Crisi Familiare: Come Incide Il 'Bene Casa' Sul Diritto All'Assegno Post Divorzio

AutoreFlavio Saltarelli
Pagine401-402
401
dott
DOTTRINA
Arch. loc. cond. e imm. 4/2017
CRISI FAMILIARE: COME
INCIDE IL “BENE CASA”
SUL DIRITTO ALL’ASSEGNO
POST DIVORZIO
di Flavio Saltarelli
La recentissima sentenza n. 11504/2017 della Corte
di Cassazione, pubblicata il 10 maggio scorso, costituisce
una vera e propria “rivoluzione copernicana” in tema di
assegno di mantenimento post divorzio. Gli ermellini han-
no, infatti, spazzato via – non ritenendolo più adeguato ai
tempi ed agli indirizzi giurisprudenziali europei – il grani-
tico e consolidato riferimento al “tenore di vita in costanza
di matrimonio” come parametro per determinare obbligo
ed ammontare del contributo economico dovuto al c.d.
“coniuge debole”, contributo attribuito in considerazione
del principio di solidarietà economica sancito nel combi-
nato disposto degli artt. 2 e 23 Cost.
Secondo la Suprema Corte un tale parametro sarebbe,
infatti, in contrasto con la natura stessa del divorzio e con
gli effetti giuridici che esso produce; natura di un procedi-
mento che mira ad estinguere non solo ogni rapporto af-
fettivo, ma pure ogni comunione economico-patrimoniale.
Pretendere di mantenere lo stesso goduto avuto in costanza
di matrimonio (o comunque fondato su aspettative matu-
rate durante il rapporto di coppia) signif‌icherebbe proro-
gare sine die, sotto un prof‌ilo meramente patrimoniale –
hanno scritto i Giudici – il vincolo che si vuole estinguere.
Nella sentenza de qua la Corte giustif‌ica il proprio revi-
rement sostenendo che si è notevolmente attenuata l’esi-
genza che nel secolo scorso aveva spinto la giurisprudenza
a dare così tanta rilevanza al tenore di vita, essendo oggi
generale convinzione che il matrimonio costituisce essen-
zialmente un atto di libertà e di autoresponsabilità. Un
atto dunque non patrimonialmente f‌inalizzato; un atto che
diventa ordinariamente reversibile con il procedimento di
divorzio (n.d.r. “cessazione effetti civili del matrimonio”),
appunto. Naufragato un matrimonio – ha aggiunto la Su-
prema Corte – sussiste la necessità di “rifarsi una vita” ed il
vecchio criterio può, pertanto, tradursi in un concreto osta-
colo patrimoniale alla realizzazione di una nuova famiglia.
Sulla scorta delle considerazioni sopra riassunte, la
Cassazione ha quindi dato un colpo di spugna al parame-
tro del “tenore di vita” e lo ha sostituito con un altro crite-
rio, coerente al percorso logico seguito: il raggiungimento
dell’indipendenza economica del richiedente. In buona so-
stanza, se è accertato che quest’ultimo è economicamente
indipendente – o è effettivamente in grado di esserlo e
non lo è per sua colpa – non gli è riconosciuto il diritto
all’assegno divorzile. Così non fosse, spiega la Corte di le-
gittimità, si darebbe luogo ad una locupletazione indebita
e fondata solo sulla mera persistenza di un rapporto matri-
moniale estinto: un assurdo, anche sotto un prof‌ilo logico-
dogmatico. E grava sul richiedente l’assegno – concludono
gli ermellini – fornire la prova di non avere mezzi adeguati
e di non essere oggettivamente in grado di procurarseli.
Tanto premesso, le domande che sorgono spontanee,
per quanto concerne le conseguenze di tale importante
decisione nel settore che più ci occupa – quello immobi-
liare – attengono a:
1) quanto il “bene casa” possa incidere sull’“an”, cioè
sulla doverosità o meno di un contributo economico al co-
niuge più debole;
2) quanto il “bene casa” possa incidere sul “quantum”,
cioè sull’ammontare dell’eventuale assegno da attribuirsi.
Risponde ad entrambi i quesiti, con estrema chiarezza,
ancora la succitata sentenza n. 11504/2017 della Cassazio-
ne civile, laddove statuisce: “Il giudice del divorzio, richie-
sto dell’assegno di cui all’art. 5, comma 6, della legge n. 898
del 1970…, A) deve verif‌icare, nella fase dell’an debeatur”
– cioè relativamente all’esistenza o meno dell’obbligo di
corrispondere l’assegno al richiedente – “se la domanda di
quest’ultimo soddisfa le relative condizioni di legge (man-
canza di mezzi adeguati o, comunque, impossibilità di pro-
curarseli per ragioni oggettive), con esclusivo riferimento
all’indipendenza o autosuff‌icienza economicadello stesso,
desunta dai principali "indici" del possesso di redditi di
qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed
immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu "im-
posti" e del costo della vita nel luogo di residenza dell’ex
coniuge richiedente), delle capacità e possibilità effetti-
ve di lavoro personale (in relazione alla salute, all’età, al
sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo),
della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò,
sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove
offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il
corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all’ecce-
zione ed alla prova contraria dell’altro ex coniuge; B) deve
"tener conto", nella fase del quantum debeatur” – (cioè
nella successiva ed eventuale fase della determinazione
dell’ammontare del contributo) “ di tutti gli elementi in-
dicati dalla norma (....condizioni dei coniugi, .... ragioni
della decisione, .... contributo personale ed economico
dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla forma-
zione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, ....
reddito di entrambi ), e "valutare" tutti i suddetti elementi
anche in rapporto alla durata del matrimonio, al f‌ine di
determinare in concreto la misura dell’assegno di divor-
zio; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e
prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la
distribuzione dell’onere della prova (art. 2697 c.c.).
In buona sostanza la giurisprudenza di legittimità ri-
tiene che, sia in merito alla doverosità del contributo (che
presuppone ne sia dimostrato il bisogno e l’incolpevole
incapacità di provvedere a sostentarsi in prima persona)
che in relazione all’ammontare del medesimo contribu-

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