Il delitto di trafficking in persons: la normativa e lo stato della giurisprudenza di legittimitá in Italia

AutorePaola Scevi
Pagine1183-1188

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@1. I delitti di schiavitù e tratta di persone fra vecchia e nuova disciplina. Gli strumenti internazionali per il contrasto alla moderna schiavitù

- La disciplina concernente l'incriminazione del traffico di esseri umani sino all'agosto 2003 è stata affidata al codice penale italiano del 1930, ove venivano criminalizzate la riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), la tratta e commercio di schiavi (art. 601 c.p.), l'alienazione e acquisto di schiavi (art. 602 c.p.) 1.

Per perseguire tale turpe traffico venivano inoltre utilizzate altre figure di reato quali: il sequestro di persona, anche a scopo di estorsione (artt. 605 e 630 c.p.), la violenza sessuale (art. 609 bis c.p. e seguenti), l'induzione e sfruttamento della prostituzione (art. 3, comma primo, n. 6 e 7, legge 20 febbraio 1958, n. 75), il favoreggiamento delle migrazioni illegali (art. 12, comma 3 ter, decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286) 2.

Per prevenire e reprimere severamente le condotte in questione, un'ampia serie di atti e convenzioni internazionali, delle Nazioni Unite e dell'Unione Europea hanno impegnato gli Stati firmatari all'adozione di misure omogenee al fine di armonizzare la legislazione sul piano sostanziale, nonché prevedere idonei strumenti di cooperazione investigativa e giudiziaria.

Gli atti internazionali impegnano gli Stati contraenti sotto profili diversi, che vanno dalla abolizione della schiavitù e delle pratiche ad essa assimilabili, alla prevenzione ed alla repressione delle condotte di smuggling e trafficking 3, alla protezione delle persone trafficate, soggetti che si trovano ridotti nell'esclusivo dominio di criminali, che materialmente ne usano, ne traggono profitto e ne dispongono similmente al modo in cui il «padrone», un tempo, esercitava la propria signoria sullo schiavo 4.

Il Consiglio europeo ha approvato il 24 febbraio 1997 un'azione comune specificamente diretta alla lotta contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei minori, con la quale il fenomeno della tratta è stato inquadrato tra le possibili forme di criminalità organizzata internazionale ed è stata affermata la necessità di un'azione di prevenzione, oltre che di repressione 5.

Nella Conferenza interministeriale dell'Aja dell'aprile 1997, i governi dell'Unione Europea hanno formulato le linee guida europee per misure efficaci di prevenzione e lotta contro la tratta delle donne a scopo di sfruttamento sessuale 6.

E pur tuttavia, non si può rilevare come uno dei problemi fondamentali nel contrasto alla tratta di esseri umani sia stata la mancanza di un consenso internazionale sulla definizione di questo fenomeno. È persistita infatti una confusione di fondo riguardante, in particolare, la distinzione fra tratta di persone, traffico di migranti e migrazione irregolare. A livello internazionale questi problemi sono stati affrontati in larga misura dal Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale 7 per prevenire, sopprimere e punire la tratta di persone, specialmente di donne e minori. Il Protocollo di Palermo fornisce una chiara definizione di tratta di persone. La definizione all'art. 3, paragrafo a), contiene infatti tre elementi distinti ma interconnessi che la qualificano:

1) il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'ospitare o accogliere persone;

2) l'impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare e il ricevere somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un'altra a scopo di sfruttamento;

3) lo scopo di sfruttamento della prostituzione altrui o di altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l'asservimento o il prelievo di organi.

L'art. 3, paragrafo b), stabilisce che il consenso della vittima di tratta alla peculiare tipologia di sfruttamento è irrilevante quando sia stato utilizzato uno dei mezzi sopra indicati, mentre l'art. 3, paragrafo c), sancisce che il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'ospitalità o l'accoglienza di un minore ai fini di sfruttamento devono essere considerati come «tratta di persone» anche se non comportano l'utilizzo di nessuno dei mezzi sopra menzionati: la coercizione cioè non è elementoPage 1184 necessario perché un minore venga considerato come vittima di tratta.

La definizione del Protocollo delle Nazioni Unite sulla tratta ha costituito la base per la Decisione quadro del Consiglio dell'Unione europea sulla lotta alla tratta degli esseri umani del 19 luglio 2002 8. Le definizioni approvate a livello europeo comprendono in grande misura i medesimi elementi dello strumento multilaterale.

Come le Nazioni Unite, anche l'Unione europea distingue fra tratta di esseri umani (trafficking) e traffico di migranti (smuggling).

Per contrastare efficacemente il fenomeno delle persone trafficate, e adeguare il nostro ordinamento agli obblighi internazionali, con la legge 11 agosto 2003, n. 228, recante misure contro la tratta di persone, sono stati riformulati integralmente gli artt. 600-602 del codice penale, conferendo altresì maggiore determinatezza e tassatività alle fattispecie incriminatrici. Accanto alla nozione di schiavitù, l'intervento legislativo del 2003 ha introdotto quella di «servitù», ed ha tipizzato il delitto di trafficking, nel quale lo sfruttamento costituisce il fine ultimo, ossia il dolo eventuale della fattispecie.

@2. La riduzione o il mantenimento in schiavitù o servitù: dalla condizione analoga alla schiavitù alla nozione di servitù

- La nuova formulazione dell'art. 600 descrive analiticamente le condotte incriminate superando le controversie interpretative che avevano caratterizzato l'esperienza applicativa della normativa previgente.

La più generica formulazione del vecchio articolo 600, invero, prevedeva una fattispecie di reato a forma libera, in forza della quale veniva punita la condotta di chiunque avesse ridotto una persona «in schiavitù o in una condizione analoga alla schiavitù». La norma incriminatrice, secondo un consolidato orientamento aveva riguardo alla «schiavitù» come «situazione di diritto» e non di mero fatto 9, con la conseguenza addirittura che il reato non poteva ritenersi realizzabile in Italia, non conoscendo il nostro ordinamento l'istituto giuridico della schiavitù 10.

Le difficoltà interpretative hanno riguardato soprattutto la ricostruzione della nozione di «condizione analoga alla schiavitù» riprodotta nella norma incriminatrice, mentre la definizione della nozione di «schiavitù» era rinvenibile nell'articolo 1 della Convenzione di Ginevra sull'abolizione della schiavitù del 25 settembre 1926, ratificata e resa esecutiva in Italia con R.D. 26 aprile 1928 n. 1723, che definiva la «schiavitù» come «lo stato o la condizione di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà o alcuni di essi».

In ordine alla nozione di «condizione analoga alla schiavitù» si sono invece delineati nella giurisprudenza di legittimità due orientamenti: uno secondo cui tale nozione doveva essere dedotta, tassativamente, dall'elencazione contenuta nella Convenzione supplementare sulla schiavitù di Ginevra del 7 settembre 1956, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 20 dicembre 1957 n. 1304 11, l'altro che ha interpretato la nozione di condizione analoga non già alla stregua di un elemento normativo giuridico individuabile in base all'elencazione contenuta nell'art. 1 della Convenzione di Ginevra, ma di un elemento normativo extra-giuridico della fattispecie, da integrare con il ricorso a parametri storici, culturali e sociali che consentano la repressione di fenomeni caratterizzati dai medesimi aspetti di offesa connotanti le figure di schiavitù storicamente note.

Segnatamente, si è giustificata la propensione a ritenere che le condizioni analoghe alla schiavitù non siano esclusivamente quelle indicate in tale articolo, ma anche altre condizioni di fatto, con il rilievo che la norma in oggetto non fornisce un elenco tassativo di condizioni analoghe alla schiavitù, ma risponde - piuttosto - alla ratio di estendere quanto più possibile la tutela della persona umana attraverso una più puntuale specificazione di quelle situazioni che la concisa definizione della schiavitù, data nella Convenzione del 1926, non era idonea a ricomprendere, e che sono, invece, da ritenere vere e proprie forme di manifestazione della schiavitù 12. Infine le Sezioni unite della Cassazione hanno statuito che le indicazioni contenute nell'art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1956 non esaurivano la virtualità espansiva della nozione di «condizione analoga», della cui sussistenza «potrà positivamente farsene riscontro le quante volte - anche al di là degli estremi specifici, dettati dalla Convenzione - sia dato verificare l'esplicazione d'una condotta, cui sia ricollegabile l'effetto del totale asservimento... d'una persona umana al soggetto responsabile della condotta stessa». Le indicazioni della Convenzione supplementare non dovevano pertanto essere considerate tassative dovendosi ad esse riconoscere un valore meramente esemplificativo, talché il significato della locuzione normativa condizione analoga «può essere determinatamente recepito dai destinatari del precetto penale, come descrittivo della condizione d'un individuo che - per via dell'attività esplicata da altri sulla sua persona - venga a trovarsi (pur conservando nominalmente lo status di soggetto dell'ordinamento giuridico) ridotto nell'esclusiva signoria dell'agente, il quale materialmente ne usi, ne tragga frutto o profitto e ne disponga, similmente al modo in cui - secondo le conoscenze storiche, confluite nell'attuale patrimonio socio-culturale dei membri della collettività - il "padrone" un tempo, esercitava la propria signoria sullo schiavo» 13.

La presa di...

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