Decreto Penale Di Condanna: Illegittima Facoltà Del Querelante Di Opporsi Alla Definizione Del Procedimento Mediante Rito Monitorio
Autore | Domenico Vispo |
Pagine | 28-33 |
28
giur
1/2016 Arch. nuova proc. pen.
CORTE COSTITUZIONALE
la compressione di uno di essi in misura eccessiva e per-
tanto incompatibile con il dettato costituzionale. Tale
giudizio deve svolgersi «attraverso ponderazioni relative
alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nel-
la sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze
obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perse-
guire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni
concretamente sussistenti» (sentenza n. 1130 del 1988).
A questo scopo può essere utilizzato il test di proporziona-
lità, insieme con quello di ragionevolezza, che «richiede
di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misu-
ra e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e
idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente per-
seguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva
quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca
oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di det-
ti obiettivi» (sentenza n. 1 del 2014).
In applicazione di tali principi, conclusivamente, deve
osservarsi che, una volta ampliato il campo dei reati per i
quali è possibile definire il procedimento con il decreto pe-
nale di condanna comprendendovi anche i reati procedibi-
li a querela (con il dichiarato scopo di favorire sempre più
il ricorso ai riti alternativi di tipo premiale per assicurare
la deflazione del carico penale necessaria per l’effettivo
funzionamento del rito accusatorio), l’attribuzione di una
mera facoltà al querelante, consistente nell’opposizione
alla definizione del procedimento mediante il decreto pe-
nale di condanna, introduce un evidente elemento di irra-
zionalità. Ciò in quanto: a) distingue irragionevolmente la
posizione del querelante rispetto a quella della persona of-
fesa dal reato per i reati perseguibili d’ufficio; b) non cor-
risponde ad alcun interesse meritevole di tutela del que-
relante stesso; c) reca un significativo vulnus all’esigenza
di rapida definizione del processo; d) si pone in contrasto
sistematico con le esigenze di deflazione proprie dei riti
alternativi premiali; e) è intrinsecamente contraddittoria
rispetto alla mancata previsione di una analoga facoltà di
opposizione alla definizione del processo mediante l’appli-
cazione della pena su richiesta delle parti, in quanto tale
rito speciale può essere una modalità di definizione del
giudizio nonostante l’esercizio, da parte del querelante,
del suo potere interdittivo.
2.8. – Alla luce delle considerazioni che precedono,
deve affermarsi che l’art. 459, comma 1, c.p.p. nella parte
in cui prevede la facoltà del querelante di opporsi, in caso
di reati perseguibili a querela, alla definizione del proce-
dimento con l’emissione di decreto penale di condanna,
viola gli artt. 3 e 111 Cost.
Resta assorbita la censura relativa alla violazione
dell’art. 112 Cost. (Omissis)
DECRETO PENALE
DI CONDANNA: ILLEGITTIMA
FACOLTÀ DEL QUERELANTE
DI OPPORSI ALLA DEFINIZIONE
DEL PROCEDIMENTO
MEDIANTE RITO MONITORIO
di Domenico Vispo
SOMMARIO
1. Premessa. 2. L’irragionevolezza della facoltà di opposizione
riconosciuta al querelante: la tutela del soggetto danneggiato
dal reato…. 3. . …E l’assenza di un’analoga facoltà nella di-
sciplina del “patteggiamento”. 4. Considerazioni conclusive.
1. Premessa
La Corte Costituzionale, con la sentenza in commen-
to, ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale
dell’art. 459, comma 1, c.p.p., per violazione degli artt. 3
e 111 Cost., nella parte in cui prevede la facoltà del que-
relante di opporsi, in caso di reati perseguibili a querela,
alla definizione del procedimento attraverso l’emissione
di decreto penale di condanna. Tale decisione pone fine
agli accesi dibattiti (1) sorti intorno alla legittimità di tale
disposizione introdotta, come è noto, all’indomani delle
modifiche apportate al codice di procedura penale dalla
legge n. 479/1999 (c.d. Legge Carotti). Giova sin da subi-
to sottolineare, infatti, che nella versione originaria ante
riforma il procedimento per decreto, che rappresentava il
più antico modello di definizione anticipata del procedi-
mento penale e la più rilevante espressione del sistema
inquisitorio, era applicabile esclusivamente ai reati perse-
guibili d’ufficio. Questo limite, come si evince dalla Rela-
zione al progetto preliminare del nuovo codice di rito (2),
trovava la sua discutibile e sicuramente non più attuale
giustificazione nella maggiore delicatezza e complessità
degli accertamenti richiesti per i reati sub condicione,
che non venivano considerati compatibili con un’attività
di indagine prettamente sommaria come quella che si
svolge in sede monitoria. In altri termini, si riteneva che i
procedimenti relativi ai reati procedibili a querela di parte
necessitassero di un accertamento più complesso e non
conforme alle esigenze di speditezza legate alla struttura
di tale giudizio, sia perché ad esso sono strettamente coin-
volti soggetti diversi dallo Stato, sia perché di frequente le
indagini si concentrano sui requisiti della procedibilità e
possono essere condizionate dall’interesse dell’offeso, in-
teresse che spesso si traduce in una partecipazione alla
vicenda processuale come parte civile. (3)
Successivamente il legislatore del 1999, in un’ottica di
forte incentivazione del ricorso a strumenti privilegiati
di definizione anticipata del procedimento, ha ampliato
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