La nuova disciplina della fase decisoria nel rito locatizio e la questione della legittimità della lettura cumulativa dei dispositivi delle sentenze al termine dell’udienza

AutoreAldo Carrato
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Da un punto di vista generale si rileva che, nel rito del lavoro (sulla struttura del quale è tendenzialmente conformato anche il rito locatizio, alla stregua dei complessivi richiami al suddetto tipo di processo previsti dall’art. 447 bis c.p.c.) , una volta esaurita l’istruzione della causa e ritenuta la stessa matura per la decisione, il giudice invita le parti alla discussione1 in seguito alla quale - alla stregua dell’art. 429, c. 1, c.p.c., come sostituito per effetto dell’art. 53, c. 2, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, conv., con modif., nella L. 6 agosto 2008, n. 1332 (come richiamato nel c. 1 del citato art. 447 bis) - emana la sentenza, provvedendone a dare immediata lettura del dispositivo, con la contestuale motivazione consistente nella esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. Nelle ipotesi di particolare complessità della controversia, lo stesso comma 1 dell’art. 429 (come novellato) sancisce che il giudice può fissare nel dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni, per il deposito della sentenza.

Sulla scorta del riformulato comma 1 del citato art. 429 del codice di rito (da applicarsi, pertanto, anche ai giudizi locatizi instaurati a far data dal 25 giugno 2008), pertanto, il modello decisorio ordinario si identifica ora con quello della contestuale lettura del dispositivo e della concisa motivazione in fatto e diritto, mentre quello riconducibile alla suddistinzione tra il momento della lettura del dispositivo ed il successivo deposito della sentenza integrale (comprensiva di motivazione) - che prima era quello esclusivo tipico di tale rito - è divenuto residuale, essendo stato riservato ai casi particolarmente complessi che non consentono il soddisfacimento delle esigenze tendenziali di concentrazione ed immediatezza a cui è improntato lo stesso rito. In questo secondo caso, la suddetta norma come modificata prevede per il giudice il termine (invero ordinatorio, siccome la sua violazione non è assistita da alcuna sanzione) non superiore a sessanta giorni per il deposito della sentenza, in sostituzione di quello precedente contenuto in quindici giorni.

A tal proposito si è dibattuto in merito alla sopravvenuta incompatibilità tra il disposto del novellato comma 1 dell’art. 429 in discorso e quello di cui all’art. 430 c.p.c. che continua a prevedere, non essendo stato espressamente abrogato, il termine di 15 giorni per il deposito della sentenza. Gli orientamenti scientifici3 che per prima si sono occupati della questione, proprio in virtù dell’intervenuta incompatibilità tra le due disposizioni normative (ai sensi dell’art. 15 delle cc.dd. preleggi), ha ritenuto configurabile la tacita abrogazione della precedente norma che prevedeva un termine inferiore.

La nuova disciplina prevista per la fase decisoria del processo del lavoro ha, in un certo senso, da un lato, legittimato la precedente interpretazione dottrinale (e di un settore della giurisprudenza4) sull’estensibilità al processo del lavoro (e, quindi, a quello in materia di locazioni) dell’applicabilità del pregresso art. 281 sexies c.p.c. relativo alla previsione della “decisione a seguito di trattazione orale” nel rito ordinario dinanzi al tribunale e, dall’altro lato, ha anticipato la nuova disciplina dello stesso giudizio ordinario di cognizione per come contemplata dalla recente legge 18 giugno 2009, n. 69, con riferimento alla modificata (e snellita) struttura della motivazione della sentenza che, ora, ai sensi del novellato n. 4) dell’art. 132 c.p.c. (per effetto dell’art. 45, c. 17 della citata legge n. 69 del 2009), deve contenere “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione” (anziché “la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto della decisione”), nella quale, peraltro, alla stregua della modificazione anche del comma 1 dell’art. 118 att. c.p.c. (in virtù del comma 5 dell’art. 52 della medesima legge n. 69 del 2009) è da considerarsi legittima l’esplicitazione delle ragioni giuridiche in forma sintetica (anche) mediante il riferimento a precedenti conformi (ovvero secondo un modello di sviluppo argomentativo semplificato “per relationem”).

Nonostante la novellazione del comma 1 dell’art. 429 c.p.c. nei suddetti termini, è rimasta in vigore la disposizione di cui al comma successivo, alla stregua del quale, su istanza delle parti, il giudice, se lo ritiene necessario, può concedere alle stesse un termine non superiore a dieci giorni per consentire il deposito di note difensive, rifissando la discussione per l’udienza immediatamente successiva alla scadenza del predetto termine, nella quale, quindi, è tenuto a provvedere alla definizione del giudizio con la pubblica lettura del dispositivo e della contestuale motivazione (in tal senso dovendosi intendere, ora, il riferimento, rimasto invariato, alla pronuncia della sentenza).

Come si è evidenziato, il precedente sistema decisorio fisiologico che prevedeva la scissione tra il momento...

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