La dichiarazione di fallimento
Autore | Stefania Biscione - Roberta Pessetti |
Pagine | 37-53 |
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LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO
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L’iniziativa
A norma dell’art. 6 L.F., novellato dalla riforma, il fallimento può es-
sere richiesto su iniziativa:
- del debitore insolvente (imprenditore commerciale), il quale, in
caso di insolvenza, qualora non ricorrano i presupposti per essere
ammesso al concordato preventivo, deve chiedere il proprio falli-
mento (cd. fallimento in proprio); se non lo fa, può incorrere nel reato
di bancarotta sempliceex art. 217, 1° comma, n. 4, L.F., secondo cui
“è punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato
fallito, l’imprenditore che […] ha aggravato il proprio dissesto, aste-
nendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con
altra grave colpa”.
In caso di società, l’istanza di fallimento in proprio deve essere presen-
tata dall’amministratore dotato del potere di rappresentanza legale.
Si è detto che quando l’imprenditore in situazione di insolvenza è una società, il ricorso
deve essere pr esentato dal rappresentante leg ale. Per tale operazione no n è necessaria
l’autorizzazione dell’assemblea o dei soci, non trattandosi di un atto negoziale né di stra-
ordinaria amministrazione, ma di una dichiarazione di scienza, oltretutto doverosa, in
considerazione delle sanzioni penali previste per il caso dell’omissione.
L’art. 14 L.F. elenca i documenti che l’imprenditore deve depositare
in Tribunale qualora chieda il proprio fallimento (elenco dei creditori
e dei crediti, scritture contabili e fiscali obbligatorie etc.);
- di uno o più creditori, anche se non muniti di titolo esecutivo o per
crediti non ancora scaduti, purché si tratti di crediti non contestati:
altrimenti, il Tribunale dovrà valutare la “fondatezza” della contesta-
zione per stabilire se la potenziale esclusione di quel credito faccia
venir meno la situazione di insolvenza;
- del pubblico ministero, in quanto la procedura fallimentare mira
a tutelare un interesse di carattere generale; il p.m., a norma dell’art.
7 L.F., è obbligato a chiedere il fallimento di un imprenditore quando
lo stato d’insolvenza di questi emerga nel corso di un procedimento
penale o da una serie di eventi quali la fuga, l’irreperibilità o la lati-
tanza dell’imprenditore, la chiusura dei locali commerciali, il trafu-
Debitore
insolvente
Creditori
Pubblico
ministero
Parte I | Il fallimento
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gamento, la sostituzione o la diminuzione fraudolenta dell’attivo da
parte dell’imprenditore, nonché, infine, quando l’insolvenza risulti al
p.m. dalla segnalazione del giudice nel corso di un processo civile.
Con il novellato art. 6 L.F. è stato soppresso il fallimento dichiara-
to d’ufficio, ossia su iniziativa del Tribunale, risolvendo in tal senso,
dopo lunghe dispute e ripetuti interventi della Corte costituzionale (ord.
n. 411/2002; sent. n. 240/2003), ogni possibile contrasto di tale pre-
visione con il principio del giusto processo sancito dall’art. 111 Cost.:
l’iniziativa del Tribunale per la dichiarazione di fallimento, prevista dal
vecchio art. 6 L.F., contrastava, secondo una parte della dottrina e della
giurisprudenza, con i principi di terzietà e imparzialità del giudice.
Tali principi implicano una dialettica processuale tra una parte che
dice e una che contraddice, rispetto alle quali il giudice si trova in
posizione di equidistanza, posizione che viene meno quando lo stes-
so giudice che deve decidere si attiva autonomamente contro la parte
cui la sentenza è destinata. Per di più il giudice non solo deve essere,
ma deve apparire terzo ed imparziale, e non può ammettersi che l’im-
prenditore chiamato a difendersi davanti al Tribunale che lo deve
giudicare possa
anche soltanto dubitare della terzietà e della imparzialità del Tribu-
nale medesimo, che avendo attivato d’ufficio il procedimento prefal-
limentare si è già formato un’opinione affermativa in ordine alla sus-
sistenza delle condizioni per la dichiarazione di fallimento.
Inoltre, la possibilità, per il giudice, di dichiarare d’ufficio il fallimen-
to era stata assoggettata al limite della cd. informazione qualificata:
il giudice, cioè, non poteva dichiarare d’ufficio il fallimento in base
alla conoscenza di uno stato di insolvenza in qualsiasi modo ricevuta,
ma occorreva che si trattasse di informazioni qualificate, acquisite in
modo ufficiale (v. Cass. n. 1876/1996).
L’esclusione dell’iniziativa d’ufficio da parte del Tribunale implica che lo stesso può pronun-
ciarsi nel merito solo in presenza di soggetto legittimato ed a condizione che la domanda
non sia rinunciata; pertanto, nel caso in cui il creditore ricorrente rinunci alla domanda o
venga accertata l’insussistenza del suo credito con conseguente carenza di legittimazione
attiva, il Tribunale potrà pronunciarsi solo in rito con decreto di improcedibilità/inammis-
sibilità, senza alcuna possibilità di ulteriore esercizio di giurisdizione (v. Cass. civ. 11-2-2011,
n. 3472), e, dunque, senza poter, come in passato, indagare ulteriormente sull’esistenza
dell’insolvenza onde pervenire, eventualmente, ad una dichiarazione di fallimento d’ufficio.
Come si è già detto (Cap. 2), la dichiarazione di fallimento può col-
pire anche l’imprenditore, individuale o collettivo, che abbia cessato
l’attività d’impresa entro un anno dalla cancellazione dal registro
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