Illeciti disciplinari e sanzioni: rassegna di giurisprudenza. Uno sguardo ragionato alle incolpa zioni per violazione del dovere di diligenza (parte II)

AutorePaolo Scippa
Pagine12-21
12
dott
1/2013 Arch. nuova proc. pen.
DOTTRINA
ILLECITI DISCIPLINARI E
SANZIONI: RASSEGNA
DI GIURISPRUDENZA.
UNO SGUARDO RAGIONATO
ALLE INCOLPAZIONI PER
VIOLAZIONE DEL DOVERE
DI DILIGENZA (PARTE II)
di Paolo Scippa
SOMMARIO
1. Premessa. 2. I ritardi nel deposito delle sentenze. 3. Gli
illeciti nell’esercizio dell’attività giurdizionale.
1. Premessa
L’analisi della giurisprudenza rappresenta nella mate-
ria disciplinare una necessità e, al contempo, un limite.
È una necessità, perché solo attraverso l’analisi dei casi
concreti è possibile comprendere quali comportamenti
sono considerati rilevanti dall’organo disciplinare e come
essi vengono in concreto valutati, anche dal punto di vista
dell’eventuale trattamento sanzionatorio. In altre parole,
solo in questo modo è possibile comprendere come le varie
norme di legge vengono di fatto interpretate e applicate
dal giudice disciplinare (1). È un limite, perché l’illecito
disciplinare è strettamente legato al caso concreto e come
tale deve essere considerato. Ciò signif‌ica che ogni illecito
possiede caratteristiche tipiche “a sé stanti”, dipende da
elementi fattuali soggettivi ed oggettivi specif‌ici che ca-
ratterizzano quel caso e non necessariamente altri simili,
con riferimento all’incolpazione. Di conseguenza, spes-
so dall’analisi casistica è diff‌icile trarre considerazioni
generali, individuare degli orientamenti costanti nella
giurisprudenza o raffrontare i diversi casi fra loro. Un
esempio può essere signif‌icativo di quanto appena indicat:
in merito alle violazioni dell’obbligo di diligenza, come
si vedrà meglio in seguito, i ritardi possono essere più o
meno gravi, prolungati, reiterati, maturati in un contesto
di bassa, media, alta produttività, avere una o più cause di
giustif‌icazione; tale varietà di ipotesi, quindi, impedisce
l’identif‌icazione di un vero e proprio prof‌ilo di “tendenza
giurisprudenziale” della sezione disciplinare del CSM.
Altro fattore condizionante l’identif‌icazione di parame-
tri comuni nella trattazione di illeciti che, apparentemen-
te, assumono connotati di similarità sotto il prof‌ilo oggetti-
vo è costituito, come molti commentatori hanno registrato,
dalla variabilità della composizione della stessa sezione
disciplinare che, cambiando ad ogni consigliatura, non
necessariamente mantiene (anzi quasi mai) l’indirizzo
“giurisprudenziale” della precedente, contribuendo, tale
fatto, a rendere ancora più complessa l’analisi “di tenden-
za” dell’organo disciplinare e, conseguentemente, formu-
lare una casistica suff‌icientemente omogenea che possa
essere una sicura guida non soltanto per l’incolpato, ma
anche per il Magistrato che voglia comprendere “ex ante”
quali comportamenti o azioni possano essere suscettibili
di provvedimenti disciplinari.
Gli aspetti della nuova disciplina, ritengo, possano
maggiormente interessare nell’ambito di queste brevi ri-
f‌lessioni sono la cd “tipizzazione degli illeciti” e la determi-
nazione delle sanzioni minime per specif‌iche fattispecie
illecite.
Entrambi concorrono a realizzare gli obiettivi della
riforma del 2006: da un lato, nel lodevole tentativo di porsi
alle spalle il quadro di incertezza introdotto dalla vetusta
legge delle guarentigie, dovuto essenzialmente alla man-
canza di una chiara indicazione delle condotte concreta-
mente punibili e delle sanzioni conseguenti alle diverse
violazioni e, dall’altro, rendere più trasparente e meno di-
screzionale il giudizio disciplinare, a garanzia di un corret-
to e regolare svolgimento della funzione giudiziaria, della
quale, naturalmente, l’esercizio dell’azione di disciplina è
parte integrante ed essenziale.
Una delle questioni che si è subito posta a livello giuri-
sprudenziale, nel passaggio dal vecchio al nuovo sistema
disciplinare, attiene alla maggiore o minore severità della
nuova disciplina rispetto alla precedente.
Nelle sentenze che applicano il regime transitorio (v.
art. 32-bis, D.L.vo n. 109 del 2006), la vecchia disciplina
viene, di regola, considerata più favorevole all’incolpato
proprio perché più discrezionale. Dato che uno degli ele-
menti costitutivi dell’illecito era la violazione del prestigio
dell’ordine giudiziario, l’illecito era da escludere, pur se
accertato nella sua materialità, qualora non avesse avuto
alcuna ripercussione sul prestigio del magistrato, valuta-
zione, questa, di fatto rimessa alla discrezionalità della
sezione disciplinare.
La nuova normativa, invece, “f‌issa in maniera più pun-
tuale e rigorosa i limiti dell’illecito deontologico”, circo-
scrivendo la discrezionalità del giudice (S.D. 24 ottobre
2009, n. 119).
La legge, inoltre, non identif‌icava in modo preciso
sanzioni minime per le varie tipologie di illecito, per cui
anche la decisione sulla misura della sanzione era rimessa
al prudente apprezzamento dell’organo disciplinare.
Una rif‌lessione più attenta, però, mette in evidenza
ulteriori elementi che possono portare ad una diversa so-
luzione, come sottolineano alcune sentenze disciplinari:
- la tipizzazione tende a circoscrivere l’area dell’ille-
cito rispetto all’onnicomprensivo art. 18, R.D.L.vo n. 511
del 1946. La fattispecie tipizzata impone esplicitamente
di valutare elementi “più puntuali” come ad es. la ine-
scusabilità della negligenza o la riferibilità dell’errore ad
ignoranza; tutti questi elementi devono essere presenti
aff‌inché l’illecito possa conf‌igurarsi;

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