Il dialogo tra giurisprudenza costituzionale e sistema ordinamentale

AutoreRoberto Pessi
Pagine913-932
Roberto Pessi
Il dialogo tra giurisprudenza costituzionale e sistema ordinamentale
S: 1. Tradizione e valori costituzionali. - 2. Società civile e legittimazione del diritto. - 3. Interessi
materiali e principi morali. - 4. Positivizzazione e diritto senza norme. - 5. Solidarietà e razionalizza-
zione dei diritti sociali. - 6. Razionalità e bilanciamento. - 7. Interpretazione e diritto vivente. - 8.
Federalismo e frammentazione regolativi. - 9. Identità nazionale e ordinamento comunitario.
1. Nella relazione svolta al seminario di Bertinoro del luglio 2005 Natalino Irti ri-
chiamava l’aforisma di Nietzsche ancorato alla premessa che la rottura tra il diritto e la
tradizione comporta che il primo perda il suo connotarsi come insieme di regole condi-
vise per farsi imposizione arbitraria1.
Irti trovava conforto nella sua provocazione dal frantumarsi dell’ordito delle fonti,
ulteriormente accentuato dal sovrapporsi degli attori nazionali e comunitari, dai ricor-
renti conf‌litti di competenze sovranazionali ed intranazionali, dalla crescente centralità
dell’autonomia collettiva e di quella individuale, dalla incalzante pervasività della Lex
mercatorum, dal complessivo disegnarsi di quello che è stato icasticamente def‌inito il
«caos normativo»2.
Va detto, peraltro, che l’evolversi del diritto è da sempre segnato da ampie scansioni
temporali nelle quali l’instabilità socio-economica determina la rottura con la tradizione.
Ma in questa rottura si genera un processo lungo e sof‌ferto che porta al graduale sedi-
mentarsi di una nuova tradizione, cioè di un insieme di regole e valori socialmente con-
divisi3.
Certo questo continuo f‌luire porta spesso alla solitudine del giurista, impossibilita-
to all’utilizzo del metodo e delle categorie concettuali consolidatisi nella grande tradizio-
ne classica; essa è il risultato di un assetto normativo segnato da continue modif‌iche
suggerite dall’“ansia del riformismo”; e può comportare «il rif‌luire nella ridotta dell’ese-
gesi» per la carenza di riferimenti sistemici cui ancorare operazioni ricostruttive4.
Né può indurre ad ottimismo la propensione del diritto e nel diritto a ragionare per
eccezioni e ad abbandonare la norma generale ed astratta; tanto più laddove la stessa
giurisprudenza, come sottolineava Mattia Persiani nella sua relazione al sopra ricordato
seminario di Bertinoro, contribuisce, con il suo farsi contraddittoria ed autoreferenziale,
1 Al seminario di Bertinoro, 15-16.7.2005, Le fonti e l’interpretazione nel diritto del lavoro, Natalino Irti e
Mattia Persiani svolsero due relazioni sul tema L’interpretazione: categorie concettuali e argomentazioni retori-
co-persuasive. Vedi già del primo Autore 1990; Id. 1999a, 2; Id. 1999b.
2 L’espressione «caos normativo» è di Pedrazzoli 2004, 1181 ss.; Ghera 2006a, 8; Rusciano 2005, 1027, è
ripresa da Franco Carinci nella sua relazione introduttiva (Le fonti) del seminario, cit. nt. 1.
3 Bobbio 1995; Romano S. 1951; Giugni 1960. In questa prospettiva, per l’articolarsi dell’evoluzione ordi-
namentale v. Gaeta, Viscomi 1999, 227 ss.
4 Natalino Irti ha più volte richiamato nella sua relazione la solitudine del giurista, indotta, tra l’altro, da
questa continua vocazione alla riforma dell’assetto normativo.
914 Studi in onore di Edoardo Ghera
ad un clima di incertezza5, nel quale diviene dif‌f‌icile af‌fermare (o ricercare) la “comune
ideologia normativa” del realismo scandinavo come mezzo per pervenire alla regola giu-
sta nel caso concreto o anche come sinonimo di una condivisa tradizione giuridico-cul-
turale6.
Per altro verso, tuttavia, guardando al passato, questi traumi ordinamentali hanno
sempre segnato le fasi di passaggio da una all’altra comune ideologia normativa7.
Lo stesso diritto del lavoro, del resto, ha conosciuto processi di formazione di una
tradizione giuridico-culturale e di formalizzazione della conclusione dei processi stessi. Si
pensi, esemplif‌icativamente, all’esperienza probivirale che ha generato la stessa legge per
l’impiego privato e poi successivamente la codif‌icazione del ’42. Ma anche alla stessa
costituzionalizzazione del diritto del lavoro che si è posta come sintesi tra la comune
ideologia normativa, costruita sull’esperienza del rapporto di lavoro vissuta dagli inizi
del ’900, ed i valori che si erano rapidamente consolidati nel breve ma intenso periodo
della resistenza e del primissimo dopoguerra8.
Semmai, restando all’aforisma di Nietzsche, può chiedersi se la fase normativa che
determina la frattura con la tradizione passata ed apre la formazione di quella futura sia
necessariamente “arbitraria”, in quanto impositiva, o non possa essere la naturale presa
d’atto del modif‌icarsi nella coscienza sociale dei valori che erano a fondamento della
comune ideologia normativa. Per restare al diritto del lavoro, è questa la possibile ambi-
valente lettura dello Statuto dei lavoratori, che segna il passaggio storico tra due diverse
tradizioni giuridico-culturali; e che oggi esprime, comunque, una ideologia normativa
consolidata nel sentire sociale9.
E, d’altra parte, laddove la coscienza collettiva abbia acquisito una tradizione come
propria, anche in ragione dei processi comunicativi che ne hanno favorito il radicamen-
to10, la regola interiorizzata si prospetta a complessa modif‌icabilità anche in presenza di
indiscussi presupposti economici; esemplare, al riguardo, è la vicenda del passaggio dal-
la pensione retributiva a quella contributiva e della contestuale impermeabilità della
società alla recezione della previdenza complementare11.
Si torna al raccordo necessitato della tradizione come sintesi di valori socialmente
condivisi, in quanto tale capace di esprimere una comune ideologia normativa, con il pro-
cesso evolutivo che interessa quegli stessi valori e si esprime nel costante modif‌icarsi dell’as-
5 Richiamo qui la relazione di Mattia Persiani, cit. a nt. 1. La dialettica tra le due relazioni ha sollecitato
importanti interventi, tra cui quelli di De Luca Tamajo, Del Punta, Miscione, Roccella, Scognamiglio e
Vallebona. Le relazioni e gli interventi possono leggersi negli atti in corso di pubblicazione.
6 Mi riferisco alla relazione di Carla Faralli svolta nello stesso seminario di Bertinoro prima ricordato (Il
metodo tra formalismo e antiformalismo). Esemplare in termini di maturazione di valori condivisi è la nascita
dell’assicurazione infortuni sul lavoro, v. Gaeta 1986.
7 Ancora Carla Faralli che segnala come la costruzione di un giudizio sociale condiviso sia il risultato di una
complessa elaborazione che investe tutti gli attori, istituzionali e non, del sistema.
8 Tarello 1967; Dell’Olio 1998, 803 ss.
9 Pace 1985, 601 ss.; Baldassarre 1991, 639 ss.; Rimoli 1992, 3712 ss.
10 L’importanza del processo comunicativo nel radicamento di valori etici e di principi morali condivisi è
sottolineata da Vincenzo Ferrari nella sua relazione al più volte richiamato seminario di Bertinoro (L’appor-
to delle scienze socio-economiche).
11 Persiani 1996, 53 ss.; Antonini 1996, 3721.

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