Decisioni della Corte

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@CORTE COSTITUZIONALE Ord. 14 febbraio 2001, n. 37 (ud. 5 febbraio 2001). Pres. Santosuosso - Rel. Flick - Imp. P.A. ed altri.

Competenza penale - Conflitti - Rinvio degli atti al giudice di primo grado con decisione del giudice d'appello - Dissenso della decisione - Preclusione per il giudice di primo grado di sollevare conflitto - Questione manifestamente infondata di legittimità costituzionale.

È manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 101 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 2, c.p.p., nella parte in cui secondo l'interpretazione fornita dal «diritto vivente», non consente al giudice di primo grado di sollevare conflitto di competenza nel caso di dissenso dalla decisione con la quale il giudice di appello, in conseguenza di una ritenuta nullità verificatasi nel giudizio di primo grado, abbia disposto il rinvio degli atti al primo giudice per la rinnovazione del giudizio. (C.p.p., art. 28) (1).

    (1) Ha ritenuto l'inammissibilità del conflitto di competenza nel caso in cui il giudice di appello, in conseguenza di una ritenuta nullità verificatasi in primo grado, abbia disposto il rinvio degli atti al primo giudice per la ripetizione del giudizio e questo abbia dissentito, Cass. pen., sez. I, 1 dicembre 1994, Montamurro, in questa Rivista 1995, 670. In senso sostanzialmente conforme, v. Cass. pen., sez. I, 17 maggio 1996, Pagnotta, ivi 1996, 787 e Cass. pen., sez. I, 18 giugno 1993, Lo Russo, ivi 1993, 770.

(Omissis). - Ritenuto che il Tribunale di Terni, con ordinanza dell'8 febbraio 2000, ha sollevato, in riferimento agli artt. 101 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui, secondo l'interpretazione fornita dal «diritto vivente», non consente al giudice di primo grado di sollevare conflitto di competenza nel caso di dissenso dalla decisione con la quale il giudice di appello, in conseguenza di una ritenuta nullità verificatasi nel giudizio di primo grado, abbia disposto il rinvio degli atti al primo giudice per la rinnovazione del giudizio; che il rimettente premette che la Corte d'appello di Perugia, con sentenza depositata il 31 marzo 1999, aveva dichiarato la nullità assoluta di una sentenza emessa dal Tribunale di Trani, con contestuale ordine di restituzione degli atti al primo giudice «per quanto di competenza», ai sensi dell'art.604, comma 4, c.p.p.: ciò in quanto il giudice di secon do grado aveva ravvisato una violazione del principio di immutabilità del giudice di cui all'art. 525 c.p.p., avendo il giudice di primo grado attribuito efficacia probatoria agli atti di istruzione compiuti fino al momento in cui, a seguito di sopravvenuta incompatibilità, uno dei membri del collegio era stato sostituito con altro magistrato; che, in particolare - secondo quanto riferito nell'ordinanza di rimessione - la Corte d'appello di Perugia aveva ritenuto censurabile l'interpretazione, fornita dai primi giudici, in forza della quale sarebbe possibile la rinnovazione degli atti di istruttoria dibattimentale, compiuti prima del mutamento della composizione del collegio, mediante la sola lettura o indicazione degli stessi, laddove, a parere dell'organo di gravame, si rendeva necessario che, con un collegio in diversa composizione, il processo riprendesse il suo itinerario ex novo dal momento della dichiarazione di apertura del dibattimento e che pertanto tutte le prove fossero nuovamente espletate ed i testi riesaminati; che, a parere del giudice a quo, è la decisione della corte d'appello a porsi in palese contrasto con le speciali disposizioni previste dal D.L. 9 giugno 1996 n. 464 e dal D.L. 23 ottobre 1996 n. 533 convertito con modificazioni nella legge 23 dicembre 1996 n. 652 ed inoltre a risultare contraddetta da recenti pronunzie del giudice di legittimità, che, deliberando anche a sezioni unite, aveva ritenuto la semplice indicazione o lettura degli atti modalità sufficienti ai fini della loro rinnovazione, senza necessità di un nuovo espletamento della prova, con la conseguenza che - sempre ad avviso del rimettente - la rinnovazione integrale del dibattimento da parte del tribunale, sancita nella pronunzia di appello, sarebbe «attività imposta contro la legge e che dilaterebbe in modo irragionevole i tempi processuali»; che peraltro, secondo le ulteriori argomentazioni del rimettente, a fronte di tale situazione processuale, risulterebbe impossibile sollevare conflitto di competenza in forza dell'art. 28, secondo comma, c.p.p., da parte di esso rimettente e rispetto alla decisione della corte d'appello: ciò in quanto - per una giurisprudenza del Supremo Collegio talmente costante da prospettarsi quale vero «diritto vivente» - risulta improponibile il conflitto nel caso in cui il giudice d'appello dichiari, a conclusione del giudizio di secondo grado, l'esistenza di una nullità assoluta incorsa nel giudizio di primo grado e rinvii gli atti al giudice di prime cure per la ripetizione del giudizio, formandosi, in tal caso, un «giudicato interno» sulla decisione dell'organo di gravame per l'omessa impugnazione della medesima, senza possibilità, pertanto, che tale ipotesi possa essere inclusa nei «casi analoghi» di conflitto, esperibili in applicazione della norma censurata; che, tuttavia, proprio tale ricostruzione esegetica del sistema sarebbe foriera, a parere del giudice a quo, di plurimi vizi di incostituzionalità: innanzitutto, per violazione dell'art. 101 della Costituzione, in quanto, risultando improponibile il dedotto conflitto di competenza, la corte d'appello diverrebbe organo sovraordinario di tipo gerarchico e non già funzionale, come è per legge, con violazione del principio dell'esclusiva soggezione alla legge dei giudici; che, inoltre, sarebbe compromesso anche l'art. 111, secondo comma, della Costituzione ed, in particolare, l'espresso principio della «ragionevole durata» del processo

- di immediata applicabilità per il suo carattere generalissimo, secondo il rimettente - in quanto l'istituto della regressione processuale costituirebbe fonte di dilatazione intollerabile dei tempi del processo e di aggravio non trascurabile dell'organizzazione giudiziaria; per contro, l'ammissibilità del conflitto, consentendo una decisione in tempi rapidi at- Page 140 traverso la celere procedura di cui all'art. 28, comma 2, e 32 c.p.p., si tradurrebbe in un sensibile risparmio di tempi ed energie del processo, altrimenti ingiustamente dispersi, evitando una duplicazione delle sue fasi che si palesa illegittima e, dunque, irragionevole.

Considerato che questa Corte, in più occasioni, delibando la compatibilità con l'art. 101 della Costituzione dell'art. 28, comma 2, c.p.p. nella parte in cui sancisce la prevalenza della decisione del giudice del dibattimento in caso di contrasto con il giudice per le indagini preliminari, ha avuto modo di rilevare come il principio dell'indipendenza dei giudici comporti, nel sistema processuale, «la previsione di disposizioni preordinate al coordinamento dell'esercizio delle funzioni giurisdizionali mediante l'individuazione della competenza e la determinazione degli effetti degli atti processuali, anche in relazione all'attività di altra autorità giudiziaria, allo scopo di perseguire finalità di giustizia e [...] di pervenire alla sollecita definizione del processo» (cfr. ordinanza n. 241 del 1991, nonché ordinanza n. 83 del 1994; sentenza n. 112 del 1994); che, pertanto, è da escludere, in via generale, che la vincolatività della statuizione del giudice di grado o fase superiore, dalla quale scaturisca un effetto regressivo del procedimento, possa vulnerare l'autonomia e l'indipendenza del giudice che tale vincolo è chiamato ad osservare; che, d'altro canto, a ritenere il contrario nel caso di specie, verrebbe consentito al giudice di primo grado di utilizzare la procedura di conflitto di cui all'art. 28, comma 2, c.p.p. quale improprio strumento di impugnazione di una decisione dell'organo superiore cui non intende adeguarsi, con effetti distorsivi del sistema, atteso che la definitività della pronunzia dell'organo di appello verrebbe fatta dipendere non già dall'esercizio del diritto di impugnazione delle parti, ma dalla proposizione o meno di un «reclamo», nella forma del conflitto, da parte del giudice di grado inferiore; che, quanto alla pretesa violazione dell'art. 111, secondo comma, della Costituzione e del principio dela durata ragionevole del processo in esso sancito, va evidenziato come le argomentazioni del...

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