La didattica e la ricerca

AutoreValerio Lemma
Pagine81-94

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@1. Cultura della formazione nella società globale

Costituisce un dato di comune conoscenza l’importanza crescente che deve essere ascritta alla formazione ed all’acquisizione dei saperi in una società globale e multiculturale, qual è quella che si è determinata negli ultimi decenni. La nuova realtà individua, infatti, una «rete a maglie strette» intorno al pianeta che dovrebbe consentire la libera circolazione delle idee, unitamente a quella dei servizi e dei beni economici.

In tale contesto, da tempo, la politica ha ricercato adeguate strategie destinate a sviluppare le capacità e le competenze secondo criteri che, sopravanzando le necessità del contingente, segnassero un significativo momento di apertura verso le esigenze dei meno qualificati. Ciò, nel convincimento che la società del futuro dovrà necessariamente tendere verso forme di integrazione culturale che vedano il definitivo superamento delle disparità e, dunque, realizzino condizioni di uguaglianza sostanziale tra gli uomini.1

Al profondo cambiamento dei rapporti intersoggettivi recati dal processo di globalizzazione in atto deve fare riscontro un rinnovamento delle modalità di formazione culturale, in vista di una massimizzazione del benessere sociale che si rende indispensabile per la realizzazione degli obiettivi di cui sopra si è detto. Colmare i ritardi, volgere in positivo le criticità che si registrano nell’attuale sistema di

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acquisizione e di trasmissione dei saperi sono le finalità cui tendono le politiche degli stati attenti a creare condizioni sociali per uno sviluppo sostenibile.2 di fondo, v’è l’apertura ad una revisione dell’apparato statuale e l’accettazione di modifiche, della propria identità, rivenienti da un’interdipendenza complessa che avvicina le conoscenze dei diversi Paesi del pianeta.

Avere consapevolezza di tale stato di cose, riuscire ad identificare i percorsi adeguati a proporre una modernizzazione delle strutture organizzative delle nostre università (che tenga conto delle esperienze maturate in sistemi stranieri, talora profondamente diversi per tradizione e cultura) è l’apprezzabile obiettivo che si ripropone il d.d.l. sulla riforma dell’università italiana. Trattasi di finalità che, tenuto conto della realtà sulla quale dovranno avere impatto le regole che si intendono proporre, di certo evidenziano una difficile realizzazione.3oggi il confronto tra logiche cognitive tradizionali e inputs di tecnologie innovative, per un verso, allontana la possibilità di pervenire ad un facile ed immediato equilibrio nei processi di formazione, per altro impone di ricercare nuovi criteri ordinatori nell’analisi dei fenomeni in osservazione. Più in generale, la ricerca deve essere in grado di selezionare nella crescente (e sconfinata) massa di dati informativi quelli maggiormente affidabili, evitando di incorrere in errori dovuti sia al sovrapporsi continuo degli elementi di analisi, sia alla dinamica mutazione dello stesso oggetto di indagine. da qui la problematica relativa all’individuazione di un metodo di ricerca che sembra debba caratterizzarsi per un’impostazione autocritica, destinata ad essere rivisitazione del modo di pensare e, al contempo, fruttuoso sguardo prospettico al divenire della realtà di riferimento.

Alla luce di quanto si è detto appare evidente quanto laboriosa debba essere stata la definizione – nel d.d.l. di riforma – dello stato giuridico dei professori e dei ricercatori universitari (art. 6), attesa l’esigenza primaria di riuscire a conciliare la funzione didattica e di ricerca demandata ai soggetti in parola con i nuovi orizzonti della

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formazione e della conoscenza. A ciò aggiungasi l’ulteriore problematica derivante dalla incidenza della regolazione di cui trattasi sulla salvaguardia di determinati livelli occupazionali; ed invero, la riferibilità ai «giovani» sollecita l’impegno della politica che – sulla base di un condiviso orientamento religioso – si propone la valorizzazione dell’uomo, come persona e nella integrità dei suoi diritti.4

La riqualificazione dei docenti universitari ed il loro giusto posizionamento negli assetti strutturali degli atenei assurgono, quindi, a fattore di rinnovamento di una società che voglia compendiare nella giusta misura prestigio e autorevolezza, come opportunamente è stato sottolineato dalle competenti autorità ministeriali del nostro Paese.5

L’università può, dunque, essere prefigurata come centro in grado di «fornire basi ampie, solide, approfondite sulle quali ciascuno potrà innestare la propria vocazione» lavorativa.6

@2. Il ruolo dei giovani ricercatori tra leadership, responsabilità e merito

ricerca e didattica si coniugano, dunque, in un percorso inclusivo nel quale la presenza dei giovani all’interno delle università conferisce continuità alle aspettative di crescita di queste ultime, ove venga assicurato l’impegno dei medesimi nel processo di conservazione e sviluppo dei centri culturali d’appartenenza. In tale contesto, si rendono necessarie formule organizzative che – nel promuovere la conoscenza, l’innovazione e la produzione scientifica – incentivino al meglio la partecipazione alla vita accademica, intesa quale forma di colloquio multiculturale che, traendo alimento dallo scambio dei saperi, sia coeso, efficiente (sotto il profilo delle risorse) ed orientato verso il conseguimento di risultati di pragmatica evidenza.

In tal senso orienta anche la strategia Europa 2020, Bruxelles, 3 marzo 2010, p. 3 ove, tra l’altro, si presenta l’iniziativa «Youth on the move» volta a promuovere l’efficienza dei sistemi di insegnamento per agevolare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.

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È evidente come, in siffatto ordine logico, il riconoscimento di elevati livelli di autonomia universitaria debba essere inteso come presupposto per la realizzazione degli indicati obiettivi di sviluppo, che trovano adeguato supporto nel collegamento tra leadership (delle risorse) e responsabilità (nei risultati); l’una e l’altra raccordate in un ambiente favorevole all’insegnamento ed allo studio.7 Ne consegue che gli assetti di governance non possono essere riguardati nel mero riferimento all’equilibrio finanziario dell’istituzione, ma devono assurgere a perno centrale di una «politica per la ricerca» coerente con gli indirizzi strategici che la nostra società ascrive all’attività accademica in vista delle più generali finalità di sviluppo del Paese.

Pertanto, nel riferimento a quanto si è testé precisato, la specificazione del ruolo degli operatori della ricerca non può restare circoscritta alla sola esigenza di addivenire ad un sistema nel quale siano chiarite le responsabilità di questi ultimi (rispetto ai soggetti, pubblici o privati, che a vario titolo ne finanziano l’attività) con riguardo agli esiti della produzione scientifica. da qui la necessità di definire in maniera adeguata lo stato giuridico di costoro previa individuazione di una soluzione che consenta l’integrazione della ricerca nel sistema delle professioni intellettuali; ciò, nella consapevolezza del rischio connesso ad una possibile carenza di ricercatori, donde il pericolo di rallentare l’innovazione, impoverire il patrimonio di conoscenze e minare lo stesso processo formativo dei giovani. si spiega, per tal via, il proposito della riforma di ispirarsi, nel delineare la carriera dei ricercatori, ad una dimensione sovranazionale della stessa, coerente con lo «spazio Europeo della ricerca» promosso dall’unione.8 Non va omesso di evidenziare che, nella prospettiva della riforma, la mobilità è intesa come forma di difesa dalla disoccupazione intellettuale.9 È questa la ratio che si rinviene a base di molteplici norme volte a riconoscere – nei sistemi di valutazione della crescita professionale – la piena valenza delle esperienze condotte in altri paesi, ratio che non può (e non deve) esser ricondotta in

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un ambito di mera esterofilia. A ciò aggiungasi la possibilità di carriere che si svolgono nel riferimento alla possibile interazione tra atenei, sì come è dato desumere dall’apertura ad operazioni di federazione e fusione tra questi ultimi...

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