Derubricazione del reato in sentenza ed oblazione

AutoreLuca Cremonesi
Pagine627-629

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  1. La decisione. - Da molti decenni è irrisolta la regolamentazione dei rapporti che devono intercorrere tra la derubricazione del reato espressa con sentenza dal giudice, a norma dell'art. 521 c.p.p., e la formalizzazione dell'istanza di oblazione 1. Infatti, si era sempre sostenuto che, pur sussistendo le condizioni indicate dall'art. 162 c.p. e dall'art. 162 bis c.p., l'imputato non poteva fare nulla, poiché era stata superata la barriera temporale determinata dalla fase predibattimentale 2.

    La sentenza che si sta annotando, invece, interpreta estensivamente la disposizione normativa contenuta nell'art. 141 comma 4 bis disp. att. c.p.p., non circoscrivendola a quanto avviene durante l'istruttoria, ma riconoscendo che il giudice dell'esecuzione possa dichiarare l'estinzione dell'illecito penale 3. In questo modo si evita che la persona debba anticipare la domanda, durante la fase preliminare al giudizio dibattimentale, prefigurando una futura ed incerta derubricazione della imputazione che avverrà solamente con sentenza 4. In buona sostanza, non si deve pretendere che un individuo sia costretto a qualificare correttamente il reato, essendo un compito assegnato al pubblico ministero fino alle conclusioni finali e poi trasmesso al giudice, secondo il brocardo latino: Iura novit curia. L'organo giudicante è obbligato d'ufficio a concedere almeno dieci giorni all'imputato, per la proposizione della domanda di oblazione e per il versamento della relativa somma di denaro. Se il pagamento avviene nei tempi stabiliti, l'episodio contravvenzionale si estingue e la declaratoria è pronunciata, su richiesta della persona, dal giudice dell'esecuzione, competente a norma dell'art. 676 c.p.p. Altrimenti la sentenza di condanna diventa efficace ed eseguibile.

    Era stata precedentemente evidenziata, con la dichiarazione di illegittimità dell'art. 516 c.p.p. e dell'art. 517 c.p.p. 5, che l'impossibilità di richiedere l'oblazione costituiva una lesione del diritto di difesa ed era un ostacolo privo di una giustificazione razionale, quando nel giudizio dibattimentale il pubblico ministero modificava l'imputazione o contestava un reato concorrente. L'individuo si veniva a trovare in una posizione diversa, rispetto a colui che era chiamato a rispondere degli addebiti, fin dalla citazione introduttiva, non potendo salvaguardare adeguatamente il proprio interesse di fronte alla potestà punitiva statuale 6. Il superamento della dichiarazione di apertura indicata dall'art. 492 c.p.p., per richiedere l'estinzione del reato, non era riconducibile ad una libera scelta o ad una inerzia attribuibile alla persona che veniva assoggettata al processo. Se, poi, l'organo inquirente era già a conoscenza della tipologia di illecito da assegnare all'imputato 7, prima ancora di iniziare l'istruttoria, era preclusa la possibilità di richiedere l'oblazione non per una volontaria e consapevole determinazione, ma per una mera «dimenticanza» del pubblico ministero. Esisteva, quindi, una difficoltà oggettiva di evitare il dibattimento e di sottrarsi ai cambiamenti o ai reati concorrenti aggiuntivi 8.

    Anche nel codice di rito del 1930 l'individuo che era in disaccordo con la identificazione normativa non poteva anticipare la domanda di oblazione, ogni volta che, in sentenza, veniva qualificato diversamente il titolo dell'illecito, passando da un reato non oblabile in una fattispecie per la quale era ammessa l'estinzione 9. Nessuna efficacia giuridica, pertanto, poteva assumere una istanza che considerasse la situazione che sarebbe stata affermata con il provvedimento finale, né si sarebbe potuta dedurre una violazione di un diritto, poiché nel momento della dichiarazione di apertura del dibattimento non si potevano ancora esercitare le facoltà che si ricollegavano all'istituto dell'art. 162 c.p. e dell'art. 162 bis c.p. 10.

  2. Osservazioni critiche. - La decisione annotata ravvisa una fase di dieci giorni che intercorre tra l'emissione della sentenza che derubrica il reato contravvenzionale e gli effetti che ne potrebbero derivare. Si ammette, dunque, che l'istanza di oblazione possa assumere un carattere sospensivo in questo intervallo di tempo, non sussistendo, però, una completa rimessione in termini, dato che le preclusioni riguardanti gli altri illeciti rimangono. In buona sostanza, si finisce con il creare la stessa impalcatura processuale che viene adottata quando, nel corso dell'istruttoria processuale, il pubblico ministero modifica l'imputazione oppure contesta un reato concorrente 11. Tuttavia, si deve precisare che, quanto è stato previsto per il dibattimento dall'art. 141 comma 4 bis disp. att. c.p.p., non può trovare applicazione nella fase deliberativa in camera di consiglio, peché non vengono valutate adeguatamente una serie di situazioni che potrebbero accadere e che sono irrisolvibili ed ostative. Infatti, qualora dovesse esserci una costituzione di parte civile non si potrebbe procedere ad una liquidazione dei danni, nonostante si sia in presenza di una sentenza di condanna, dal momento che il giudice dell'esecuzione può emettere, nei dieci giorni successivi, una decisione di assoluzione, estinguendo il reato. Il riconoscimento delle pretese civilistiche verrebbe a dipendere dalla volontà dell'imputato di domandare l'oblazione. Tra l'altro non viene nemmeno prevista, nell'attuale sistema processuale, una norma analoga a quella stabilita, per il patteggiamento, dall'art. 444 comma 2 c.p.p., con possibilità di azionare il processo civile, per ottenere il risarcimento di quanto si è subito 12. Infine, i termini, riconosciuti alla persona danneggiata, per esprimere le critiche al provvedimento, decor-Page 628rerebbero dalla decisione del giudice dell'esecuzione e non da quello di cognizione.

    Non è neanche corretto il confronto, indicato dalla sentenza in commento, con altre situazioni che vengono considerate simili all'ammissione dell'oblazione come quando si subordina la sospensione condizionale della pena all'adempimento delle restituzioni o al risarcimento del danno o alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose dell'evento criminoso (art. 165 c.p.). In questo caso, la natura della sentenza rimane sempre quella di condanna. Viene vincolata solamente l'applicazione del beneficio. La ratio del provvedimento finale è sempre la stessa, indipendentemente dal fatto che l'imputato compia determinati comportamenti. È, quindi, improprio un parallelo con la procedura che si vorrebbe impiegare per l'istituto dell'art. 162 c.p. e dell'art. 162 bis c.p., perché si modifica l'identità della sentenza che nonostante sia di colpevolezza diventa poi di assoluzione. Le medesime critiche devono essere manifestate anche quando si prevede una uguaglianza strutturale con l'amnistia impropria o con l'indulto, condizionati all'esecuzione di specifici obblighi. In tali ipotesi, si impongono...

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