Decisioni della Corte

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine315-320

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@CORTE COSTITUZIONALE 22 novembre 2000, n. 526 (c.c. 27 settembre 2000). Pres. Mirabelli - Rel. Onida - Ric. X.

Istituti di prevenzione e pena (ordinamento penitenziario) - Trattamento penitenziario - Perquisizioni personali nei confronti dei detenuti - Mancata previsione dell'obbligo per l'amministrazione di redigere un atto motivato circa i presupposti e le modalità della perquisizione - Mancata previsione dell'obbligo di comunicare l'atto all'autorità giudiziaria per la convalida - Violazione del principio di riserva di giurisdizione in tema di misure restrittive della libertà personale, del principio di eguaglianza e del diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti - Questione non fondata di legittimità costituzionale.

Non è fondata, in riferimento agli artt. 3, 13, secondo e terzo comma, 24, primo e secondo comma, 97, primo comma, 113, primo e secondo comma, Cost. la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 L. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevede che nel disporre le perquisizioni personali l'amministrazione penitenziaria rediga atto motivato circa i presupposti e le modalità della perquisizione, da comunicare entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria per la convalida. (L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 34).

RITENUTO IN FATTO. 1. - Chiamato a decidere sul reclamo di un detenuto avverso l'ammonizione inflittagli dal direttore del carcere per inosservanza di ordini, il magistrato di sorveglianza di Bologna, con ordinanza emessa il 28 ottobre 1998, pervenuta a questa Corte l'11 gennaio 1999, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 13, secondo e terzo comma, 24, primo e secondo comma, 97, primo comma, 113, primo e secondo comma, della Costituzione, dell'art. 34 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevede che nel disporre le perquisizioni personali l'amministrazione penitenziaria rediga atto motivato circa i presupposti e le modalità della perquisizione, da comunicare entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria per la convalida.

Il remittente premette che il detenuto reclamante lamentava la illegittimità della sanzione disciplinare irrogata a causa del suo rifiuto di effettuare nudo le flessioni sulle gambe davanti agli agenti della polizia penitenziaria in sede di perquisizione personale, sottolineando il carattere lesivo della propria dignità di tale operazione; che in risposta al quesito posto da esso magistrato in sede istruttoria circa la legittimità di tale pratica durante le perquisizioni personali, il Ministero della giustizia rilevava che la suddetta modalità di perquisizione consente, con la collaborazione del detenuto e in determinate occasioni che giustificano perquisizioni più accurate, un controllo efficace e tempestivo, evitando ritardi o disservizi che potrebbero compromettere l'ordine e la sicurezza all'interno dell'istituto o la sicurezza della stessa persona, precisando altresì che dinanzi al rifiuto di collaborazione l'amministrazione può far ricorso all'uso della forza, ai sensi dell'art. 41 dell'ordinamento penitenziario, per prevenire od impedire eventuali situazioni pericolose per la sicurezza, e che il prosieguo della perquisizione può assumere natura di atto di polizia giudiziaria, disciplinata dalle norme del codice di procedura penale; che la direzione del carcere comunicava che le perquisizioni personali nei confronti di detto detenuto erano eseguite con modalità particolarmente accurate secondo le disposizioni contenute in una circolare del 28 gennaio 1982, che appunto prevede le flessioni sulle gambe, a causa di una precisa segnalazione proveniente dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria circa la pericolosità del predetto detenuto; che la difesa del reclamante eccepiva l'illegittimità costituzionale dall'art. 34 della legge n. 354 del 1975, per contrasto con l'articolo 13 della Costituzione, nella parte in cui non prevede l'atto motivato dell'autorità giudiziaria per procedere a perquisizione personale nei confronti dei detenuti; che il pubblico ministero concludeva per la rilevanza e la non manifesta infondatezza di detta questione.

Ciò premesso, il magistrato remittente motiva la rilevanza della questione di legittimità costituzionale osservando che, poiché si tratta di un reclamo contro il provvedimento disciplinare adottato per sanzionare il rifiuto del detenuto, considerato come inosservanza di ordine legittimamente impartito dalla polizia penitenziaria in sede di perquisizione personale, dal riconoscimento della illegittimità costituzionale della norma denunciata discenderebbe l'illegittimità dell'agire amministrativo, e pertanto l'illegittimità della sanzione inflitta per l'inosservanza di un ordine non legittimo.

Osserva poi il giudice a quo quanto alla non manifesta infondatezza, che l'art. 34 dell'ordinamento penitenziario, prevedendo il potere di perquisire le persone detenute o internate qualora sussistano motivi di sicurezza,e nel pieno rispetto della personalità del detenuto, prescinde totalmente da un intervento dell'autorità giudiziaria a garanzia della legittimità di tale restrizione della libertà personale: il procedimento si svolge tutto in ambito amministrativo, in quanto è l'amministrazione che decide l'an, ravvisando la sussistenza dei motivi di sicurezza, il quando e il quomodo.

Ad avviso del remittente tali interventi sulla libertà personale sarebbero in contrasto con l'art. 13 della Costituzione, che non ammette alcuna forma di perquisizione personale se non con l'intervento, sia pure successivo in sede di convalida, dell'autorità giudiziaria. I detenuti non potrebbero essere esclusi da questa garanzia, se non considerando il potere di perquisizione personale come inerente alle modalità di esecuzione della detenzione, e dunque l'ordinamento penitenziario come un ordinamento separato per il quale non varrebbero i principi generali dell'ordinamento giuridico. Il contrasto di tale orientamento con la Costituzione apparirebbe ancora più evidente nei casi di soggetti sottoposti a custodia cautelare. Più in generale, il detenuto, secondo quanto riconosciuto dalla giurisprudenza di questaPage 316 Corte, sarebbe titolare di un residuo di libertà incomprimibile ad libitum dell'amministrazione penitenziaria, residuo tanto più prezioso in quanto è l'ultimo ambito in cui può espandersi la sua personalità. Onde l'amministrazione penitenziaria potrebbe adottare solo i provvedimenti in ordine alle modalità di esecuzione della detenzione, dai quali sarebbero escluse le misure suscettibili di introdurre ulteriori restrizioni, che richiederebbero l'esercizio di una funzione giurisdizionale, in ossequio all'art. 13 della Costituzione.

Il giudice a quo si pone il problema del bilanciamento dei principi costituzionali concorrenti nel caso in esame, in particolare rilevando come a fronte della posizione soggettiva del detenuto vi sia l'opposta esigenza della difesa dell'ordine e della sicurezza negli istituti penitenziari, dell'ordine giuridico e della collettività, che giustificherebbe l'esercizio dei poteri di coazione personale sui detenuti: ma ritiene che la disciplina costituzionale sulla libertà personale, che consente in via di urgenza la temporanea sostituzione degli organi di pubblica sicurezza a quelli giudiziari nell'adozione di atti coercitivi, sia idonea a consentire la composizione dell'eventuale conflitto tra esigenze contrapposte.

La norma denunciata rimette invece l'esecuzione di tali interventi alla completa ed insindacabile discrezionalità dell'amministrazione penitenziaria, la quale non deve motivare in alcun atto la perquisizione, mentre la prescrizione che questa avvenga «nel pieno rispetto della personalità» (art. 34, secondo comma) potrebbe costituire «una mera petizione di principio», dal momento che la perquisizione è effettuata dalla stessa autorità che la dispone, la quale non deve renderne conto ad...

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