Costituzionale

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Costituzionale

corte costituzionaLe 12 gennaio 2012, n. 1

pres. Quaranta – est. frigo – ric. trib. sorv. di catania in proc. pen. g.g.

esecuzione in materia penale y Pene pecuniarie y Conversione y Conversione in libertà controllata delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità del condannato y Coefficiente di ragguaglio y Mancato adeguamento alla avvenuta rivalutazione del criterio di ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive y Illegittimità costituzionale.

. È dichiarata l’illegittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, sopravvenuta dall’8 agosto 2009, dell’art. 102, terzo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui stabilisce che, agli effetti della conversione delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità del condannato, il ragguaglio ha luogo calcolando euro 38, o frazione di euro 38, anziché euro 250, o frazione di euro 250, di pena pecuniaria per un giorno di libertà controllata. (l. 15 luglio 2009, n. 94, art. 3; l. 24 novembre 1981, n. 689, art. 102) (1)

(1) Si rammenta che il comma 62 dell’art. 3, legge n. 94/2009 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), ha operato l’aumento da euro 38 a euro 250 del coefficiente di ragguaglio fra le pene pecuniarie e le pene detentive, omettendo di operare una identica variazione in aumento dell’importo sulla cui base, ai sensi del terzo comma dell’art. 102, legge n. 689/1981 (Modifiche al sistema penale), deve aver luogo la conversione in libertà controllata delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità del condannato. La pronuncia in epigrafe elide la macroscopica sperequazione attualmente esistente tra i coefficienti posti a raffronto, considerata ingiustificata e non rispondente ad alcuna ratio.

ritenuto in fatto

Con ordinanza depositata il 16 marzo 2011, il Magistrato di sorveglianza di Catania ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 62, della legge 15 luglio 2009,
n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), nella parte in cui - nell’aumentare da euro 38 a euro 250 il coefficiente di ragguaglio fra le pene pecuniarie e le pene detentive - ha omesso di operare una identica variazione in aumento dell’importo sulla cui base, ai sensi dell’art. 102, terzo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), deve aver luogo la conversione in libertà controllata delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità del condannato.

Il giudice a quo premette di essere chiamato a pronunciarsi, ai sensi dell’art. 660, comma 2, del codice di procedura penale, sull’istanza di conversione di una pena pecuniaria di euro 56.622,94 (così determinata a seguito di provvedimento di cumulo del 17 marzo 2006), rimasta ineseguita per insolvibilità del condannato.

Al riguardo, il rimettente rileva che l’art. 3, comma 62, della legge n. 94 del 2009 ha modificato l’art. 135 del codice penale, stabilendo che, quando si deve eseguire un ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, il computo ha luogo calcolando euro 250, o frazione di euro 250, di pena pecuniaria - anziché euro 38, o frazione di euro 38, come previsto in precedenza - per un giorno di pena detentiva.

La novella legislativa ha lasciato, per converso, immutato l’art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981, che, ai fini della conversione in libertà controllata della pena pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condan-nato, continua quindi a prevedere che il ragguaglio debba essere effettuato calcolando euro 38, o frazione di euro 38, per un giorno di libertà controllata.

Ad avviso del giudice a quo, si sarebbe in tal modo determinata una ingiustificata disparità di trattamento, lesiva del principio di eguaglianza, a sfavore dei soggetti che versino in condizioni di insolvibilità.

Le ipotesi disciplinate dagli artt. 135 cod. pen. e 102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981 sarebbero, infatti, «sostanzialmente omogenee», giacché tanto le pene detentive, quanto la libertà controllata costituiscono sanzioni penali irrogabili dal giudice della cognizione (la seconda quale sanzione sostitutiva, ai sensi dell’art. 53 della legge
n. 689 del 1981), con la possibilità, inoltre, che la libertà controllata venga disposta anche dal magistrato di sorveglianza, nel caso di impossibilità di pagamento della pena pecuniaria.

Lo stesso legislatore, d’altra parte, con l’art. 101 della legge n. 689 del 1981, aveva elevato a lire 25.000 il coefficiente previsto dall’art. 135 cod. pen., parificandolo a quello all’epoca fissato dall’art. 102, terzo comma, della medesima legge per la conversione in libertà controllata delle pene pecuniarie.

Tale uniformità di trattamento era, peraltro, venuta meno a seguito dell’art. 1 della legge 5 ottobre 1993, n. 402 (Modifica dell’art. 135 del codice penale: ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive), che aveva aumentato a lire 75.000 l’importo contemplato dall’art. 135 cod. pen., lasciando inalterata la norma della legge speciale.

Al ripristino della corrispondenza tra i due coefficienti aveva provveduto, tuttavia, questa Corte, la quale, con la

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sentenza n. 440 del 1994, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981, nella parte in cui fissava in lire 25.000 - anziché in lire 75.000 - il tasso di ragguaglio per la conversione in libertà controllata delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità del condannato. Detta pronuncia aveva evidenziato, in specie, che «l’identità degli importi indicati nelle due norme poste a raffronto non fu dovuta al caso, ma rappresentò il frutto di una precisa e coerente scelta di politica criminale, al fondo della quale stava l’avvertita esigenza di non aggravare le conseguenze che derivano dalla condanna in dipendenza delle condizioni economiche del reo».

L’art. 3, comma 62, della legge n. 94 del 2009, modificando di nuovo in aumento il solo importo stabilito dall’art. 135 cod. pen., avrebbe, quindi, ricreato la medesima situazione già censurata dalla citata sentenza n. 440 del 1994.

La questione sarebbe, altresì, rilevante nel procedimento a quo. L’esito della conversione della pena pecuniaria rimasta ineseguita nella specie risulterebbe, infatti, sensibilmente diverso a seconda che l’operazione venga effettuata in base al vigente testo dell’art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981, ovvero a quello risultante dall’auspicata declaratoria di illegittimità costituzionale.

considerato in diritto
1.- Il Magistrato di sorveglianza di Catania dubita, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 62, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), nella parte in cui - nell’aumentare da euro 38 a euro 250 il coefficiente di ragguaglio fra le pene pecuniarie e le pene detentive stabilito dall’art. 135 del codice penale - ha omesso di operare una omologa variazione in aumento del tasso sulla cui base, ai sensi dell’art. 102, terzo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), deve aver luogo la conversione in libertà control-lata delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità del condannato.

Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata violerebbe il principio di eguaglianza, determinando una disparità di trattamento fra situazioni «sostanzialmente omogenee», a sfavore dei soggetti che versino in condizioni di insolvibilità, del tutto analoga a quella già scrutinata da questa Corte con la sentenza n. 440 del 1994.
2.- In via preliminare, va rilevato che, sebbene il rimettente censuri formalmente la norma novellatrice dell’art. 135 cod. pen., ciò che egli in concreto sollecita è una pronuncia di “riallineamento” dell’art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981, la quale ripristini la pregressa coincidenza dei coefficienti di ragguaglio previsti dalle due norme poste a raffronto (per analogo rilievo, sentenza
n. 440 del 1994).
3.- In tali termini, la questione è fondata.

Giova muovere, al riguardo, dalla considerazione che la disciplina stabilita dagli artt. 102 e seguenti della legge n.

689 del 1981 costituisce la risposta legislativa al problema lasciato aperto dalla sentenza n. 131 del 1979 di questa Corte, che aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo il meccanismo, originariamente previsto dall’art. 136 cod. pen., di conversione automatica della pena pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condannato in un corrispondente periodo di reclusione o di arresto. Nell’occasione, la Corte evidenziò come tale meccanismo presentasse una connotazione fortemente discriminatoria, postulando una inammissibile fungibilità tra libertà personale e patrimonio, a fronte della quale i soggetti economicamente più deboli si trovavano costretti ad assolvere con il sacrificio della prima (nella forma massima: la pena detentiva) obblighi che gli altri condannati potevano soddisfare in moneta. L’esigenza di garantire l’indefettibilità della pena - pure non disconosciuta da questa Corte - andava, dunque, soddisfatta in forme diverse, che il legislatore del 1981 individuò segnatamente nella conversione in libertà controllata (ovvero, su richiesta del condannato, in lavoro sostitutivo).

Il coefficiente di ragguaglio per la conversione della pena pecuniaria ineseguita in libertà controllata venne originariamente fissato in lire 25.000: dunque, in quello stesso che - a seguito della modifica dell’art. 135 cod. pen., contemporaneamente disposta dall’art. 101 della medesima legge n. 689 del 1981 - valeva ai fini del ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive.

Tale soluzione normativa - che operava, in pratica, una indiretta equiparazione del “valore economico” della pena...

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