La Detenzione Domiciliare Speciale Nella Lettura Della Corte Costituzionale

AutoreMassimiliano Tiberio
Pagine593-598
593
giur
Arch. nuova proc. pen. 6/2017
CORTE COSTITUZIONALE
L’accertata violazione dell’art. 31, secondo comma,
Cost., determina l’assorbimento delle censure relative agli
altri parametri costituzionali evocati.
È appena il caso di rilevare, inf‌ine, che la presente pro-
nuncia d’accoglimento non mette in pericolo le esigenze di
contrasto alla criminalità che avevano indotto il legislato-
re ad introdurre la preclusione qui caducata.
Da un lato, il comma 1-bis dell’art. 47-quinquies della
legge n. 354 del 1975, oltre a consentire che la prima fra-
zione di pena sia scontata in un istituto a custodia atte-
nuata per detenute madri, aff‌ida al prudente apprezza-
mento del giudice – come si è evidenziato – l’accesso della
condannata alla detenzione nella propria abitazione o in
altro luogo di privata dimora, ovvero di cura, assistenza o
accoglienza, condizionandolo all’insussistenza di un con-
creto pericolo di commissione di ulteriori delitti o di fuga.
Dall’altro, rientrando l’istituto in oggetto tra le misu-
re alternative alla detenzione, ai condannati per uno dei
delitti di cui all’art. 4-bis della legge n. 354 del 1975 resta
pur sempre applicabile il complesso ed articolato regime
previsto da tale disposizione per la concessione dei bene-
f‌ici penitenziari, in base, però, alla ratio della sentenza n.
239 del 2014 di questa Corte, secondo la quale la mancata
collaborazione con la giustizia non può ostare alla conces-
sione di un benef‌icio primariamente f‌inalizzato a tutelare
il rapporto tra la madre e il f‌iglio minore. (Omissis)
LA DETENZIONE DOMICILIARE
SPECIALE NELLA LETTURA
DELLA CORTE COSTITUZIONALE
di Massimiliano Tiberio
1. Con la sentenza 8 marzo 2017, n. 76, che si anno-
ta, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 47-quinquies comma 1-bis, L. 26
luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenzia-
rio e sulla esecuzione delle misure privative e limitative
della libertà), limitatamente alle parole “Salvo che nei
confronti delle madri condannate per taluni dei delitti
indicati nell’art. 4-bis” (1). Viene meno dunque, come me-
glio si dirà più avanti, l’automatismo preclusivo che non
consentiva alle madri di prole inferiore a 10 anni, condan-
nate per uno dei reati di cui all’art. 4-bis ord. penit., di
accedere alla detenzione domiciliare speciale senza una
previa espiazione di almeno un terzo della pena ovvero di
quindici anni in caso di condanna all’ergastolo.
2. Prima di entrare nel merito delle ragioni che hanno
condotto a tale pronuncia, appare utile soffermarsi breve-
mente, e senza pretesa alcuna di esaustività, su quelli che
sono i connotati e le origini storiche dell’istituto che ha
costituito oggetto di attenzione della Consulta.
La forma speciale di detenzione domiciliare, è bene
premettere, si inserisce in un contesto di specif‌ica atten-
zione sin da tempo dimostrata dal legislatore al tema della
maternità e dell’infanzia, ritenuto di preminente impor-
tanza sia dall’art. 31 comma 2° Cost., sia da fonti sovra-
nazionali, quali l’art. 3 della Convenzione ONU sui diritti
dell’infanzia (2), che prevede il principio del superiore
interesse del fanciullo, e l’art. 24 comma 2° della Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che prescri-
ve che in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti
da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse
superiore del minore debba essere considerato preminen-
te. Si pensi, ad esempio, all’art. 11 commi 8° e 9° ord. pe-
nit., che offre alle gestanti e alle puerpere servizi speciali
per la loro assistenza sanitaria e consente alle madri di
tenere presso di sé i f‌igli f‌ino all’età di tre anni, aff‌idando
all’amministrazione penitenziaria il conseguente compito
di organizzare per questi ultimi appositi asili nido (3),
oppure all’art. 50, ult. comma, ord. penit., che prevede la
possibilità per le madri di prole di età inferiore a tre anni
ammesse alla semilibertà di usufruire della casa di cui
all’art. 101 comma 8° reg. esec. (D.P.R. 30 giugno 2000, n.
230) o, ancora, agli artt. 146 e 147 c.p., che prevedono il
rinvio obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena
per le donne incinte o per le madri di infante di età rispet-
tivamente inferiore ad uno o tre anni.
L’introduzione, ad opera della L. 10 ottobre 1986, n. 663
(c.d. “Legge Gozzini”), dell’art. 47-ter ord. penit., discipli-
nante l’istituto della detenzione domiciliare, ha poi note-
volmente arricchito il quadro degli strumenti a tutela del
rapporto genitori-f‌igli. Mediante tale disposizione, infatti,
si è prevista la possibilità per le madri di prole di età non
inferiore a tre anni – successivamente innalzati a dieci
– con lei convivente di espiare la pena della reclusione
non superiore a quattro anni, anche se costituente par-
te residua di maggior pena, presso abitazioni o istituti di
assistenza ed accoglienza. Possibilità, quest’ultima, estesa
successivamente dalla Corte costituzionale anche al padre
qualora la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente
impossibilitata a dare assistenza alla prole (4).
E così, in un crescendo di attenzione verso l’interesse
preminente del minore, un netto progresso è stato appor-
tato dalla L. 8 marzo 2001, n. 40, intitolata “Misure alter-
native alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute
e f‌igli minori”, che ha ampliato in maniera signif‌icativa
la gamma di istituti volti a dare concreta attuazione al
principio costituzionale di cui all’art. 31 comma 2° Cost.
(5). Dapprima, è stato inserito l’art. 21-bis ord. penit.,
rubricato “Assistenza all’esterno dei f‌igli minori”, a men-
te del quale le condannate e le internate possono essere
ammesse alla cura e all’assistenza all’esterno dei f‌igli di
età non superiore ad anni dieci, alle condizioni previste

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