Detassazione della prima casa: è davvero la strada giusta?

AutoreG. T.
Pagine575-576
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Arch. loc. e cond. 5/2015
Varie
DETASSAZIONE DELLA PRIMA
CASA: È DAVVERO LA STRADA
GIUSTA?
di G. T.
La stampa ha dato ampio risalto al proposito espresso
dal premier Renzi di detassare la pima casa. L’argomen-
to si presta ovviamente a un risalto mediatico. Ma, dal
momento che le minori entrate erariali dovranno essere
coperte in altro modo, dobbiamo chiederci se sia questa
la strada giusta. Partiamo da un esempio concreto: suppo-
niamo che io sia proprietario di due immobili residenziali,
uno a Venezia, dove appunto risiedo, ed uno nel Comune
di Vattelapesca. Con il ventilato sistema io quindi non
pagherò le imposte a Venezia, dove peraltro, residendovi,
utilizzo i servizi generali, dall’anagrafe alla pulizia delle
strade e via discorrendo. Pagherò invece le imposte al
Comune di Vattelapesca dove non metto mai piede e dove
quindi non utilizzo alcun servizio pubblico. Gli appas-
sionati di scienza delle f‌inanze rispolvereranno a questo
punto la teoria della traslazione delle imposte, secondo la
quale recupererò queste imposte aumentando il canone
locatizio del mio immobile di Vattelapesca. Ma, a parte la
scarsa applicabilità pratica di questo principio dottrinale,
sorge un altro problema. È giusto che il mio inquilino, il
quale vive in una casa di aff‌itto perché non vuole o non può
permettersi una casa di proprietà venga gravato non solo
del canone locatizio “normale”, ma anche di quell’aggiun-
ta dovuta appunto alle imposte traslate? Aggiungo che è
lecito sospettare – anche perché è quello che si è sempre
fatto – che il minore gettito dovuto all’esenzione delle
prime case porti ad una maggiore imposizione degli altri
immobili. È invece il problema generale della tassazione
degli immobili che va rivisto ed affrontato. Non penso che
la crisi immobiliare si risolva facendo acquistare un certo
numero di abitazioni come prime case. Aggiungo che fare
degli italiani un popolo di abitati proprietari della propria
casetta, e quindi con scarsa propensione agli spostamenti
(per studio, lavoro od altro) è assurdo ed antistorico. Fi-
nora si è f‌initi per far pesare sugli immobili i guasti delle
f‌inanza pubblica, e ciò per il solo fatto che, mentre ingenti
capitali f‌inanziari possono spostarsi da un paese all’altro
con un semplice ordine al computer e delocalizzare l’atti-
vità produttiva non è poi molto diff‌icile, gli immobili non
possono essere spostati. Ma, a parte le questioni sull’e-
quità, la ragionevolezza (1) e la stessa costituzionalità
di una siffatta impostazione, è opportuno esaminarne le
conseguenze economiche. L’eccessivo gravame tributario
ha avuto come conseguenze il grave deterioramento di un
settore economico, quello appunto immobiliare, che con il
suo indotto, inf‌luenza – in questo caso in senso deteriore
– l’intera economia ed i suoi settori produttivi. In concreto
se non si perverrà ad una più equilibrata tassazione dei
vari comparti economici si f‌inirà per danneggiare anche
quelli (sostanzialmente gli industriali) che si sarebbero
voluti proteggere. Va poi fatta una considerazione e cioè
che le non certo generose agevolazioni concesse al settore
immobiliare sono state sinora limitate ai beni di proprietà
di persone f‌isiche.
Pensiamo alle spese per recupero del patrimonio edi-
lizio, alle spese di riqualif‌icazione energetica ed altre an-
cora, f‌ino all’ormai storica diatriba sulle determinazione
del reddito tassabile per gli immobili storici, quasi che
l’obiettivo (la riqualif‌icazione, il risparmio energetico, la
tutela dei beni storici e così via) fosse perseguibile solo
dalle persone f‌isiche.
Ha senso tutto questo? Se guardiamo alla situazione
del settore immobiliare in generale ci accorgiamo che,
a causa delle crisi, si verif‌icano trasferimenti di proprie-
tà (si pensi alle aggiudicazioni nelle aste giudiziarie) a
prezzi quasi sempre non superiori alla metà del “valore di
perizia”.
A questo punto, per evitare un franamento dei valo-
ri degli immobili che potrebbe avere effetti devastanti
sull’intero sistema economico (si pensi agli immobili in
garanzia alle banche) sarebbe auspicabile che cospicue
disponibilità f‌inanziarie (le giacenze bancarie dimostrano
l’esistenza di patrimoni f‌inanziari in attesa di utilizzazio-
ne) si spostassero sul settore immobiliare.
Ma è ragionevole attendersi la costituzione di società
immobiliari quando esiste la consapevolezza di queste for-
me di penalizzazione, se non di ostracismo, nei confronti
delle società immobiliari (spesso gabellate come “società
di comodo”)?
Osserviamo che si sono incentivati i fondi immobiliari
(vedasi l’art. 20 del decreto Sblocca Italia n. 133/2014) e
perf‌ino le grandi società pubbliche (la CDP si è riempita
di immobili).
Dubito che i fondi immobiliari possano costituire una
risposta valida. Essi devono avere una vita limitata e la

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