Costituzionale

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CORTE COSTITUZIONALE 12 MAGGIO 2011, N. 164

PRES. MADDALENA – EST. FRIGO – RIC. GIP PRESSO IL TRIBUNALE DI MILANO

Misure cautelari personali y Condizioni di applicabilità y Scelta delle misure y Nuova formulazione dell’art. 275, comma terzo c.p.p. y Sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto ex art. 575 c.p. y Obbligatorietà della custodia cautelare in carcere y Soddisfacimento delle esigenze cautelari con altre misure y Mancata previsione y Illegittimità costituzionale.

È costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, l’art. 275, comma 3, secondo e terzo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 575 del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. (c.p.p., art. 275; c.p., art. 575; d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, art. 2) (1)

(1) Si vedano, per quanto di utilità, Cass. pen., sez. I, 14 ottobre 2009, Mastrullo, in Ius&Lex dvd n. 3/11, ed. La Tribuna e Trib. pen. Palermo, sez. riesame, 7 maggio 2009, X., in Giur. merito 2009, 2843.

Ritenuto in fatto

1.1. - Con ordinanza depositata il 18 novembre 2010, il Tribunale di Lecce, sezione per il riesame, ha proposto, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 575 del codice penale (omicidio volontario), è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

Il giudice a quo è investito dell’appello, proposto dal difensore di una persona imputata di omicidio volontario in concorso, avverso l’ordinanza di rigetto dell’istanza di sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, emessa il 20 agosto 2010 dalla Corte di assise di appello di Lecce.

Al riguardo, il rimettente riferisce che, dopo la convalida di un provvedimento di fermo, all’interessata era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere con ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del 21 luglio 2008. A seguito di impugnazione del difensore, il Tribunale rimettente, con ordinanza del 19 settembre 2008 - non impugnata dal pubblico ministero - aveva, peraltro, disposto la sostituzione della misura con gli arresti domiciliari.

Entrato in vigore l’art. 2 del decreto-legge n. 11 del 2009, il pubblico ministero aveva chiesto e ottenuto il ripristino della misura carceraria, alla luce della nuova disciplina recata dalla novella. Il difensore aveva quindi presentato una nuova istanza di sostituzione alla Corte di assise di appello di Lecce (a ciò competente, essendo stata l’imputata condannata, nelle more, da detta Corte alla pena di sedici anni e due mesi di reclusione): istanza motivata tanto con l’asserita incompatibilità delle condizioni di salute dell’imputata con la custodia carceraria, quanto con la dedotta illegittimità costituzionale del nuovo testo dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. L’ordinanza di rigetto di tale istanza era stata, infine, impugnata con l’appello sul quale il giudice a quo è chiamato a pronunciarsi.

Quanto alla rilevanza della questione, il rimettente osserva che, nel caso di specie, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è fuori discussione, essendo stata l’imputata già condannata in grado di appello.

Per quel che concerne, poi, le esigenze cautelari, il Tribunale aveva già accertato, con la citata ordinanza del 19 settembre 2008, che le esigenze di cui all’art. 274, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. (connesse al pericolo di commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede) potevano essere soddisfatte con la meno gravosa misura degli arresti domiciliari. Ciò, in quanto «la peculiarità del caso - a carattere reattivo a fronte di una lunga storia di violenze subite - e la presenza nella vicenda di un uomo di ben maggiore esperienza […], con

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precedenti specifici», induceva a riconoscere alla donna «un ruolo servente» nel fatto, tale da delineare una pericolosità attenuata, tanto più che la stessa non risultava «avere mai violato gli ordini dell’autorità».

Rispetto a tale valutazione - divenuta «giudicato cautelare», stante la mancata impugnazione del provvedimento da parte del pubblico ministero - non sarebbe intervenuto alcun elemento di novità, atto a far supporre un aggravamento delle esigenze cautelari. L’unico dato nuovo - di ordine normativo - sarebbe costituito dalla preclusione introdotta dalla novella legislativa modificativa dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., in forza della quale, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza per una serie di reati - tra cui quello di omicidio volontario - «è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari».

La questione di costituzionalità risulterebbe, pertanto, dirimente ai fini della decisione da assumere nel procedimento a quo: ciò, tenuto conto anche dell’infondatezza del primo dei motivi di appello, dovendosi escludere - alla luce dell’espletata consulenza medico-legale - che le condizioni di salute dell’interessata siano realmente incompatibili con la custodia carceraria.

Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo rileva come questa Corte, con la sentenza n. 265 del 2010, abbia già dichiarato costituzionalmente illegittima la norma censurata, per contrasto con gli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, Cost., nella parte in cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli artt. 600-bis, primo comma, 609-bis e 609-quater cod. pen., è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

Ad avviso del giudice a quo, le medesime considerazioni poste a base di tale pronuncia - considerazioni che il rimettente riproduce integralmente nell’ordinanza di rimessione - varrebbero anche in rapporto al delitto di omicidio. In particolare, allo stesso modo dei delitti a sfondo sessuale oggetto della sentenza n. 265 del 2010, neppure il reato di omicidio...

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