Corte di Cassazione Penale sez. VI, 6 novembre 2018, n. 50084 (ud. 12 luglio 2018)

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1/2019 Rivista penale
LEGITTIMITÀ
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. VI, 6 NOVEMBRE 2018, N. 50084
(UD. 12 LUGLIO 2018)
PRES. MOGINI – EST. BASSI – P.M. MOLINO (PARZ. DIFF.) – RIC. T.
Illecita concorrenza con minaccia o violenza y
Elemento oggettivo y Atti di concorrenza y Nozione
y Riferimento all’art. 2598 c.c. y Comportamenti vio-
lenti o minacciosi normalmente estranei al fenome-
no della "concorrenza sleale" in ambito civilistico e
commerciale y Inclusione.
Illecita concorrenza con minaccia o violenza y
Concorso con il reato di estorsione y Ammissibilità
y Condizioni.
. Ai f‌ini della conf‌igurabilità del reato di cui all’art. 513
bis c.p. (illecita concorrenza con minaccia o violenza),
la nozione di “atti di concorrenza” va desunta dall’art.
2598 c.c., con l’avvertenza che nell’ipotesi di chiusura
di cui al n. 3 di detta norma (per cui commette concor-
renza sleale anche chi “si vale direttamente o indiret-
tamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi
della correttezza professionale e idoneo a danneggiare
l’altrui azienda”), devono farsi rientrare anche quei
comportamenti violenti o minacciosi in danno di un’a-
zienda concorrente che siano atti ad alterare la libera
competizione fra imprese nel procacciamento degli
affari, pur quando essi siano normalmente estranei al
fenomeno della "concorrenza sleale" in ambito civilisti-
co e commerciale cui appunto pertiene la disciplina del
citato art. 2598 c.c. (c.p., art. 513 bis; c.c., art. 2598) (1)
.
. Il reato di cui all’art. 513 bis c.p. (illecita concorrenza
con minaccia o violenza) può concorrere formalmen-
te con quello di estorsione, previsto dall’art. 629 c.p.,
qualora il primo sia stato realizzato con l’impiego di
condotte idonee ad integrare anche il secondo. (Mass.
Redaz.) (c.p., art. 513 bis; c.p., art. 629) (2)
(1) Sulla questione affrontata dalla sentenza in epigrafe si sono regi-
strati due orientamenti. Secondo il primo il delitto previsto dall’art.
513-bis c.p. punisce soltanto le condotte illecite tipicamente concor-
renziali realizzate con atti di coartazione che inibiscono la normale
dinamica imprenditoriale, ma non anche le condotte intimidatorie
f‌inalizzate ad ostacolare o coartare l’altrui libera concorrenza, e però
poste in essere al di fuori dell’attività concorrenziale, ferma restando
l’eventuale riconducibilità di queste ad altre fattispecie di reato. In
tal senso si vedano Cass. pen., sez. II, 21 novembre 2016, n. 49365, in
questa Rivista 2017, 493; Cass. pen., sez. III, 9 aprile 2013, n. 16195,
ivi 2014, 223 e Cass. pen., sez. I, 17 febbraio 2012, n. 6541, ivi 2013,
721. Secondo altro indirizzo qualsiasi comportamento violento o in-
timidatorio idoneo ad impedire al concorrente d’autodeterminarsi
nell’esercizio della sua attività commerciale, industriale o comunque
produttiva conf‌igura un atto di concorrenza illecita e, pertanto, in-
tegra il reato d’illecita concorrenza con violenza o minaccia. Così si
veda Cass. pen., sez. III, 27 novembre 2008, n. 44169, ivi 2009, 1025.
Inf‌ine, si registra l’intervento della Terza Sezione della S.C. che con
sentenza 29 gennaio 2016, n. 3868, ivi 2016, 924, dalla quale prende
spunto la pronuncia in epigrafe, che ha tentato di comporre le op-
poste linee interpretative affermando che la condotta materiale del
delitto previsto dall’art. 513-bis c.p. può essere integrata da tutti gli
atti di concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c., tra i quali vi rien-
trano quelli diretti non solo a distruggere l’attività del concorrente,
ma anche ad impedire che possa essere esercitato un atto di libera
concorrenza, come quello della ricerca di acquisizione di nuove fette
di mercato.
(2) Nel medesimo senso si veda Cass. pen., sez. fer., 31 ottobre 2014,
n. 45132, in CED Cassazione penale, RV 260789, che precisa come il
reato di cui all’art. 513 bis c.p. non può essere assorbito né nel de-
litto di estorsione né in quello di concussione, trattandosi di norme
con diversa collocazione sistematica e preordinate alla tutela di beni
giuridici diversi. Per un’approfondita disamina giurisprudenziale dei
reati suddetti, utile è la consultazione di LUIGI ALIBRANDI, Codice
penale commentato con la giurisprudenza, ed. La Tribuna, Piacenza
2018.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello
di Napoli, in riforma dell’appellata sentenza del Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli del 22
giugno 2016 resa all’esito del giudizio abbreviato, previo
riconoscimento della continuazione fra i reati sub iudi-
ce (ex artt. 416-bis c.p., 513-bis c.p. e 12-quinquies D.L.
8 giugno 1992 n. 306, convertito, con modif‌icazioni, nel-
la legge 7 agosto 1992 n. 356, aggravati ex art. 7 legge 12
luglio 1991, n. 203) ed i fatti già giudicati con sentenza
irrevocabile della Corte d’appello di Napoli del 7 gennaio
2014, ha rideterminato la pena complessivamente inf‌litta
a L.T. in dodici anni di reclusione, con conferma nel resto
dell’impugnata decisione.
2. Nel ricorso a f‌irma del difensore di f‌iducia, L.T. chie-
de l’annullamento della sentenza per i motivi di seguito
sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p. (Omissis)
2.2. Con il secondo ed il terzo motivo, il ricorrente ec-
cepisce la violazione di legge penale e la mancanza, con-
traddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in
relazione ai reati di cui ai capi A), B) e C) della rubrica.
Quanto al reato associativo sub capo A), l’impugnante si
duole del fatto che i Giudici di merito abbiano ritenuto
integrato il reato di associazione per delinquere di stampo
maf‌ioso nonostante la mancanza di prova del vincolo asso-
ciativo di tipo camorristico. Con riferimento al reato di cui
all’art. 513-bis c.p. sub capo B), la difesa rimarca che al
T. era stata data la possibilità di lavorare ai sensi dell’art.
284, comma 3, c.p.p. proprio presso l’azienda di L.F., il che
non può essere interpretato quale volontà del ricorrente
di imporre ai soggetti operanti nel settore del trasporto di
prodotti ortofrutticoli determinate condizioni lavorative e
che manca comunque la prova di atti intimidatori. L’impu-
gnante sottolinea inoltre come i Giudici della cognizione
non abbiano accertato la commissione, con violenza o mi-
naccia, di alcun specif‌ico atto anticoncorrenziale ai sensi
dell’art. 2595 c.c., come prescritto da questa Corte di legit-
timità. T. evidenzia altresì come non vi siano i presupposti
per ritenere integrata l’intestazione f‌ittizia contestata sub
capo C), atteso che, già nel lontano 2012, F. accoglieva
l’imputato al lavoro come suo dipendente e che il conte-
nuto delle intercettazioni esclude che l’attività del ricor-
rente costituisca mera riproposizione della “P. Trasporti”.

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