Disapplicazione delle sentenze di condanna agli stranieri clandestini ed 'inefficacia' della Direttiva europea sui rimpatri
Autore | Luigi Favino |
Pagine | 213-214 |
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giur
Rivista penale 2/2014
MERITO
Orbene, premesso, in fatto, che a giudizio di questo
Collegio la condotta contestata all’imputato è pienamente
provata in base agli elementi processuali specificati nella
sentenza appellata, va considerato, in diritto, che nelle
more del procedimento è intervenuta la direttiva 2008/115/
CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicem-
bre 2008 recante norme e procedure comuni applicabili
negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il
cui soggiorno è irregolare che ha previsto l’adozione, entro
la data del 24 dicembre 2010, e da parte degli Stati del-
l’U.E., di norme legislative, regolamentari e amministra-
tive al fine di conformarsi ai principi ivi prefissati, norme
che non sono state però adottate dallo Stato italiano.
Successivamente, la Corte di giustizia dell’Unione
europea, pronunciatasi su ricorso di A.G. italiana con la
recente sentenza del 28 aprile 2011, ha dichiarato il con-
trasto con la citata direttiva europea (e, in particolare,
con i suoi artt. 15 e 16) della normativa italiana che
prevede l’irrogazione di una pena detentiva allo straniero
privo di regolare permesso di soggiorno per la sola ragione
che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un
determinato termine il territorio dello Stato, vi permanga
senza giustificato motivo.
Ha evidenziato, in particolare, la Corte che secondo la
predetta direttiva la possibilità di trattenimento dello stra-
niero privo di regolare permesso di soggiorno è giustificata
soltanto per preparare il suo rimpatrio e/o per effettuarne
l’allontanamento e non può comunque superare prefissati
limiti temporali.
Gli Stati membri dell’Unione europea – ha affermato la
Corte di giustizia – non possono applicare una normativa,
sia pure di diritto penale, tale da compromettere la rea-
lizzazione degli obiettivi perseguiti da una direttiva e da
privare così quest’ultima del suo effetto utile e, con specifi-
co riferimento alla direttiva 2008/115, ha rammentato che
essa subordina espressamente l’uso di misure coercitive
al rispetto dei principi di proporzionalità e di efficacia per
quanto riguarda i mezzi impiegati e gli obiettivi perseguiti;
ne consegue – ha altresì osservato la Corte - che gli Stati
membri non possono introdurre al fine di ovviare all’in-
successo delle misure coercitive adottate per procedere
all’allontanamento coattivo conformemente all’art. 8, n. 4,
di detta direttiva, una pena detentiva, come quella previ-
sta all’art. 14, comma quinto ter, del decreto legislativo n.
286/1998, solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo
che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio di
uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine
è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio na-
zionale. Essi devono, invece, continuare ad adoperarsi per
dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a
produrre i suoi effetti. Una tale pena, infatti, segnatamente
in ragione delle sue condizioni e modalità di applicazione,
rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo
perseguito da detta direttiva, ossia l’instaurazione di una
politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei citta-
dini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare.
Alla luce di quanto precede, al giudice del rinvio, incari-
cato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le
disposizioni del diritto dell’Unione e di assicurarne la pie-
na efficacia – ha concluso la Corte – spetterà disapplicare
ogni disposizione del decreto legislativo n. 286/1998 con-
traria al risultato della direttiva 2008/115, segnatamente
l’art. 14, comma quinto ter, di tale decreto legislativo.
Ciò facendo il giudice del rinvio dovrà tenere debito
conto del principio dell’applicazione retroattiva della pena
più mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali
comuni agli Stati membri (cfr. in tali termini, Corte di Giu-
stizia 28 aprile 2011 cit., nn. 55-59, 61).
Deve dunque essere disapplicata, in base a quanto chia-
ramente statuito dalla Corte di giustizia con la predetta
sentenza, qualsiasi norma che, come quella di cui all’art.
14, comma quinto ter, D.L.vo n. 286/1998 contestata all’im-
putato appellante, preveda l’irrogazione di una pena deten-
tiva nei confronti dello straniero sottoposto a procedura di
rimpatrio in conseguenza della sua mera inottemperanza
ad un ordine di allontanamento dal territorio nazionale.
L’accertata situazione di contrasto tra la citata norma
incriminatrice e la successiva Diretta 2008/115/CE (self
executing nel nostro ordinamento, essendo decorso inutil-
mente il citato termine stabilito per il suo recepimento da
parte dell’Italia), valutata alla luce del principio generale
stabilito dall’art. 2, II comma, c.p., comporta l’assoluzione
dell’imputato dal reato ascrittogli, perché il fatto non è
previsto dalla legge come reato (da ultimo, Cass. 29 aprile
2011, sez. I, n. 18586). (Omissis)
DISAPPLICAZIONE
DELLE SENTENZE DI CONDANNA
AGLI STRANIERI CLANDESTINI
ED “INEFFICACIA”
DELLA DIRETTIVA EUROPEA
SUI RIMPATRI
di Luigi Favino
Sul reato di cui all’art. 14, comma quinto ter, del D.L.vo
25 luglio 1998, n. 286 (legge Bossi-Fini) riguardante la
violazione dell’ordine di rimpatrio impartito dal Questore,
è intervenuta la Direttiva 2008/115 C.E. del Parlamento
Europeo e del Consiglio, in data 16 dicembre 2008, che
prevede norme e procedure comuni applicabili negli Stati
membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi, senza rego-
lare permesso di soggiorno, che senza giustificato motivo
si sono trattenuti nel territorio dello Stato italiano.
In questi ultimi anni la predetta disposizione è stata di-
sapplicata dai giudici anche per una decisione della Corte
di giustizia di Strasburgo che il 28 aprile 2011 ha messo in
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