Le disinvolte acrobazie dell'articolo 405, primo comma bis, c.p.p. Ed il morbido atterraggio sulla rete della carta costituzionale

AutoreEnrico Campoli
Pagine361-363

Page 361

Nell'ambito della legge «in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento» 1 il legislatore non ha resistito alla tentazione di inserire una norma che con tale argomento nulla ha a che vedere riguardando essa l'esercizio dell'azione penale al termine delle indagini preliminari.

L'articolo 3 della suddetta legge, difatti, interpolando l'art. 405 c.p.p., a mezzo dell'introduzione del primo comma bis, stabilisce che: «Il pubblico ministero, al termine delle indagini, formula richiesta di archiviazione quando la Corte di cassazione si è pronunciata in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ai sensi dell'art. 273, e non sono stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini».

Com'è noto, l'art. 405 c.p.p. regolamenta, sin dalla sua rubrica, le forme ed i termini per l'esercizio dell'azione penale tant'è che al primo comma è previsto che il pubblico ministero opti per l'esercizio dell'azione penale tutte le volte in cui «non deve richiedere l'archiviazione».

Tale disposto normativo, d'altronde, trova piena rispondenza nell'art. 50 c.p.p. laddove è stabilito che il pubblico ministero non «esercita l'azione penale quando non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione».

La novella introdotta con la legge 46/2006 volutamente va ad incidere sulle prerogative legate all'esercizio dell'azione penale in quanto, in presenza di determinati pre-requisiti - e cioè nell'eventualità che vi sia stata, da un lato, una pronuncia di insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e, dall'altro, un'assenza di ulteriori elementi indiziari «a carico» - impone al pubblico ministero di chiedere l'archiviazione del procedimento.

L'espressione utilizzata dal legislatore - «formula» - e l'introduzione di un apposito comma, da interpretare sistematicamente con le due disposizioni sopra menzionate, inducono a ritenere che non è più consentito al pubblico ministero in presenza dei due pre-requisiti sopra citati alcuna alternativa dovendo egli sempre optare per la richiesta di archiviazione 2.

È del tutto evidente che il legislatore, in considerazione della vigenza del principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale, ha imposto una compressione delle facoltà relative all'esercizio della stessa ma coniugando tal cosa solo in relazione alla posizione del pubblico ministero non potendo certo declinare tale preclusione in relazione ai poteri-doveri del Giudice (ed in particolare del Giudice per le indagini preliminari) in sede di controllo ex artt. 408 e ss. c.p.p.

Si vuole con l'osservazione da ultimo formulata evidenziare che se, in presenza di determinati presupposti, la Parte Pubblica è obbligata a chiedere l'archiviazione del procedimento - e tal cosa non incide sulle prerogative costituzionali stabilite in tale materia dall'art. 112 della Costituzione - spetta poi al Giudice in sede di eventuale udienza camerale avallare tale scelta nel merito ovvero attivare i propri poteri di far svolgere ulteriori indagini ovvero di formulare l'imputazione coatta: in breve, mai il Gip dovrebbe far luogo all'archiviazione tutte le volte in cui ritenga che la stessa sia infondata, a prescindere dall'eventuale esito della procedura cautelare e della mancanza di nuovi elementi, essendo il disposto normativo di cui sopra circoscritto al solo agire del P.M.

Ogni diversa lettura dell'art. 405, primo comma bis, c.p.p. - dovendo il Giudice sforzarsi di interpretare le norme in modo costituzionale - intaccherebbe il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale spossessando di fatto l'Ag. del monopolio assegnatogli in tale specifico ambito dalla Carta costituzionale: quest'ultima, difatti, demanda, al Giudice, e solo al Giudice, il sindacato in proposito potendo il legislatore, in...

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