Differimento dell'esecuzione della pena relativo a collaboratori di giustizia: brevi note in tema di competenza territoriale

AutoreGiuseppe Vignera
Pagine13-18
973
dott
Rivista penale 11/2018
DOTTRINA
DIFFERIMENTO
DELL’ESECUZIONE DELLA PENA
RELATIVO A COLLABORATORI
DI GIUSTIZIA: BREVI NOTE
IN TEMA DI COMPETENZA
TERRITORIALE
di Giuseppe Vignera
1. - Com’è noto, il differimento dell’esecuzione della
pena ex artt. 146-147 c.p. può (in presenza di prof‌ili di
pericolosità sociale del condannato suscettibili di pregiu-
dicare le esigenze di sicurezza pubblica (1)) essere oggi
concesso pure nella forma alternativa della detenzione
domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-ter, O.P. (2).
Se richiesto da un collaboratore di giustizia sottoposto
a speciali misure di protezione, la competenza a provve-
dere dovrebbe de plano riconoscersi al Tribunale di sorve-
glianza di Roma ai sensi dell’art. 16-nonies, comma 8, D.L.
15 gennaio 1991 n. 8, conv. nella L. 15 marzo 1991 n. 82.
Invero, anche la detenzione domiciliare ex art. 47-ter,
comma 1-ter, O.P. rientra nella previsione del predetto art.
16-nonies, comma 8, D.L. n. 8 del 1991 in quanto pure essa
costituisce “taluna delle misure alternative alla detenzio-
ne previste dal Titolo I, Capo VI, della legge 26 luglio 1975
n. 354” (come recita, per l’appunto, il citato comma 8).
Questa conclusione, nondimeno, è stata recentemente
disattesa da Cass. pen., sez. I, sentenza 6 dicembre 2017 n.
8131, Conf‌l. comp. in proc. Pacciarelli, Rv. 272416, secondo
cui:
A) la detenzione domiciliare prevista dall’art. 47-ter,
comma 1-ter, O.P. “non richiede alcun apprezzamento né
in ordine all’importanza della collaborazione né in ordine
al ravvedimento…, che sono i requisiti cui nel sistema de-
lineato dall’art. 16-nonies del decreto legge n. 8 del 1991, è
ancorata la concessione delle misure marcatamente pre-
miali, viceversa presi in considerazione ai f‌ini della deroga
di competenza; requisiti, al tempo stesso, in rapporto ai
quali riveste importanza decisiva l’apporto di conoscenza
degli organi centrali di protezione e, in questo quadro, tro-
va senso l’istituito stretto collegamento tra la sede di tali
organi e la competenza giudiziaria” (3);
B) pertanto, “in tema di rinvio, necessario o facolta-
tivo, dell’esecuzione della pena, la competenza a provve-
dere sull’istanza del detenuto, collaboratore di giustizia,
appartiene al magistrato o al tribunale di sorveglianza che
ha giurisdizione sull’istituto di prevenzione o di pena in
cui si trova l’interessato all’atto della richiesta ai sensi
dell’art. 677, comma 1, c.p.p., anche quando il condannato
richieda, o il giudice ritenga comunque di applicare, la de-
tenzione domiciliare in luogo del differimento, non trovan-
do applicazione la regola di cui all’art. 16-nonies, comma
8, del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito dalla legge 15
marzo 1991, n. 82, che prevede la competenza territoriale
esclusiva del giudice di sorveglianza di Roma” (4).
Una tale interpretazione, tuttavia, non può essere as-
secondata.
Anzitutto, essa si basa su affermazioni apodittiche
prive di qualsivoglia “supporto normativo”, essendo irrile-
vante a quest’ultimo riguardo il fatto che “i provvedimenti
in materia di rinvio dell’esecuzione della pena non sono
testualmente ricompresi nell’ambito dell’art. 16-nonies
decreto legge n. 8 del 1991” (come pur sta scritto nella
motivazione della decisione in contestazione) perché:
– ciò non è del tutto esatto in quanto il richiamo
(pure) di tali provvedimenti deve considerarsi implicito
nel comma 8 dell’art. 16-nonies cit. là dove lo stesso parla
testualmente di “taluna delle misure alternative alla de-
tenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della legge 26 luglio
1975 n. 354”: e tale sicuramente è la misura della detenzio-
ne domiciliare prevista dall’art. 47-ter, comma 1-ter, O.P.;
– neppure il benef‌icio ex art. 1 L. 26 novembre 2010 n.
199 (c.d. esecuzione della pena detentiva presso il domi-
cilio) rientra nella previsione ex art. 16-nonies del D.L. n.
8 del 1991, ma ciò non ha impedito alla Suprema Corte di
considerare operanti pure rispetto ad esso (benef‌icio) le
speciali regole sulla competenza previste per i collaborato-
ri di giustizia dallo stesso art. 16-nonies in virtù di una sua
interpretazione estensiva valorizzante la ratio legis (5).
La suindicata interpretazione di Cass. pen. n. 8131 del
2017, poi, pare porsi in contraddizione con un complesso
di ragioni (storiche, logiche e sistematiche), che si passa
ad illustrare.
2 - In primo luogo, osserviamo che la ratio dell’art.
16-nonies, comma 8, D.L. n. 8 del 1991 (che ha preso il po-
sto dell’originario e “speculare” art. 13-ter, comma 3, stes-
so D.L. (6)) non è affatto quella (o, comunque, non è solo
quella e/o non è prevalentemente quella) di tipo “conosci-
tivo” come sopra supposta dalla Corte di cassazione (7).
La ratio della norma in questione, invero, va ravvisata
nell’esigenza di salvaguardare la sicurezza dei collabora-
tori di giustizia: com’è stato esattamente, puntualmente
e costantemente insegnato dalla Suprema Corte in nume-
rose altre decisioni inopinatamente disattese da quella in
contestazione.
Esemplare al riguardo è Cass. pen. sez. I, sentenza 20
dicembre 2005 n. 1888, Conf‌l. comp. in proc. Di Mauro, Rv.
233571, nella cui motivazione sta a chiare lettere scritto:
“il legislatore, per pregnanti e particolari ragioni di salva-
guardia della sicurezza dei collaboratori di giustizia, ha
inteso sottrarre a qualsiasi altro tribunale di sorveglianza,
che non sia quello di Roma, la competenza a decidere sulle
domande di concessione di liberazione condizionale, di mi-
sure alternative o di qualsiasi altro benef‌icio penitenziario,
che siano state presentate dai soggetti di cui sopra” (8).

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