La difesa apparente. L'incompatibilità del difensore in dottrina ed in giurisprudenza

AutoreLuigi Fadalti
Pagine7-10

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@1. Premessa e fonti normative

La Costituzione, definendo la difesa diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, implica che il difensore debba atteggiarsi nel processo penale non come un organo di giustizia o come garante alla pronuncia di una sentenza giusta, ma come esclusivo tutore del diritto dell'imputato ad ottenere la sentenza più favorevole. Il difensore concorre alla giustizia di tale sentenza in quanto tuteli con il massimo rigore l'anzidetto interesse alla pronuncia più favorevole in un processo che fa della contraddizione tra le parti lo strumento più efficace per approdare alla verità ed alla giustizia.

Il lemma difendere, derivante dal latino defendere, composto da de - sottrattivo e fendere, pare affondare le proprie radici etimologiche nell'importante famiglia lessicale indoeuropea GwHEN che, a propria volta, esprime il concetto di «colpire con un corpo contundente».

L'analogia tra «colpire con un corpo contundente» e l'attività dell'accusa risalta tanto il ruolo dell'ad-vocatus, mirabilmente svelato dal CARNELUTTI quale «chiamato in aiuto» 1, quanto il nesso tra il diritto alla difesa ed il diritto di chi sia coinvolto in un procedimento penale (o civile) ad essere effettivamente assistito da un «tecnico del diritto» di sua fiducia o d'ufficio.

La difesa tecnica 2, di fiducia o d'ufficio 3, come rilevato dalla giurisprudenza costituzionale e dalla riflessione teorica concorre ad integrare, sotto forma di bene strumentale 4, il contenuto del diritto di difesa 5, inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, garantito 6 dall'art. 24 comma 2 Cost.

La pienezza di tale manifestazione del contenuto del diritto alla difesa è accentuata, nel nostro sistema positivo, dal fatto che, mentre il diritto costituzionale alla difesa personale comprende anche l'omissione di qualsiasi iniziativa difensiva, il diritto alla difesa tecnica non consente la mancata nomina o il rifiuto di un difensore. Sebbene il secondo comma dell'art. 99 c.p.p. riconosca all'imputato (o all'indagato ex art. 61 c.p.p.) il diritto di «togliere effetto, con espressa dichiarazione contraria, all'atto compiuto dal difensore prima che, in relazione all'atto stesso, sia intervenuto un provvedimento del giudice», nessuna disposizione costituzionale (o d'altro grado) garantisce all'imputato, il quale voglia difendersi da solo o non difendersi affatto, il diritto ad escludere dal procedimento il difensore che a norma di legge ordinaria gli venga nominato d'ufficio quando egli non ne designa una di fiducia 7.

Coessenziale alla difesa tecnica è il carattere dell'effettività che impone all'avvocato di svolgere in modo pieno e completo il proprio mandato: l'incompatibilità del difensore di più imputati, o indagati (art. 106, comma quarto), nello stesso procedimento di fatto, corrispondendo ad una mancanza di assistenza 8, compromette in radice non solo il principio dell'effettività della difesa, ma anche quella del contraddittorio ex art. 111 Cost. nuova formulazione.

L'anima reazionaria del vecchio codice (lodata da alcuni plauditores nei lavori preparativi) ispirava l'art. 133, testo 1930 9: l'incompatibilità, ossia l'essere non difeso uno degli imputati, vi scadeva a difetto rilevabile solo dall'interessato, appena se ne accorgesse e, anche se fosse rimasta occulta, doveva rilevarla in tempo utile, senza sospensione del procedimento; altrimenti, ammoniva una clausola ringhiosa, non se ne sarebbe tenuto alcun conto. Era norma invalida ed è caduta 10

11.

Più incisiva (l'incompatibilità è rilevata dal giudice d'ufficio o dal P.M. nel corso delle indagini preliminari) è la tutela del diritto alla difesa approntata dall'art. 106 c.p.p.: «1. Salva la disposizione del comma quarto bis la difesa di più imputati può essere assunta da un difensore comune, purché le diverse situazioni non siano tra loro incompatibili. 2. L'autorità giudiziaria, se rileva una situazione di incompatibilità, la indica e ne espone i motivi, fissando un termine per rimuoverla. 3. Qualora l'incompatibilità non sia rimossa, il giudice la dichiara con ordinanza provvedendo alle necessarie sostituzioni a norma dell'art. 97. 4. Se l'incompatibilità è rilevata nel corso delle indagini preliminari, il giudice, su richiesta del pubblico ministero o di taluna delle parti private e sentite le parti interessate, provvede a norma del comma terzo. 4 bis. Non può essere assunta da uno stesso difensore la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nel medesimo procedimento o in procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12 o collegato ai sensi dell'articolo 371, comma 2, lett. b). Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei commi 2, 3 e 4».

L'inedito ultimo comma, interpolato dall'art. 16, primo comma lett. c), L. 13 febbraio 2001 n. 45, relativa alla rimodulazione della disciplina sulla protezione ed il trattamento dei collaboratori di giustizia, prevede una nuova causa di incompatibilità, avente natura spuria rispetto alla ratio del testo originario dell'art. 106 c.p.p., ad esercitare le funzioni difensive 12.

Sebbene la separazione tra gli ambiti di spettanza della legge e della deontologia escluda la cogenza delle norme della seconda specie, il tema dell'incompatibilità del difensore trova indiretta regolamentazione nel corpo del Codice Deontologico Forense: mentre l'art. 7, qualificando quale infrazione disciplinare il comportamento dell'avvocato che consapevolmente compia atti contrari all'interesse del proprio assistito, implicitamente censura l'attività di chi, assumendo la difesa di più posizioni incompatibili, venga a trovarsi nella condizione di non poter giovare ad una parte senza nuocere all'altra 13, l'art. 5, comma u.c., innestandosi su altro profilo della questione, vietando all'avvocato che sia indagato o imputato in un procedimento penale di assumere o mantenere la difesa di altra parte nello stesso procedimento 14, individua una causa di incompatibilità che, peraltro, è stata ricavata dalla giurisprudenza in via interpretativa dal solo testo dell'art. 106 c.p.p. Page 8

@2. La «duplice» ratio dell'art. 106 c.p.p.

Il primo comma dell'art. 106 c.p.p. è diretto a tutelare l'effettività della funzione difensiva 15 garantendo, non solo che la difesa comune non comporti la compressione degli interessi di una parte a vantaggio dell'altra, ma, al contempo, la più ampia libertà del patrocinatore da remore morali o giuridiche nella scelta della strategia processuale implicitamente riconosciuta dall'art. 24 comma secondo Cost.

Applicando analogicamente la suddetta ratio 16, inoltre, ammettendosi il rilievo di situazioni che fuoriescono dallo schema normativo tracciato dall'art. 106, è stata ritenuta invalida, in quanto in grado di generare un'assistenza non effettiva e, dunque, inesistente, la difesa prestata in appello di un professionista - designato d'ufficio - che avevano svolto le funzioni di giudice onorario nel processo di primo grado 17.

Quanto all'individuazione, alla valutazione e all'eventuale rimozione della situazione di incompatibilità, l'opportunità di richiamare l'attenzione degli imputati o del difensore che non se ne siano avveduti e di consentire all'imputato che manifesti la propria volontà di conservare la difesa la possibilità di interloquire con il giudice, combinata a quella di non rimettere esclusivamente al difensore 18 la valutazione di una situazione dagli effetti dirompenti sugli atti processuali danno ragione delle norme di procedura dirette a tal fine (art. 106 comma secondo e terzo).

Il comma quarto bis, viceversa, pur richiamando il tema dell'incompatibilità e la prevista procedura diretta alla sua rimozione, fonda la propria ratio non sull'effettività della difesa, ma sulla necessità di garantire la piena gestione processuale dei collaboratori di giustizia, evitando prospettazioni artatamente coordinate al fine di inquinare la trasparenza dell'iter processuale e la genuinità nella formazione della prova 19.

La differente ratio, peraltro, dà ragione del fatto che mentre al fine di apprezzare l'incompatibilità di cui al primo comma dell'art. 106 si rende necessaria una valutazione in concreto delle posizioni processuali coinvolte in «riferimento al momento in cui vengono posti in essere i singoli atti» 20, il comma quarto bis delinea una situazione di incompatibilità, per così dire, automatica: in questo caso, per aversi incompatiblità, è sufficiente che più imputati difesi dal medesimo avvocato facciano convergenti dichiarazioni accusatorie nei confronti di altro coimputato senza che si renda necessaria alcuna valutazione in ordine ai rapporti che si vengono ad instaurare tra le varie difese.

Beneficiaria dello smembramento della difesa dei propalanti è la parte sulla quale convergono le dichiarazioni accusatorie, non i codifesi: ratio e conseguenze rendono l'ipotesi de qua estranea alla logica dell'incompatibilità di cui al primo comma ed inducono a non condividere l'opzione interpretativa 21 che, risolvendo il caso della chiamata in correità effettuata da un soggetto nei confronti di altro codifeso nell'ipotesi di dichiarazioni sulla responsabilità di altro imputato ex comma quarto bis, esclude la necessità di verificare in concreto la presenza di un contrasto tra linee difensive «automaticamente» attivando il meccanismo procedurale diretto alla rimozione dell'incompatibilità.

Il caso della codifesa di due (o più) parti delle quali una chiami in correità l'altra, appartenendo all'ambito di operatività del primo comma dell'art. 106, implica l'analisi delle condizioni che generano quella che, autorevolmente, è stata definita «pseudodifesa» 22.

Data la varietà di rapporti che si possono instaurare tra diverse difese, al fine di non restringere troppo situazioni che non sempre si manifestano in modo chiaro e preciso, e di evitare un ricorso ad una casistica che, se legislativamente fissata, si presterebbe a facili abusi quanto a...

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