Sequestro a seguito diperquisizione illegittima: male captum beneretentum. Il caso sala in Italia e il caso loewen in Canada a confronto

AutoreFederico Piccichè
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1. Il caso Sala

L’articolo 252 del Codice di procedura penale stabilisce che “le cose rinvenute a seguito della perquisizione sono sottoposte a sequestro con l’osservanza delle prescrizioni degli articoli 259 e 260”.

Cosa accade, però, se la perquisizione viene eseguita in modo illegittimo? Le res, eventualmente individuate nel corso delle illegali operazioni di ricerca, possono essere sequestrate e divenire prova a carico?

A certe condizioni, parrebbe di sì, nel senso che se ciò che viene sequestrato non è corpo del reato o pertinente ad esso, la nullità della perquisizione spiegherà tutti i suoi effetti, travolgendo pure il successivo sequestro, con la conseguenza che della res in vinculis non potrà tenersi in alcun conto; in caso contrario, invece, anche se l’agente ha perquisito illegalmente e ha in modo abusivo messo le mani sulla res, se essa costituisce il corpo del reato o una sua pertinenza, potrà essere validamente appresa e utilizzata, come prova, nel corso del procedimento.

Nel caso Sala, in cui si era accertato che un ufficiale di P.G., senza autorizzazione della competente Autorità Giudiziaria, aveva effettuato una perquisizione domiciliare, nel corso della quale erano stati trovati 31 grammi di cocaina, le Sezioni Unite penali della Suprema Corte, con la nota sentenza n. 5021 del 16 maggio 1996, al fine di giustificare e salvare il sequestro, avevano affermato che «allorquando la perquisizione sia stata effettuata senza l’autorizzazione del magistrato e non nei “casi” e “modi” stabiliti dalla legge, come prescritto dall’art. 13 Cost., si è in presenza di un mezzo di ricerca della prova che non è compatibile con la tutela del diritto di libertà del cittadino, estrinsecabile attraverso il riconoscimento del-l’inviolabilità del domicilio. Ne consegue che, non potendo essere qualificato come inutilizzabile un mezzo di ricerca della prova, ma solo la prova stessa, la perquisizione è nulla e il sequestro eseguito all’esito di essa non è utilizzabile come prova nel processo, salvo che ricorra l’ipotesi prevista dall’art. 253, primo comma, c.p.p., nella quale il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, costituendo un atto dovuto, rende del tutto irrilevante il modo con cui ad esso si sia pervenuti».1

In altri termini, anche se l’ufficiale agisce calpestando le regole che la Costituzione ha posto a presidio di libertà fondamentali, come quelle scaturenti dall’articolo 13 e richiamate dai Giudici di legittimità, il sequestro del corpo del reato o di ciò che gli pertiene non solo è valido, ma arriva persino a sanare l’intera condotta illecita tenuta dall’ufficiale nelle fasi immediatamente precedenti al sequestro.

Sono i Giudici di legittimità a dire che il sequestro del corpo del reato o di ciò che gli pertiene “rende del tutto irrilevante il modo con cui ad esso si sia pervenuti”.

Come dire, è indifferente che un agente abbia fatto, in modo abusivo e arbitrario, irruzione nella casa di una persona.

Se in quella casa viene scovato il corpo del reato, la persona deve mettersi il cuore in pace perché quell’irruzione è divenuta per l’ordinamento irrilevante e, come tale, scusabile.

È il trionfo del pericoloso principio male captum bene retentum.

Questo, però, a mio modesto avviso, non basta a tranquillizzare gli animi, perché resta inquietante l’idea di potere trovarsi in casa uomini della forza pubblica che agiscono senza un mandato, animati solo da vaghi sospetti,2 che non sono stati presi in considerazione e vagliati, prima, dall’occhio diligente e scrupoloso di un Magistrato.

In Canada fatti come questi vengono spesso bollati e una riprova, per certi aspetti, viene dal caso Loewen (uno dei tanti di questo genere) discusso il 12 aprile 2011 al cospetto dei Giudici Supremi di Ottawa.3

2. Il caso Loewen

Il fatto è molto semplice.

Il sergente Topham intima l’alt ad un’autovettura, guidata da tale Loewen, per eccesso di velocità; si avvicina al conducente, che nel frattempo aveva accostato la macchina al bordo della strada, e sente provenire dall’abitacolo un odore di marijuana bruciata di recente; nello stesso tempo, trova nelle tasche del guidatore 5.410 dollari in contanti.

L’agente, dunque, procede all’arresto di Loewen per possesso di droga e, subito dopo, si mette a perquisire l’automobile, scovando al suo interno 100 grammi di cocaina.

Al processo Loewen viene condannato per detenzione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti e la condanna viene confermata in appello.

L’accusato ricorre davanti alla Corte Suprema e la Corte rigetta il ricorso, avendo valutato che l’arresto e la perquisizione veicolare erano stati operati secondo le regole della Charter.4

Nello specifico questa valutazione era essenziale perché se si fosse, invece, verificato che l’arresto era stato eseguito illegalmente, anche la successiva perquisizione del veicolo sarebbe stata illegale e la droga sequestrata

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non avrebbe più potuto costituire una prova valida a carico del prevenuto.5

Il Giudice del processo e la maggioranza dei Giudici della Corte d’appello dell’Alberta avevano escluso che vi fossero state violazioni della Charter, mentre solo il Giudice d’appello, Berger, aveva sul punto espressamente dissentito.

Il Giudice del processo, sulla base dell’articolo 495(1) (a) del Criminal Code,6 che consente ad un agente di arrestare un individuo quando ha ragione di credere che abbia commesso un atto criminale (indictable offence), aveva concluso per la liceità del comportamento...

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