., spiega una "fun-
zione selettiva residuale" rispetto al verbo "costringere"
presente nell’art. 317 c.p., nel senso che copre quegli spazi
non riferibili alla costrizione, vale a dire quei comporta-
menti del pubblico agente, pur sempre abusivi e penal-
mente rilevanti, che non si materializzano però nella vio-
lenza o nella minaccia di un male ingiusto e non pongono
il destinatario di essa di fronte alla scelta ineluttabile ed
obbligata tra due mali parimenti ingiusti".
Secondo la ratio della nuova norma, osservano ancora
le SS.UU., al termine induzione va assegnato "il preciso
signif‌icato di alterazione del processo volitivo altrui, che,
pur condizionato da un rapporto comunicativo non parita-
rio, conserva, rispetto alla costrizione, più ampi margini
decisionali, che l’ordinamento impone di attivare per resi-
stere alle indebite pressioni del pubblico agente e per non
concorrere con costui nella conseguente lesione di inte-
ressi di importanza primaria, quali l’imparzialità e il buon
andamento della pubblica amministrazione". Quando ciò
accade, l’indotto diventa "complice" dell’induttore e, per-
tanto, è punibile sia pure in maniera ridotta.
Per giustif‌icare l’estensione della punibilità al privato,
si sostiene che quest’ultimo "non essendo costretto ma
semplicemente indotto alla promessa o dazione, man-
tiene un margine di scelta tale da giustif‌icare una pena
seppure in misura ridotta rispetto al pubblico agente"
(Intervento del Ministro Paola Severino Di Benedetto ai
lavori delle Commissioni I e II riunite del Senato, in data
5 luglio 2012). In altri termini, l’addebito che viene mosso
al privato nell’induzione indebita consiste nel fatto che,
pur avendo il dovere di resistere alle pressioni induttive
dell’intraneus, non lo ha fatto e per tale motivo va punito.
2. Per cercare di contrastare con maggiore eff‌icacia il
fenomeno di corruttela generalizzata dilagante nel Paese,
il nostro legislatore ha avvertito l’esigenza di dare una ri-
sposta agli impegni assunti con la Convenzione delle Na-
zioni Unite sulla corruzione, cercando di adeguare la nor-
mativa interna agli obblighi internazionali. Nelle indagini
sulla corruzione, infatti, più volte era stato constatato che
gli imprenditori italiani, per sottrarsi alla pena, pur aven-
do partecipato ad un sistema di corruttela generalizzata,
ricorrevano all’espediente difensivo di dichiarare di essere
stati costretti o indotti al pagamento dell’indebito. In tal
senso, il Working group on Bribery, istituito presso l’OCSE,
nel rapporto sull’Italia adottato il 16 dicembre 2011, aveva
espressamente invitato il nostro paese "a modif‌icare senza
indugio la sua legislazione, escludendo la conf‌igurabilità
della concussione come possibile esimente per la corru-
zione internazionale". Nel rapporto di valutazione redatto
dal Group of States against corruption (GRECO), nella ri-
unione plenaria svoltasi a Strasburgo il 20-23 marzo 2012,
si invitava il nostro legislatore ad "esaminare in modo ap-
profondito la pratica applicazione del reato di concussio-
ne, al f‌ine di accertare il suo eventuale uso improprio nelle
indagini e nell’azione penale nei casi di corruzione".
Gli organismi internazionali, in ogni caso, certamente
non avrebbero invitato l’Italia a modif‌icare la norma sulla
concussione qualora l’interpretazione giurisprudenziale
avesse correttamente restituito il delitto alla sua essenza
tipica, evitando di allargarne la base applicativa alle con-
dotte corruttive di coloro che per sfuggire all’incrimina-
zione cercavano opportunisticamente di apparire vittime
dell’altrui azione coattiva.
Il nostro Parlamento, pur sollecitato a modif‌icare la
normativa in materia, ha dovuto tener conto della realtà
italiana che non consente di privarsi a cuor leggero della
previsione del delitto di concussione, da sempre deputato
a colpire gli abusi degli agenti pubblici f‌inalizzati ad otte-
nere coattivamente dal privato denaro od altra utilità. Ha,
quindi, deciso di incidere sul sistema, riportando l’art. 317

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT