Decisioni della Corte

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine595-599

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@CORTE COSTITUZIONALE 8 aprile 2004, n. 114 (c.c. 10 marzo 2004). Pres. Zagrebelsky - Ric. Quaranta.

Depenalizzazione - Accertamento delle violazioni amministrative - Contestazione - Verbale - Ricorso al giudice di pace - Onere per il ricorrente di versare presso la cancelleria una somma pari alla metà del massimo edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore - Violazione del principio di uguaglianza rispetto ai soggetti meno abbienti e di tutela giurisdizionale dei propri diritti - Illegittimità costituzionale parziale.

È costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., l'art. 204 bis, comma 3, D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall'art. 4, comma 1 septies, del D.L. 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), aggiunto dalla legge di conversione 1º agosto 2003, n. 214, nella parte in cui prevede all'atto del deposito del ricorso al giudice di pace, il versamento presso la cancelleria del giudice, a pena d'inammissibilità del ricorso, di una somma pari alla metà del massimo edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore. (Nuovo c.s., art. 204 bis) (1).

    (1) Epilogo atteso per una questione sollevata in molteplici ordinanze di rinvio. Una per tutte quella del Giudice di pace di Vietri 12 settembre 2003, pubblicata in questa Rivista 2004, 135 e richiamata anche dalla sentenza in epigrafe.


RITENUTO IN FATTO. 1. - I Giudici di pace di Mestre (r.o. n. 996 e n. 1095 del 2003), Anzio (r.o. n. 997 del 2003), Vietri di Potenza (r.o. n. 999 del 2003), Bari (r.o. n. 1044 e n. 1081 del 2003), Montepulciano (r.o. n. 1047 del 2003), Recco (r.o. n. 1083 del 2003), Reggio Calabria (r.o. n. 1087 del 2003), Pratola Peligna (r.o. n. 1092 del 2003), Pisa (r.o. n. 1094 del 2003) ed Asiago (r.o. n. 1110 del 2003) hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 204 bis, comma 3, del D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), disposizione introdotta dall'art. 4, comma 1 septies, del D.L. 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), aggiunto dalla legge di conversione 1º agosto 2003, n. 214.

Premettono i rimettenti che la norma impugnata - relativa al giudizio direttamente instaurabile avverso il verbale di contestazione d'infrazione alle norme sulla circolazione stradale - fa carico a chi agisce, «all'atto del deposito del ricorso», di «versare presso la cancelleria del giudice di pace, a pena di inammissibilità del ricorso, una somma pari alla metà del massimo edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore».

1.1. - I Giudici di pace di Mestre e di Anzio, in quelle che risultano in ordine cronologico le prime due ordinanze relative alla questione in esame (r.o. n. 996 e n. 997 del 2003), deducono la violazione unicamente degli articoli 3 e 24 della Costituzione.

Il primo dei rimettenti (r.o. n. 996 del 2003) - non senza aver sottolineato, nel ripercorrere in via di estrema sintesi le vicende del giudizio a quo, che il ricorrente «ha provveduto, come disposto dalla nuova normativa, al deposito giudiziario della somma» dovuta ex lege - pone preliminarmente in luce come l'obbligo suddetto si risolva in uno «strumento per ridurre drasticamente il numero dei procedimenti» giurisdizionali in materia, ciò che darebbe luogo ad una «grave disparità di trattamento tra i cittadini», precludendo ai non abbienti di «poter validamente proporre le proprie ragioni in sede giudiziaria».

Si realizzerebbe, così, una violazione non soltanto dell'art. 3 della Costituzione (essendo la parità dei cittadini davanti alla legge «enormemente turbata dall'onere imposto al ricorrente non benestante»), ma pure dell'art. 24, «considerato che, in queste condizioni, i cittadini meno facoltosi» si vedrebbero «indirettamente privare della possibilità di tutelare i propri diritti in via giudiziaria, con grave nocumento al principio che la difesa è diritto inviolabile».

Parimenti, il Giudice di pace di Anzio (r.o. n. 97 del 2003) - nel dedurre la violazione degli stessi articoli della Costituzione - assume che la norma impugnata «rappresenta un indubbio ed ingiustificato ostacolo per la tutela in sede giurisdizionale dei diritti del ricorrente» (essendo questi, di fatto, indotto «a desistere dall'impugnazione»), concretando inoltre «una manifesta disparità di trattamento» tra gli utenti della strada, con il favorire «ingiustificatamente coloro i quali dispongono di maggiore agiatezza economica».

1.2. - Più articolata si rivela la prospettazione del Giudice di pace di Vietri di Potenza (r.o. n. 999 del 2003), il quale ipotizza il contrasto - oltre che con gli articoli 3 e 24 - anche con l'art. 2 della Costituzione.

Tale rimettente eccepisce - in primis - l'esistenza di una (doppia) «violazione del principio di eguaglianza ex art. 3 della Costituzione.

La «novella» al codice della strada avrebbe, a suo dire, «creato di fatto e riservato sul piano processuale (...) una diversa posizione al ricorrente e alla pubblica amministrazione» (evidente in particolar modo in sede conclusiva del giudizio, e ciò in quanto l'amministrazione, in caso di esito processuale a sè favorevole, «ha immediatamente a disposizione la somma che le è dovuta oltre sicuramente ad una parte delle spese di causa», considerato che la sanzione inflitta è di regola «comminata nel minimo edittale», differenziando, altresì, «il cittadino abbiente da quello meno abbiente» (giacché soltanto ai primi sarebbe permesso di poter esercitare la tutela dei propri diritti proponendo ricorso al giudice ordinario).

Tale situazione di disparità - che il rimettente giudica «ancor più pregnante» ove «si consideri che lo stesso legislatore, al fine di eliminare gli ostacoli di carattere economico tra i cittadini, ha previsto con l'art. 26 della legge 689/ 1981 il pagamento rateale della sanzione (...) «su richiesta dell'intressato che si trovi in condizioni economiche disa-Page 596giate» - non sarebbe mitigata dal fatto che i soggetti non abbienti possono, pur sempre, «presentare il ricorso amministrativo (che non prevede il versamento della cauzione)». Se così fosse, infatti, dovrebbe concludersi che «il ricorso al giudice sia un mezzo di tutela riservato esclusivamente ai soggetti economicamente agiati» (con violazione dello stesso art. 2 della Costituzione, atteso che tra i diritti inviolabili dell'uomo rientra pure «il diritto all'eguaglianza, come valore assoluto della persona umana e diritto fondamentale dell'individuo»).

L'art. 204 bis del D.L.vo n. 285 del 1992 creerebbe, dunque, in base alle condizioni economiche del ricorrente e quanto...

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