I Delitti contro l’assistenza familiare

AutoreFrancesco Gatti

    Testo dell’intervento a margine del convegno “Violenza vissuta e assistita: conflitti familiari, violenza domestica e stalking”, Perugia, 13 maggio 2011

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1. Premessa

Il capo IV del titolo XI del libro II del codice penale del 1930 svolge, ormai da oltre 80 anni, la funzione di strumento di tutela primario, in punto di sanzioni penali, dei diritti dei soggetti dell’ente collettivo “famiglia”.

In particolare, per quanto a noi interessa in questa sede, le norme di cui agli articoli 570, 571 e 572 c.p., attraverso gli anni e l’evoluzione delle opinioni sociali e giuridiche hanno saputo adeguarsi al modello costituzionale di famiglia, quale società naturale scolpita dal legislatore costituzionale (art. 29 Cost.): sono innegabili, a questo proposito, le trasformazioni sociali che in tanti lustri hanno segnato il modo di essere e di vivere delle famiglie in Italia.

La ferocia (quale frutto di odio, invidia, tradimento ed offesa) è l’aspetto complementare della tolleranza (a sua volta paradigma di amore, affetto, comprensione e dolcezza): la famiglia, quindi, è sì sempre stata momento di ristoro e dialogo, ma anche luogo - purtroppo - di prevaricazione e soprusi (basti pensare al celebre romanzo di Gavino Ledda, Padre padrone, messo in celluloide dai fratelli Taviani nel 1977). Però, mentre fino a pochi anni fa la violenza domestica era considerata una questione meramente privata, con la conseguenza che molti atti rimanevano nascosti ed ignoti, la prospettiva, ora, specie grazie all’istituzione di organismi, pubblici e privati che hanno come scopo la tutela dei soggetti “deboli”, appare mutata: rimane in ogni caso il fatto che le violenze domestiche in senso stretto (il mio riferimento è più che altro all’abuso dei mezzi di correzione e disciplina e ai maltrattamenti in famiglia) rimangono condotte assai difficili da accertare e perseguire.

La presente analisi, quindi, senza alcuna pretesa di completezza o esaustività, o rigore scientifico, affronterà in primo luogo la c.d. “violenza economica” (art. 570 c.p.) per poi trattare in maniera più specifica le norme che descrivono e puniscono i delitti di abuso di mezzi correttivi e di maltrattamenti in famiglia.

2. Art. 570 c.p. - Violazione degli obblighi di assistenza familiare

  1. La norma dispone che “ (I) chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla patria potestà,1 o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032. (II) Le dette pene si applicano congiuntamente a chi: 1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge; 2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa. (III) Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma. (IV) Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un’altra disposizione di legge”.2

    Sebbene la norma inizi con “chiunque” è evidente che si tratta di un reato proprio, e cioè che può essere commesso solo dal coniuge, genitore, tutore, ascendente e discendente. Soggetto passivo ovviamente può essere il coniuge, il coniuge legalmente separato non per sua colpa, i figli anche naturali ed adottivi.

  2. Secondo la più corretta (e più recente) ricostruzione gli elementi materiali della condotta tipica sono due; uno al primo comma (abbandono del domicilio dome- stico o condotta contraria all’ordine delle famiglie) ed uno al secondo (malversazione o dilapidazione dei beni o mancata prestazione dei mezzi di sussistenza). Sotto questo profilo è stato ritenuto, recentemente, che la fatti- specie di abbandono del domicilio domestico e quella di omessa prestazione dei mezzi di sussistenza, previsti rispettivamente, nel primo e secondo comma dell’art. 570 c.p., non sono in rapporto di continenza o di progressione criminosa, ma hanno ad oggetto fatti del tutto eterogenei nella loro storicità.3

    Il reato ha natura permanente, e si protrae nel tempo fino a quando il reo pone fine alla situazione antigiuridica, sempre che gli obblighi siano adempiuti in modo non episodico.4 Non superfluo è precisare che la permanenza cessa anche per sopravvenuta impossibilità della prestazione, per ragioni oggettive. La permanenza rimane fino alla sentenza di primo grado, senza che sia necessaria altra notitia criminis, e senza che il p.m. in dibattimento debba procedere ad altra contestazione, se nel capo di imputazione è indicata la data di accertamento, e non di cessazione del comportamento delittuoso.5

    La condotta di cui al primo comma è stata oggetto di diverse critiche6 per la eccessiva evanescenza del precetto normativo, secondo alcuni in contrasto con i principi costituzionale di tassatività e determinatezza,7 sotto il profilo della locuzione “condotta contraria all’ordine delle famiglie”. In passato è stato ritenuto che possa integrare il reato de quo la condotta del coniuge che trascura sessualmente il partner8 e la condotta del concubinaggio9: in ogni caso, si tratta di decisioni assai risalenti, ma che danno chiarezza di come si sia potuta dilatare l’applicazione della norma in esame. Più di recente è stato ritenuto

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    correttamente che la violazione de qua sia integrata dalla condotta del genitore che, in aggiunta all’allontanamento, abbia manifestato totale disinteresse e costante indifferenza verso i figli minori, in quanto in questo caso assume fondamentale importanza per la crescita dei medesimi il rapporto genitore-figlio.10

    Come è evidente, la disposizione di cui al primo comma contiene altresì la punizione del cosiddetto “abbandono del tetto coniugale”; la condotta in esame non integra automaticamente la fattispecie, ma è necessario che la stessa sia ingiustificata e che sia accompagnata dall’intenzione di non far ritorno a casa almeno per un periodo di tempo rilevante, nella misura in cui ciò concreti una violazione degli obblighi di assistenza familiare. Ovviamente non integra la disposizione in esame l’abbandono determinato dalla necessità di difendere la propria integrità personale, né la condotta determinata dal comportamento irrispettoso di un coniuge nei confronti dell’altro quando abbia il carattere della estemporaneità ed occasionalità, ove ciò sia espressione dello stato di tensione che può sempre verificarsi nella vita di coppia.

    Le fattispecie di cui al secondo comma consistono, da un lato, nella malversazione o dilapidazione dei beni del figlio minore o del coniuge e, dall’altro, nella mancata prestazione dei mezzi di sussistenza.

    La prima disposizione mira a garantire l’onesta amministrazione dei beni delle predette persone da parte del genitore o coniuge. Secondo l’opinione più comune11 per malversazione si intende la cattiva gestione di colui che si appropria o distrae beni a proprio profitto, mentre per dilapidazione si intende la dissipazione, anche parziale seppur consiste del patrimonio.

    L’elemento materiale della seconda disposizione consiste nel far mancare i “mezzi di sussistenza”. Pacificamente vengono ritenuti tali tutti gli elementi strettamente indispensabili alla vita, quali il vitto, l’abitazione, i canoni per la luce, acqua, gas, riscaldamento, medicinali, spese per l’istruzione dei figli, vestiario.12 Per la configurazione del delitto in esame deve essere sempre presente il duplice requisito dello stato di bisogno dell’avente diritto e della capacità economica dell’agente di fornirgli i mezzi di sussistenza.

    Quanto al primo, non è necessario che da esso derivi un danno.13 Sotto questo profilo, poi, si è argutamente ritenuto che la sostituzione ad opera di altri costituisce proprio la prova della sussistenza dello stato di bisogno.14 Si ritiene poi comunemente che la mancata prestazione dei mezzi di sussistenza al figlio minore integri sempre la fattispecie in esame, in base alla presunzione che il medesimo sia incapace di produrre reddito proprio, vuoi perché studente, vuoi perché legalmente privo della capacità di agire.

    Quanto alla seconda, si è ritenuto che debba essere effettuato un accertamento giudiziale di tale presupposto in maniera rigorosa atteso che solo la prova certa della presenza di tale capacità può giustificare l’affermazione di una sua responsabilità.15

    Ad esempio la mancata corresponsione delle somme dovute, conseguente ad una situazione di indigenza assoluta, non integra il reato, mentre è penalmente rilevante la condotta di colui che volontariamente, anche sotto il profilo del dolo eventuale, si sia posto nella situazione di non poter adempiere (dimettendosi dal posto di lavoro o non attivandosi realmente per trovare una occupazione).

    È stato statuito che per escludere la responsabilità del soggetto obbligato non basta la mera allegazione di difficoltà economiche, ma occorre la dimostrazione, il cui onere compete all’interessato, che tali difficoltà si siano tradotte in uno stato di vera e propria indigenza,16 e che detta impossibilità debba essere assoluta e deve integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti.17

  3. Per quello che riguarda la mancata prestazione dei mezzi di sussistenza da parte del coniuge separato fondamentale disposizione è l’art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54 (disposizioni in tema di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli) che dispone che «in caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l’art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (che asua volta dispone che “al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione dell’assegno dovuto … si applicano le pene previste dall’art. 570 del codice penale”)».

    A ben vedere, quindi, la norma...

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