La valutazione delle prestazioni della dirigenza pubblica: nuovi scenari, vecchi problemi, percorsi di 'apprendimento istituzionale

AutoreLorenzo Zoppoli
Pagine1389-1415
Lorenzo Zoppoli
La valutazione delle prestazioni della dirigenza pubblica:
nuovi scenari, vecchi problemi,
percorsi di “apprendimento istituzionale”
S: 1. Che ne è della riforma del lavoro pubblico senza valutazione delle prestazioni dirigenziali? -
2. La “funzione imprenditoriale nelle pubbliche amministrazioni”: vecchie esigenze e nuovi assetti
giuridico-organizzativi. La centralità sistematica della valutazione della dirigenza. - 3. Il problema:
l’incombenza della politica sulla valutazione. - 4. Le conf‌igurazioni giuridiche della responsabilità di-
rigenziale: inerenza al rapporto triangolare politica/dirigenza/cittadini. - 5. Come ridurre la politiciz-
zazione nella valutazione della dirigenza: a) nell’assegnazione degli obiettivi (interpretazioni degli artt.
19 del d.lgs. n. 165/2001 e 5 del d.lgs. n. 286/1999). - 6. Segue: b) nell’individuazione dei valutatori.
L’autoreferenzialità come caratteristica del sistema delineato dal d.lgs. n. 286/1999. - 7. Valutazione e
“giusto procedimento”: la recente giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenze 233/06; 103 e
104 del 2007). - 8. Valutazione e contrattazione collettiva. - 9. Il memorandum/intesa della primave-
ra 2007. - 10. Proposte a valle del memorandum/intesa: tecnocrazia e class action. - 11. Considerazio-
ni di sintesi.
1. Mentre scrivo (novembre 2007) nel paese tira aria di grande confusione, che,
soprattutto in qualità di studioso, non mi piace alimentare. Perciò dichiaro esplicita-
mente che in queste rif‌lessioni cercherò di attivare, per dirla con Mengoni, più il pensie-
ro “sistematico” che quello “problematico”. Sennonché da un problema, e non piccolo,
occorre partire: è vero, come sempre più sovente si sente dire, che la valutazione della
dirigenza pubblica (ma anche quella del restante personale) si è rivelata un mezzo falli-
mento, una vana ricerca di capri espiatori o, addirittura, “una bufala”?
Confesso che non rispondo alla domanda con perentorietà o granitica convinzione
(e nemmeno con cognizione di tutti i dati necessari, dif‌f‌icili da acquisire). Però, sul pia-
no dei fatti notori, sarei propenso a rispondere in senso af‌fermativo, almeno per il mez-
zo fallimento. Infatti troppi sono i settori e le amministrazioni (in primis i “ministeri”,
con la loro aura di “cuore dello Stato”, che in f‌in dei conti sopravvive alla stagione dei
vari decentramenti imperfetti) in cui la valutazione o è f‌inta (perché schiaccia tutti in-
torno ai valori massimi o viene fatta in modo ultraburocratico) o, comunque, incide
poco o punto sulle tecniche di gestione e retribuzione della dirigenza pubblica1. Insom-
ma nelle pubbliche amministrazioni non sembra esserci un interesse visibile al reale
funzionamento della valutazione della dirigenza: si fa soprattutto perché è prevista dalle
leggi e dai contratti collettivi. Vi sono però eccezioni2; e vi sono anche ragioni – cultu-
rali, storiche, politiche, economico-f‌inanziarie, organizzative – che possono spiegare
questa mancanza di interesse senza ricorrere a giudizi liquidatori, come quelli racchiusi
1 V. soprattutto, ma non solo, la relazione della Corte dei Conti, in LPA, 2005, 990 ss. V. anche Damiano
2006, 1257 ss.; Merloni 2006; Barbieri 2004, 469 ss.; Romagnoli, 2004, 599 ss.
2 V., da ultimi, Formez 2006; Ruf‌f‌ini 2006, 3 ss.; Esposito, Mercurio, 2005, 25 ss.
1390 Studi in onore di Edoardo Ghera
nelle parole prima richiamate. Non voglio indugiare troppo su questioni che, af‌frontate
in generale, non entusiasmano nessuno; ma è risaputo che le vere riforme richiedono
tempi non brevi (e la valutazione, lanciata sul serio solo nel 1999 con il d.lgs. n. 286, è
stata subito dopo svilita dalla l. n. 145/2002, che, raf‌forzando lo spoils system, mina alla
radice i criteri della valutazione)3, che le amministrazioni pubbliche risentono enorme-
mente dei tentennamenti della politica e del clima generale delle relazioni sindacali, che
la valutazione deve essere accompagnata da precise tecniche di gestione ed organizzazio-
ne (come ad esempio bilanci per centri di costo, preciso af‌f‌idamento di responsabilità
gestionali ai dirigenti, controlli di gestione, ecc.), che i risultati della valutazione devono
ripercuotersi in maniera equa e condivisa sulle comunità di lavoro organizzate. Perciò
credo che, a rif‌lettere in buona fede sull’esperienza f‌inora fatta, nessun conoscitore di
cose italiane può sostenere che si siano verif‌icate, in misura accettabile, tutte le condizio-
ni necessarie a far decollare un sistema di valutazione della dirigenza nelle amministra-
zioni pubbliche.
Certo si può anche concludere: ciò che non è decollato f‌inora mai decollerà4. Sareb-
be dif‌f‌icile contrastare con dati obiettivi questa convinzione. Altrettanto dif‌f‌icile però mi
pare sostenere a cuor leggero la tesi secondo cui se le riforme della pubblica amministra-
zione non hanno dato f‌inora gli ef‌fetti sperati, tanto vale abbandonare gli apparati pub-
blici ad una morte per consunzione (mediante tagli progressivi alla spesa pubblica) e
puntare tutto sui servizi gestiti da privati secondo logiche di mercato5. Perciò, se non si
vuole abbracciare una prospettiva così catastrof‌ista (o, per altri versi, molto utopistica:
come si fa a creare in Italia imprese e consumatori in grado davvero di popolare mercati
reali in cui si scambino a prezzi per le une remunerativi e per gli altri accessibili i servizi
attualmente resi dalle amministrazioni pubbliche?), bisogna chiedersi: senza un sistema
di valutazione ef‌f‌icace, vero, funzionante, la riforma del lavoro pubblico del ’92-’93 ha
ancora un signif‌icato politico, istituzionale, giuridico? Prima di addentrarsi nelle speci-
f‌iche problematiche giuridiche della valutazione della dirigenza pubblica, mi sembra
indispensabile dare un risposta, stavolta davvero netta, a questo interrogativo.
2. Tra i principi/obiettivi della riforma del ’93, e ancor più, del ’98 – principi di
generale applicazione, che costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’art. 117
Cost. (art. 1, cc. 2 e 3, del d.lgs. n. 165/2001)6 - ce ne sono tre che assumono qui una
precipua rilevanza giuridico-organizzativa: il principio della distinzione dei poteri tra
politica e dirigenza (art. 4 d.lgs. n. 165/2001); il principio di funzionalità, che si concre-
3 V., da ultimi, Mattarella 2007, p. 27; Cristofoli, Turrini, Valotti 2007. Sul dif‌f‌icile processo di riforma
della disciplina delle dirigenze pubbliche v., da ultimi, Zoppoli 2004; Carinci F., Mainardi (a cura di) 2005;
Merloni 2006; D’Alessio 2006, 549 ss. In generale sugli sviluppi della riforma v. Dell’Aringa, Della Rocca
2007; Formez 2007; Zoppoli 2007, 289 ss.; Rusciano 2007.
4 O, con le parole più crude di un noto editorialista, «mettere il merito al centro nelle amministrazioni
pubbliche è tempo sprecato» (Giavazzi, cit. da Sensini 2007, 36).
5 Sempre Gavazzi 2007.
6 Principi fondamentali che però hanno profondamente mutato conf‌igurazione dopo la riforma costituzio-
nale del 2001 (in particolare v. art. 2 della l. n. 131/2003): v. per tutti, Zoppoli 2004; Trojsi 2007, 101 ss.

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