Destinazione dei beni e tutela dei soggetti: la casa familiare
Autore | Domenico Costantino |
Pagine | 87-101 |
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@1. La nozione
L’assegnazione della casa familiare rappresenta uno dei punti cruciali della regolamentazione delle conseguenze della crisi del matrimonio, trattandosi di materia in cui si intrecciano fondamentali esigenze esistenziali ed economiche di tutti i membri della disciolta comunità di vita familiare.
Il tema del destino dell’abitazione nelle vicende legate alla crisi del rapporto familiare rappresenta il crocevia di delicate problematiche che toccano interessi esistenziali prima che patrimoniali dei membri della comunità familiare.
La costante attenzione per le questioni connesse a questo singolare aspetto della crisi familiare è del resto testimoniata da un vivace dibattito giurisprudenziale, che ha investito anche le sezioni unite della Corte di Cassazione, fino a sollecitare l’intervento della Corte Costituzionale.
Proprio il richiamo alla necessità dell’intervento della Corte Costituzionale1 evidenzia ancor più quali siano le difficoltà in cui si dibatte l’interprete.
Al termine di una lunga evoluzione normativa, la casa familiare risulta adesso menzionata sia nell’art. 155-quater cod. civ. (con riguardo alla separazione personale dei coniugi), sia nell’art. 6, comma sesto, L. n. 898 (in materia di divorzio), ed in tema di ordini di protezione all’art. 342-ter cod. civ.
Elemento comune di tali previsioni è, oltre al semplice dato formale, l’attribuzione ad un soggetto del diritto di godere di un certo immobile, e dei mobili che lo corredano e lo qualificano: cioè il riconoscimento e, quindi, la tutela di un certo bene, di cui solo negli ultimi decenni si è riconosciuta la rilevanza giuridica.
La legge non dà una definizione della casa familiare.
Alcune norme del codice ed alcune leggi speciali richiamano però espressamente tale bene della vita quando si riferiscono alla residenza della famiglia (art. 144 cod. civ.), alla residenza familiare (art. 146 cod. civ.) alla casa familiare (art. 155, comma quarto, cod. civ. vecchio testo, art. 155-quater, cod. civ. nuovo testo), l’art. 6, comma sesto, legge 1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall’art. 11 della Legge 6 marzo 1987, n. 74), alla casa adibita a residenza familiare (art. 540 cod. civ.), all’allontanamento dalla casa familiare (art. 342-ter, cod. civ.).
È dunque attraverso l’opera interpretativa delle Corti e della dottrina che si è potuto definire il contenuto del bene.
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Per casa familiare, topograficamente identificata con la residenza della famiglia2, si intende un insieme caratterizzato da un vincolo di destinazione che in costanza di matrimonio viene impresso a un «complesso di beni funzionalmente attrezzato per assicurare l’esistenza domestica della comunità familiare»3, di modo che l’assegnazione di essa ad uno dei coniugi corrisponda «all’esigenza di conservare l’habitat domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare»”4.
La casa familiare deve essere individuata in «relazione ad uno stato duraturo e prevalente nella convivenza familiare»5.
In tale senso è stata ritenuta necessaria la destinazione dell’alloggio alle esigenze abitative del nucleo domestico ove si è svolta, in modo abituale e permanente la vita familiare, rappresentando il centro di aggregazione della famiglia6, il luogo, come è stato detto, «in cui si realizza la comunione di vita e di affetti, dove dunque si vive materialmente, luogo in cui ci si riporta idealmente anche quando si è lontani»7.
È, dunque, necessaria la destinazione dell’alloggio alle esigenze abitative del nucleo domestico. La casa familiare che può essere oggetto del provvedimento di assegnazione è l’abitazione dove si è svolta, in modo abituale e permanente, la vita familiare e che costituisce per la prole il centro della vita e degli affetti familiari.
La Cassazione ha precisato che essa deve essere individuata in relazione ad uno stato duraturo e prevalente nella convivenza familiare: non possono, pertanto, considerarsi case familiari le abitazioni nelle cosiddette località di villeggiatura e quelle usate per soggiorni temporanei e connesse ad esigenze stagionali8 «e ciò a causa della mancanza di un rapporto di fatto permanente e corrispondente alle fondamentali esigenze primarie di abitazione»9.
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La casa familiare viene indicata come ambiente domestico, centro di affetti, di interessi e di consuetudini di vita, che contribuisce in maniera fondamentale alla formazione e allo svolgimento dell’individuo10.
@2. Oggetto del diritto
La casa familiare, non va intesa o identificata unicamente con l’immobile o come fisico parallelepipedo su cui essa insiste ma comporta l’assoggettamento allo stesso vincolo di destinazione i mobili e l’arredamento ivi esistente, nonché i suppellettili in essa contenuti, gli arredi e gli elettrodomestici esistenti al momento della separazione, con esclusione dei beni strettamente personali o che soddisfino specifiche esigenze del coniuge privato del godimento11.
E dunque oggetto della casa familiare non è soltanto l’immobile bensì anche tutti i mobili che individuano lo standard di vita familiare oggettivato in quella organizzazione di beni.
È fuori dubbio che per casa familiare debba intendersi, ai fini dell’art. 155 cod. civ., quella che ha costituito il centro di aggregazione e di unificazione della famiglia durante la convivenza; di essa debbono, perciò, far parte anche i mobili, gli arredi, gli elettrodomestici ed i servizi, con l’ovvia eccezione di beni strettamente personali o che soddisfino esigenze peculiari del coniuge privato del godimento della stessa12.
L’orientamento giurisprudenziale sembra, dunque, accogliere una nozione più ampia di casa familiare, comprensiva oltreché dell’appartamento anche di tutti quegli elementi che lo rendono abitabile, individuando così lo standard di vita familiare, in quanto collegato ad un determinato ambiente.
Su tali considerazioni si è ritenuto che l’assegnazione comprende anche il garage di pertinenza dell’appartamento: è, infatti, indubbio che l’autorimessa risponda ad esigenze peculiari della famiglia pur dopo la separazione, essendo notoria l’importanza che nella moderna vita di relazione assume l’automezzo13.
Secondo la tesi prevalente l’assegnazione della casa familiare risponde all’esigenza di garantire l’interesse – unico – dei figli alla conservazione dell’ambiente domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi e delle abitudini in cui si esprime e si articola la vita familiare al fine di evitare loro l’ulteriore trauma di un allontanamento dal luogo in cui si svolgeva la loro esistenza e di assicurare una certezza ed una prospettiva di stabilità in un momento di precario equilibrio familiare14.
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Tale specifica funzione dell’istituto comporterebbe che l’assegnazione non possa essere pronunciata in favore del coniuge affidatario ove in concreto al momento della domanda l’immobile non si configuri più come casa familiare, per essersi per qualsiasi ragione quell’habitat domestico già disciolto15.
Ed infatti qualora a seguito della separazione la casa familiare abbia cessato di essere tale e la prole si sia già definitivamente sradicata dal luogo in cui la vita domestica si svolgeva, il provvedimento di assegnazione non può assolvere alla funzione sua propria di preservare la continuità delle abitudini e delle relazioni domestiche dei figli nell’ambiente nel quale durante il matrimonio esse si sviluppavano16.
Quell’ habitat domestico non è più qualificabile come casa familiare, qualora non possa assolvere alla funzione sua propria di preservare la continuità delle abitudini e delle relazioni domestiche dei figli nell’ambiente nel quale durante il matrimonio esse si sviluppavano, ovvero a seguito della separazione la casa familiare abbia cessato di essere tale e la prole si sia già definitivamente sradicata dal luogo in cui la sua vita domestica si svolgeva.
Deve necessariamente trattarsi di un fatto compiuto, in quanto, non può considerarsi familiare la casa non già adibita a residenza della famiglia bensì meramente destinata a divenire tale17.
Così si ritiene che l’immobile che abbia perduto tale destinazione funzionale, in ragione del trasferimento del godimento a terzi o dello spostamento della residenza familiare in altro immobile di proprietà di uno o entrambi i coniugi, o in tutti i casi in cui venga a determinarsi una situazione di definitivo sradicamento dal luogo dove la vita domestica si svolgeva, non costituisce più il centro di affetti, di interessi e di consuetudini di vita18.
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Quindi la persistente sussistenza della detta qualità e destinazione funzionale dell’immobile al momento della domanda di assegnazione, assurge a fondamentale e indefettibile presupposto ai fini della vicenda acquisitiva del diritto di abitarvi, in base a provvedimento giudiziale di assegnazione o per successione a causa di morte.
@3. La novella del 2006
La legge n. 54/2006, approvata in via definitiva al Senato nel testo di legge prospettato dal d.d.l. n. 3537, accolta con grande clamore dai massmedia, ha modificato l’art. 155 cod. civ. ed ha introdotto le norme di cui agli art. 155-bis 155-sexies cod. civ.
La nuova disciplina è ancora più meritevole di attenzione, specie sotto il profilo processuale, con riguardo ai figli che hanno il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori; di qui l’introduzione di un affidamento c.d. condiviso o congiunto, che viene escluso solo a seguito di un provvedimento motivato sulla base dell’interesse del minore.
Tra le esigenze poste alla base della riforma in esame, nel contesto del perseguimento della migliore tutela degli interessi dei figli coinvolti nella crisi familiare, si colloca la particolare problematica rappresentata dalla sorte della casa familiare.
Di qui la necessità, da una parte, di superare quel rimpallo di disciplina, tra separazione personale e divorzio, che ha fino ad ora...
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