La democrazia a lezione da un sovrano assoluto: Papa Francesco e l'ergastolo

AutoreAlfonso Esposito
Pagine205-210
205
dott
Arch. nuova proc. pen. 3/2015
DOTTRINA
La democrazia a Lezione
da un sovrano assoLuto:
papa Francesco
e L’ergastoLo
di Alfonso Esposito
SOMMARIO
1. L’ergastolo oltre il Tevere. 2. L’ergastolo come rieducazione
(rin)negata. 3. Un esempio inatteso.
1. L’ergastolo oltre il Tevere
“Negli Stati moderati (…), dove la testa del minimo
cittadino è degna di considerazione, non gli si tolgono
l’onore e i beni che dopo un lungo esame; non lo si priva
della vita che quando lo accusa la patria stessa; e la pa-
tria non lo accusa senza lasciargli tutti i mezzi possibili
per difendere la vita. Così, quando un uomo si fa signore
assoluto, pensa innanzitutto a semplif‌icare le leggi. Si
comincia, in uno Stato siffatto, a essere più colpiti dagli
inconvenienti particolari che dalla libertà dei sudditi, di
cui non ci si preoccupa per nulla”.
La lunga, ma illuminante, citazione riproduce la differenza
tra democrazia e governo assoluto scolpita da MONTESQUIEU
ne Lo spirito delle leggi (1748) ed è incentrata essenzialmente
sulla considerazione degli interessi dei cittadini, con partico-
lare riferimento alla vita, alla libertà ed alla dignità. Al punto
che il giurista e f‌ilosofo francese sente il bisogno di rimarcare
ulteriormente che “gli uomini sono tutti uguali nel governo
repubblicano; sono uguali nel governo dispotico: nel primo,
perché sono tutto, nel secondo perché non sono niente” (1).
Questa premessa può rivelarsi utile per comprendere
lo spirito della rif‌lessione che di seguito verrà svolta e che
prende spunto dal recente incontro tra Papa Francesco ed
una delegazione dell’Associazione internazionale di diritto
penale (2). Il successore di Pietro non ha perso l’occasione
per stigmatizzare espressamente, fra l’altro, il ricorso all’er-
gastolo, dando seguito ad una sua precedente lettera apo-
stolica in forma di motu proprio, pubblicata il giorno 11 lu-
glio 2013, con la quale ha suggellato l’introduzione di norme
complementari in materia penale e le modif‌iche al codice
penale e al codice di procedura penale, approntate dalla
Pontif‌icia commissione per lo Stato della Città del Vaticano
con le leggi nn. VIII e IX, recanti la stessa data della lettera
apostolica. A poco più di un anno di distanza sembra op-
portuno recuperare in particolare un aspetto della riforma,
la quale recepisce numerose convenzioni internazionali ed
è entrata in vigore dal successivo 1 settembre, prevedendo
le nuove incriminazioni per il delitto commesso da chi si
procura o rivela notizie o documenti riservati, per quelli di
apartheid, genocidio e tortura e, inf‌ine, contemplando la
responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per
fatti costituenti reato; inoltre, sono stati specif‌icati meglio i
delitti contro i minori, articolati, sull’esempio della legisla-
zione penale italiana, prostituzione, arruolamento e violen-
za sessuale in loro danno, pedopornograf‌ia, detenzione di
materiale pedopornograf‌ico e atti sessuali con minori (3).
Occorre precisare che l’intervento novellistico ha ri-
guardato non l’ordinamento canonico, ma quello statuale
della Città del Vaticano – che, per la disciplina penalistica,
ha adottato nel 1929 le disposizioni dell’allora vigente codi-
ce Zanardelli del 1889 – e uno degli aspetti innovativi mag-
giormente salienti, come prima accennato, riguarda senza
dubbio l’abolizione della pena dell’ergastolo, sostituita con
la reclusione da 30 a 35 anni. Vero è che nessuno era mai
stato in precedenza condannato alla pena perpetua, in ogni
caso la novità non è apparsa meno signif‌icativa e, anzi, ha
suscitato reazioni ampiamente favorevoli, se c’è chi ha col-
to l’occasione per rimarcare che, per quel che riguarda la
legge italiana, si tratta di un segnale che “dovrebbe indurre
a ripensare il senso della pena” e di “un’occasione per ri-
f‌lettere sull’articolo 27 della Costituzione, che assegna alla
pena una funzione rieducativa” (4), mentre altri non hanno
mancato di domandarsi, causticamente, se “per sveltire le
nostre istituzioni dovremmo trarre esempio da istituzioni
che hanno due millenni di vita sul groppone?” (5).
Tuttavia, il plauso non si è rivelato unanime ed in-
condizionato, dal momento che l’apertura abolizionistica
avrebbe il suo imbarazzante contrappeso nel riconosci-
mento della pena di morte, ammessa dal tradizionale inse-
gnamento della Chiesa come reazione legittima della pub-
blica autorità per casi di estrema gravità (come conferma
il Catechismo della Chiesa cattolica, parte III, sez. II, cap.
II, art. 5, § 2266); a tale contraddizione si aggiungerebbe
anche l’altra di non aver previsto, nelle linee guida dettate
da molte Conferenze episcopali in materia di pedof‌ilia,
l’obbligo di denunciare gli autori del crimine (6).
E comunque, la ‘rivoluzione vaticana’ assume un rilievo
d’indubbia consistenza se solo si ricorda che va ad innestarsi
su un impianto complessivo – costituito, appunto, dal codice
Zanardelli – che, al di là della sua matrice di stampo liberale,
presentava nondimeno innegabili caratteri autoritari. Se,
dunque, a parere di alcuni non può ravvisarsi una sostanziale
continuità tra la codif‌icazione ottocentesca e quella fascista
del 1930 (7), in ogni caso nemmeno è possibile ignorare che
proprio nel codice del 1889 apparivano incriminazioni – come
quelle contenute negli artt. 165-167, 247 e 251 – f‌inalizzate,
nell’ordine, alla repressione antioperaia ed antisindacale,
nonché alla criminalizzazione del dissenso ideologico e della
libertà di associazione (8). Pertanto, l’eliminazione dell’erga-
stolo dal novero delle sanzioni – che originariamente conte-
neva, tra le altre, pure una misura segregativa come il con-
f‌ino – segna una decisa rottura con un sistema normativo e
sanzionatorio connotato in forma mista, combinandosi nella
pena tratti retributivi e generalpreventivi di stampo intimida-
torio, con ulteriori accenti specialpreventivi funzionali, se del
caso, ad una neutralizzazione del reo (9).

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