Corte di cassazione civile sez. II, 5 settembre 2013, n. 20394
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giur
Arch. loc. e cond. 2/2014
LEGITTIMITÀ
domanda, né dopo il mutamento del rito, né in appello, la
pronuncia d’ufficio “di risoluzione del contratto ex novo”
sarebbe palesemente viziata da extrapetizione. Precisano
i ricorrenti che, a fronte della ultrapetizione, non potreb-
be addursi la domanda da loro formulata in subordine,
trattandosi non di domanda riconvenzionale ma di mera
istanza subordinata, formulata nell’ipotesi di non interve-
nuta integrale novazione del contratto ma di mera modifi-
ca della sua decorrenza.
2.1. Il motivo è infondato.
Il divieto di ultra o extra petizione di cui all’art. 112
c.p.c. viene violato quando il giudi ce pronun zia oltre i
limiti della doman da e delle eccezioni proposte dall e
parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giu-
dizio e non ri levabili d’uffici o, attribuendo un bene non
richiesto o diverso da quello domandato. (Cass. 24 luglio
2012, n. 12943).
Nel caso all’esame deve escludersi il dedotto vizio di
ultrapetizione, alla luce di tale principio e tenuto conto
che, come evidenziato dalla Corte di merito, gli appellati
anche in quel grado non avevano escluso radicalmente la
modificazione dell’immobile locato dedotta ex adverso ma
si erano limitati a dedurre che tale modifica, congiunta
all’aumento del canone, non integrava una novazione og-
gettiva dell’originario rapporto e che comunque gli stessi
appellanti, sia pure in via subordinata, avevano chie-
sto individuarsi la data di scadenza al 31 marzo 2003 (v.
sul punto anche le conclusioni dell’atto di appello degli
attuali ricorrenti, riportate a p. 4 e 5 del ricorso), sicché
poco rilevano le precisazioni formulate al riguardo da que-
sti ultimi; in tale contesto, infatti, il Giudice del merito
ha deciso sulla base dell’esatto accertamento dell’epoca
di inizio del rapporto di locazione effettivamente in corso
tra le parti al momento della proposizione della domanda
(Cass. 25 novembre 2003, 17913).
Si osserva, peraltro, che la decisione del Giudice del
merito è in linea con l’orientamento della giurisprudenza
di legittimità secondo cui in caso di domanda giudiziale
di risoluzione del contratto di locazione per scadenza del
termine legale, l’eventuale errore nella indicazione della
data di scadenza del contratto, in cui sia incorso il locato-
re, non comporta la reiezione della domanda, né configura
un caso di extra o ultrapetizione la rettifica operata dal
giudice al riguardo, allorché, come nel caso di specie, è
la legge a determinare termini e date; infatti, la causa pe-
tendi dell’azione di licenza per finita locazione è costituita
dalla risoluzione del contratto alla scadenza naturale,
che è onere del giudice accettare in base alla normativa
(alternativamente contrattuale o legale) che disciplina
il rapporto, ed a prescindere dalle indicazioni (eventual-
mente erronee) delle parti (Cass. 12 settembre 2000, n.
12028; Cass. 9 ottobre 1998, n. 10030; Cass. 11 settembre
1996, 11. 8223; v. anche Cass. 14 luglio 2006, n.16120).
3. Con il secondo motivo, intitolato “violazione e falsa
applicazione di norma di diritto art. 360 n. 3 c.p.c. in re-
lazione all’art. 112 c.p.c. - non corrispondenza tra il chie-
sto e il pronunciato - Vizio di ultrapetizione”, articolato -
come precisato dagli stessi ricorrenti - in via “subordinata
e residuale, per l’ipotesi che il vizio di ultrapetizione della
sentenza non venga ritenuto causa di nullità della senten-
za (art. 360 n. 4 c.p.c.) ma violazione o falsa applicazione
di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.)”, Cristofari Teresa e Cruciani
Sandro ripropongono - come da essi espressamente affer-
mato (v. ricorso p. 19) – i medesimi argomenti già rappre-
sentati con il primo motivo e richiamati per relationem.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Ed invero, il vizio di extrapetizione, risolvendosi nella
violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronun-
ciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo
grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con
la denuncia della violazione di una norma di diritto so-
stanziale ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., o del vizio
di motivazione, ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., in
quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del
merito abbia preso in esame la questione oggetto di do-
glianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non cor-
retto ovvero senza giustificare (o non giustificando ade-
guatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso
la specifica deduzione del relativo error in procedendo
ovverosia della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione
all’art. 360 primo comma, n. 4, c.p.c. - la quale soltanto
consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità
(in tal caso giudice anche del fatto processuale) di effet-
tuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio
di merito. (v. Cass. 27 gennaio 2006, n. 1755; Cass., ord., 8
aprile 2011, n. 8112 non massimata).
4. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
5. Non vi è luogo a provvedere per le spese del giudizio
di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difen-
siva in questa sede. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE
SEZ. II, 5 SETTEMBRE 2013, N. 20394
PRES. TRIOLA – EST. MANNA – P.M. PRATIS (DIFF.) – RIC. DE PASCALE (AVV. DI
PIETRO) C. COZZOLINO (AVV. BARBATO) ED ALTRA
Comproprietà indivisa y Uso della cosa comune y
Estensione e limiti y Immobile comune goduto per
intero da un solo comproprietario y Applicabilità
dell’art. 1148 c.c. y Esclusione y Fondamento y Ob-
blighi nei confronti degli altri condividenti y Corre-
sponsione dei frutti civili y Quantificazione y Criteri
y Valore locativo del bene y Configurabilità.
. In materia di comunione, il comproprietario di un
bene fruttifero che ne abbia goduto per l’intero senza
un titolo giustificativo - esclusa l’applicabilità dell’art.
1148 c.c., che disciplina il diverso caso della sorte dei
frutti naturali o civili percepiti dal possessore di buona
fede tenuto a restituire la cosa al rivendicante - deve
corrispondere agli altri, quale ristoro per la privazione
dell’utilizzazione “pro quota” del bene comune, i frutti
civili, che, identificandosi con il corrispettivo del godi-
mento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere
a terzi secondo i correnti prezzi di mercato, possono
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