Il delitto di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice fra dottrina ed applicazioni giurisprudenziali

AutoreGiuseppe Bersani
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@I. Generalità

L'art. 388 c.p., nella sua dimensione originaria, contemplava solo due distinte fattispecie di mancata esecuzione dolosa di provvedimenti del giudice previste dai commi primo e secondo.

La legge 689 del 24 novembre 1981 ha trasferito nei commi 3, 4 e 5 dell'art. 388, alcune fattispecie criminose (sottrazione o danneggiamento di cose pignorate o sottoposte a sequestro giudiziario o conservativo, omissione di atti d'ufficio del custode delle predette cose) che in precedenza erano disciplinate dagli artt. 334 e 335 c.p.

Tale soluzione legislativa è stata oggetto di non poche critiche, tanto che alcuni autori hanno sottolineato la diversità di interesse tutelato e di struttura di tali reati (pur con talune affinità che possono parzialmente giustificare la ricollocazone nell'art. 388) 1 e la palese estraneità della figura prevista dal quinto comma (che prevede un'anomala omissione di atti d'ufficio procedibile a querela scoordinata rispetto alla fattispecie generale inserita nel rinnovato art. 328 c.p.) 2.

Da parte di altra dottrina si è più benevolmente evidenziato che «l'innovazione, pure ispirata ad una ratio da approvare, ha reso tuttavia, piuttosto difficili da decifrare i rapporti tra gli artt. 334 e 335 da un lato e l'art. 388 dall'altro» 3.

@II. La fattispecie prevista dal primo comma

@@1) Il bene giuridico tutelato

La dottrina si è sostanzialmente divisa in ordine al bene giuridico tutelato dall'art. 388 comma primo c.p.

Ad un primo orientamento 4 volto ad affermare la tutela della forza obbligatoria delle decisioni giudiziarie, anche indipendentemente dall'esecuzione forzata, si è contrapposta la soluzione di altri autori i quali hanno invece evidenziato che oggetto del reato non è tanto il rispetto o l'autorità di tali provvedimenti, quanto l'azione esecutiva 5.

Mentre il primo degli orientamenti citati prende le mosse dai lavori preparatori e dall'intestazione del capo in cui è inserito l'art. 388 c.p., considerando come beni giuridici protetti sia l'autorità del provvedimento giurisdizionale che l'interesse di chi intende far valere la decisione del magistrato, 6 coloro che si collocano nella seconda corrente dottrinale, sottolineano l'esigenza di guardare soprattutto al momento dell'attuazione della sentenza e allo strumento processuale predisposto dall'ordinamento per realizzarla 7.

In tale prospettiva si è affermato che «la procedibilità a querela mostra a chiare lettere che si tratta di reati, nei quali l'offesa è vista come rivolta contro un interesse che, pur inerendo al processo civile, appartiene però principalmente al privato. In sostanza la tutela è rivolta verso un interesse processuale del privato», precisando che «l'offesa all'interesse dell'Amministrazione della Giustizia diventa rilevante solo in quanto il privato chieda la tutela del proprio interesse processuale» 8.

È stato, peraltro, sottolineato che «la contrapposizione tra difesa di un interesse sostanziale e difesa di un interesse processuale è forse meno netta di quanto talora si suppone. La protezione della forza esecutiva della sentenza e cioè della sua concreta autorità in rapporto all'adempimento delle statuizioni che vi sono contenute, resta pur sempre tutela di un interesse sostanziale» se, come si è scritto, il bene giuridico protetto piuttosto che nel corretto esercizio della funzione esecutiva va individuato nella possibilità di utilmente invocarla» 9.

In giurisprudenza si è precisato che l'art. 388 comma 1 ha lo scopo di tutelare l'autorità delle decisioni del giudice civile, accompagnate da forza esecutiva anche se provvisoria 10.

Più recentemente si è affermato - da parte della giurisprudenza di merito - che i primi due commi dell'art. 388 c.p. tutelano non soltanto l'amministrazione della giustizia in sé ma anche l'interesse del privato all'esecuzione forzata dei provvedimenti giudiziari 11.

@@2) Il soggetto attivo del reato

Soggetto attivo della fattispecie prevista dal primo comma può essere soltanto colui che sia tenuto ad adempiere gli obblighi derivanti dai provvedimenti del giudice civile 12; si configura, pertanto, una ipotesi di reato proprio 13.

Partendo da tale dato, da parte della giurisprudenza si è affermato che non commette il reato, neanche a titolo di concorso, chi, estraneo alla controversia civile, agisca da solo e nel proprio esclusivo interesse per eludere il provvedimento.

Altri autori 14 ritengono, invece, che si tratti di reato comune, evidenziando che se la qualificazione in un senso o nell'altro non riveste alcuna portata né teorica né pratica, poiché l'art. 117 c.p. - l'unico dato di diritto positivo giustificante la distinzione - si riferisce solo al mutamento del titolo di responsabilità, situazione che non può trovare riscontro nell'ipotesi in esame perché gli atti in esse descritti se compiuti da chi non si trovi nella posizione di garanzia di cui all'art. 388 sono privi di rilevanza penale.

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@@3) L'elemento oggettivo

a) Il presupposto del reato: la pronuncia di una sentenza di condanna che determini obblighi civili o l'esistenza di un procedimento in corso.

Il primo presupposto della fattispecie prevista dal primo comma dell'art. 388 c.p. è costituito dalla pronuncia di una sentenza di condanna che determini obblighi civili o dall'esistenza di un procedimento finalizzato all'accertamento di tali obblighi.

Dottrina e giurisprudenza forniscono una interpretazione ampia del concetto «sentenza di condanna» affermando che, in tale ambito, vadano collocati tutti i provvedimenti (qualunque sia il nome loro dato o la forma nella quale si estrinsechino), che abbiano natura di decisioni giudiziarie che importino l'imposizione di un obbligo civile 15.

Si ritiene, pertanto, che il concetto di «sentenza di condanna» vada inteso sia in senso sostanziale che in senso formale, e, dunque, inclusivo di ogni atto del giudice italiano - civile, penale o amministrativo - che assuma tale forma o sia ad esso espressamente equiparato, 16 nonché dei provvedimenti che, sebbene dati in forma diversa dalla sentenza, assumono la natura di decisione giudiziaria che importano la imposizione di un obbligo civile e siano emessi in sede giurisdizionale 17.

In tale prospettiva, nella previsione normativa rientreranno, pertanto, il decreto penale di condanna non opposto 18 e il lodo arbitrale reso esecutivo ex art. 826 c.p.p. 19, mentre ne sarebbero esclusi i titoli esecutivi stragiudiziali di cui all'art. 474 nn. 2 e 3 c.p.c. 20.

Con riferimento al decreto ingiuntivo si ritiene che possa integrare il presupposto del reato quando non sia stata proposta opposizione 21.

Sempre da parte della dottrina si è ritenuto di poter leggere il termine «sentenza di condanna» non in senso tecnico, facendo confluire nella fattispecie anche le sentenze aventi carattere costitutivo o dichiarativo, sempre che da esse derivino gli obblighi indicati dalla legge 22.

Altra dottrina alla luce dei principi di tassatività e legalità ha sottoposto tale orientamento a revisione critica, giungendo alla conclusione che la norma fa esclusivo riferimento alle sentenze di condanna in senso stretto. Si è pertanto sottolineato che sono tali solo le sentenze caratterizzate nella loro funzione tipica dall'essere indissolubilmente legate alla esecuzione forzata 23.

La casistica giudiziaria ha ricompreso nel concetto di «sentenza di condanna» il provvedimento del presidente del tribunale relativo all'assegno alimentare a favore della moglie o dei figli dell'obbligato 24 o l'affidamento dei minori 25, le sentenze pronunciate dal giudice amministrativo e da quello penale, nel caso in cui sia stata esercitata l'azione civile 26.

Peraltro in altre occasioni 27 la giurisprudenza, pur confermando l'ampia accezione sopra indicata, ha ritenuto di precisare che deve trattarsi di una decisione di merito pronunciata in base ad una plena cognitio concludendo nel senso che non può farsi rientrare in tale locuzione una decisione provvisoria applicativa semplicemente di misura cautelare, tanto più che l'elusione dell'esecuzione è prevista espressamente come elemento costitutivo di altra fattispecie criminosa, quella di cui all'art. 388, comma 2, c.p.

Il provvedimento «di condanna» non deve essere necessariamente definitivo, essendo sufficiente che sia dotato di esecutività provvisoria, anche se lo stesso sia impugnabile 28.

La dottrina si è interrogata in ordine alla natura degli obblighi civili rientranti nella sfera di tutela della norma: la maggioranza degli autori ritiene che non si possano ricomprendere in tale ambito gli obblighi non suscettibili di esecuzione forzata e quindi, innanzitutto le obbligazioni ad un facere infungibile, di non facere o di pati 29; a questo proposito da parte della giurisprudenza si ritiene che in tale ambito possano rientrare anche le sentenze di condanna con ordine di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, emesse in base all'art. 18 Stat. lav. 30.

Ad integrare il presupposto del reato è sufficiente che sia in corso l'accertamento avanti all'Autorità giudiziaria; tale situazione si ritiene configurata con la semplice notifica dell'atto di citazione per il giudizio civile e con l'esercizio della facoltà di costituirsi parte civile nel processo penale, con riferimento al diritto alle restituzioni ed al risarcimento dei danni 31.

Poiché la fattispecie è strutturata in modo che la condotta presupponga o una sentenza di condanna che contiene l'accertamento di obblighi civili o un accertamento in corso dinanzi all'autorità giudiziaria, la dottrina è orientata nel senso di non attribuire alcuna penale rilevanza agli atti commessi prima dell'esercizio dell'azione civile, anche se in vista di questa 32.

Tale ultima soluzione è stata, peraltro, ritenuta non condivisibile da parte di quella dottrina che ha osservato che, in tal modo interpretando la norma, non si punirebbero proprio gli atteggiamenti più pericolosi posti in essere dal debitore che si premunisca per tempo contro le...

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