La nuova disciplina in materia di legittima difesa: È vera rivoluzione?

AutoreEnrico Mengoni
Occupazione dell'autoreGiudice presso la Sezione Penale del Tribunale di Lucca
Pagine47-55

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"Ho subito il sesto furto in casa. Questa volta i ladri sono entrati mentre dormivamo. Mia moglie li ha sentiti, si è alzata e così sono scappati portando via orologio e portafogli. E ci è andata bene. Le forze dell’ordine, intervenute, mi sono sembrate più sconsolate e afflitte di me. ‘Se li prendiamo, mi hanno detto, non gli fanno nulla, e con l’ultimo condono sono comunque usciti tutti quelli che avevamo preso’. La sensazione di insicurezza e di essere completamente indifesi è fortissima. Se qualcuno reagisce sparando, non lo giustifico, ma lo comprendo".

Lettera firmata

Corriere della Sera, 8 settembre 2006

@1. L’humus socio-culturale della riforma

È probabilmente sulla scia di lettere come questa, scaturite da ripetuti e gravi fatti di cronaca, che il legislatore, in esito a un lungo iter parlamentare – e in tal senso superando le conclusioni alle quali era pervenuta la Commissione di riforma del codice penale presieduta dal dott. Nordio – con la legge 13 febbraio 2006, n. 59 ha inteso intervenire sulla materia della legittima difesa; materia che, in oltre 70 anni, mai era stata modificata o fatta oggetto di qualsivoglia intervento.

Ma perché questo lungo immobilismo normativo, apparentemente stridente con la continua, a volte frenetica attività di ri-legiferazione su ogni materia, in ogni ambito? La risposta è da ritrovare nella considerazione secondo la quale – come autorevolmente affermato in dottrina1 – l’art. 52 c.p. rappresentava un modello di equilibrio e sapienza giuridica, i cui contorni erano stati nel tempo chiariti da una giurisprudenza ormai sedimenta-Page 48tasi, pacifica, accettata non soltanto perché rispondente al buon senso, ma anche perché in linea con i valori costituzionali nei quali tutti dovrebbero riconoscersi. Giurisprudenza che ormai aveva chiarito cosa si dovesse intendere per aggressione ingiusta, per reazione legittima, per proporzione, ovvero fino a quando si potesse parlare di scriminante putativa e di eccesso colposo; perché, come si chiarirà più avanti, la vera rivoluzione introdotta dalla norma in commento consiste, a ben vedere, proprio nell’abbattimento – meglio, dell’aggiramento – del concetto di eccesso colposo e dei suoi limiti.

Se gli approdi giurisprudenziali apparivano ormai mete sicure, cionondimeno gli stessi erano sottoposti, con frequenza sempre maggiore, a numerose e robuste critiche, alcune delle quali, sovente, assai enfatizzate da gravi fatti di cronaca.

Per un verso, si contestava l’eccessiva discrezionalità che (ancora oggi) caratterizzerebbe il lavoro del magistrato nel valutare i presupposti della legittima difesa sopra accennati; in particolar modo, la proporzione, relativamente alla quale verrebbero compiute valutazioni meramente astratte – del tipo: il ladro entrato in casa voleva “solo” i gioielli e l’argenteria, tu lo sapevi, ciononostante hai sparato e ucciso, quindi non c’è proporzione tra i beni in conflitto – che non terrebbero conto, in alcun modo, delle diverse circostanze del caso concreto, soprattutto di quelle emotive.

Per altro verso, oggetto di critica era l’eccessivo rigore nella sanzione di colui che – vittima di un’aggressione in casa propria o nel proprio negozio – avesse reagito contro il malvivente, magari sparando. Quello che, agli occhi di una diffusa opinione pubblica, emergeva come un paradosso inaccettabile: ma come, non sono padrone neppure in casa mia? Mi devo far rubare in casa senza poter in alcun modo reagire? Devo finire sotto processo solo per aver avuto la reazione più naturale, quale la difesa dei miei beni o della mia incolumità?

Orbene, di entrambi i profili critici appena accennati i lavori parlamentari danno chiaramente atto.

In sede di esplicazione dell’originario progetto di riforma n. 1899, si è infatti affermata la necessità di “riconoscere a ogni cittadino il diritto naturale all’autodifesa, restituendogli la sovranità almeno nel proprio domicilio”. Si è anche aggiunto: “Qualcuno obietterà che questo diritto esiste già, previsto dall’articolo 52 del codice penale sulla legittima difesa. Purtroppo l’eccessivo grado di discrezionalità che è stato lasciato al potere di interpretazione dei magistrati ha vanificato la certezza del diritto. Fatti del tutto simili vengono giudicati in modo completamente difforme da un tribunale all’altro, da un grado di giudizio all’altro”.

E ancora: “Ai criteri stabiliti dalla legge per valutare se una reazione a un’aggressione possa essere considerata lecita è stata data una interpretazione che, di fatto, ha trasformato un istituto diretto a tutelare le vittime in uno strumento che finisce con il giovare innanzitutto agli aggressori. All’aggredito sono imposte valutazioni che, in concomitanza di un’aggressione, non sempre possono essere effettuate”.

Considerazioni politiche – quelle appena descritte – che hanno fatto sì che la nuova disciplina in tema di legittima difesa venisse rubricata, in termini assai espliciti e suggestivi, come una modifica “in materia di diritto all’autotutela in un privato domicilio”.

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Diritto, per l’appunto: e invero, con la legge n. 59/2006 si è dato vita a una nuova, effettiva situazione giuridica soggettiva attiva.

@2. Vera rivoluzione, o specchietto per le allodole?

Questo è l’humus sul quale è sorta la riforma dell’art. 52 c.p., la quale – come noto – ha ben presto acceso in dottrina un dibattito alquanto vivo e, sotto molti profili, preoccupato: in sintesi – ci si è domandati – siamo in presenza di una vera rivoluzione o soltanto di uno specchietto per le allodole? E, nel primo caso, la riforma deve essere accettata così come appare – o meglio: così come è stata divulgata dai media – o abbisogna di correttivi ermeneutici, tali da impedire l’insorgere di un Far West tutto privato, caratterizzato da una corsa ad armarsi sostenuta dall’idea per la quale, “finalmente, se uno oggi entra in casa mia, gli posso sparare?”.

@3. La presunzione di proporzione tra offesa e difesa

Per rispondere a tutti questi interrogativi, occorre preliminarmente individuare in modo corretto quale sia l’oggetto della riforma in esame; orbene, lo stesso – proprio in forza delle polemiche delle quali si è dato brevemente conto – concerne essenzialmente il concetto di proporzione tra offesa e reazione.

Giova ricordare al riguardo che – per giurisprudenza...

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