Corte di Cassazione Penale sez. I, 20 marzo 2018, n. 12903 (C.C. 10 novembre 2017)

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giur giur
Rivista penale 5/2018
LEGITTIMITÀ
5/2018 Rivista penale
LEGITTIMITÀ
successiva sono fenomeni f‌isiologici dell’ordinamento giu-
ridico, la dichiarazione di illegittimità costituzionale pa-
lesa un evento di patologia normativa; se, infatti, il primo
fenomeno deriva da una rinnovata e diversa valutazione
del disvalore penale di un fatto, fondata sull’opportunità
politica e sociale, operata dal Parlamento, competente a
legiferare in uno Stato democratico di diritto, la declara-
toria d’illegittimità costituzionale di una norma, rimasta
formalmente in vigore f‌ino alla pubblicazione della sen-
tenza costituzionale, ma sostanzialmente invalida, attesta
che quella norma mai avrebbe dovuto essere introdotta
nell’ordinamento repubblicano, che è Stato costituzionale
di diritto, ciò che implica il primato delle norme costitu-
zionali, che non possono perciò essere violate dal legisla-
tore ordinario. Di qui, dunque, la conseguenza che a tali
distinte situazioni corrispondono diverse conseguenze:
mentre l’applicazione della sopravvenuta legge penale
più favorevole, che attiene alla vigenza normativa, trova
un limite invalicabile nella sentenza irrevocabile, ciò non
può valere per la sopravvenuta declaratoria di illegittimi-
tà costituzionale, che concerne il diverso fenomeno della
invalidità; la norma costituzionalmente illegittima viene
espunta dall’ordinamento proprio perchè affetta da una
invalidità originaria, ciò che impone e giustif‌ica la proie-
zione “retroattiva”, sugli effetti ancora in corso di rapporti
giuridici pregressi, già da essa disciplinati, della interve-
nuta pronuncia di incostituzionalità, la quale certif‌ica la
def‌initiva uscita dall’ordinamento di una norma genetica-
mente invalida (sez. un., n. 42858 del 29 maggio 2014, dep.
14 ottobre 2014, P.M. in proc. Gatto, Rv. 260695).
4. Non può, inf‌ine, essere condivisa la subordinata
prospettazione tesa a richiedere la rimessione alla Corte
costituzionale della questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2 c.p. per contrasto, sul punto del limite del giudi-
cato, con gli artt. 3, 13, 27 e 117 Cost. La Corte costituzio-
nale, pur avendo sottolineato che il principio di retroatti-
vità in mitius, non trovando copertura nell’art. 25, secondo
comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 80 del 1995, n. 6
del 1978 e n. 164 del 1974; ordinanza n. 330 del 1995), va
ricollegato al principio di eguaglianza, che impone, in li-
nea di massima, di equiparare il trattamento sanzionato-
rio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che
essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore
della norma che ha disposto la modif‌ica mitigatrice (Cor-
te cost. n. 394 del 2006), ha anche aggiunto che, proprio
in ragione di tale esclusivo collegamento, lo stesso deve
ritenersi suscettibile di deroghe legittime sul piano co-
stituzionale ove sorrette da giustif‌icazioni oggettivamente
ragionevoli (Corte cost., n. 215 del 2008, n. 72 del 2008,
n. 394 del 2006; n. 330 del 1995, n. 74 del 1980 e n. 6 del
1978), un limite in tal senso dovendo essere rinvenuto
proprio nella intervenuta def‌initività dell’accertamento
della responsabilità penale, rispondendo l’intangibilità
del giudicato all’esigenza di salvaguardia della “certezza
del diritto e di stabilità dell’assetto dei rapporti giuridici”
(Corte cost., n. 210 del 2013; vedi anche Corte cost., n. 230
del 2012 e n. 236 del 2011); ed anche la Corte Edu, pur
individuando nell’art. 7 della Convenzione l’elemento di
“copertura” alla retroattività della norma più favorevole,
ha individuato un limite a ciò nel giudicato (Corte Edu, 17
settembre 2009, Scoppola contro Italia), limite, anche da
ultimo, nuovamente invocato dalla stessa Corte europea
(Corte edu, 12 gennaio 2016, Gouarré Patte contro An-
dorra e 12 luglio 2016, Ruban contro Ucraina). Sicché, in
def‌initiva, la scelta del legislatore secondo cui il principio
di stabilità ed inviolabilità della “res iudicata” può subire
deroga esclusivamente in presenza di una nuova disposi-
zione eliminatrice del reato, successivamente intervenuta
(v. in proposito, sez. III, n. 1002 del 17 marzo 1998, dep. 7
maggio 1998, P.M. in proc. Priolo, Rv. 210860) e non anche
a fronte di modif‌iche normative in melius, appare non con-
trastante né con il principio di cui all’art. 7 Convenzione
edu né con gli invocati principi di ordine costituzionale.
5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ri-
corrente al pagamento delle spese processuali. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. I, 20 MARZO 2018, N. 12903
(C.C. 10 NOVEMBRE 2017)
PRES. DI TOMASSI – EST. CAIRO – P.M. FILIPPI (CONF.) – RIC. F.
Applicazione della pena su richiesta delle par-
ti y Sentenza y Benef‌icio della non menzione della
sentenza nel certif‌icato generale del casellario
giudiziale y Su istanza del privato y Applicazione y
Condizioni.
. Il benef‌icio della non menzione della sentenza di
applicazione della pena su richiesta nel certif‌icato ge-
nerale del casellario giudiziale rilasciato a istanza del
privato, secondo quanto stabilito dall’art. 24, comma 1,
lett. e), del D.P.R. 14 novembre 2002 n. 313, si applica
anche nel caso in cui la pena patteggiata superi il li-
mite dei due anni di reclusione previsto dall’art. 445,
comma 1, c.p.p. (Mass. Redaz.) (d.p.r. 14 novembre
2002, n. 313, art. 24; c.p.p., art. 444; c.p.p., art. 445) (1)
(1) In senso difforme era l’orientamento di Cass. pen., sez. III, 10
febbraio 2005, n. 4868, in Arch. nuova proc. pen. 2006, 208, che spe-
cif‌icava che l’estinzione del reato o per decorso dei termini o nel caso
di patteggiamento non poteva dar luogo anche all’eliminazione della
sentenza dal casellario giudiziale, dal momento che la volontà del
legislatore, ex art. 5 del D.P.R. 14 novembre 2002 n. 313, prevedeva
l’eliminazione delle iscrizioni nel casellario solo per i reati di com-
petenza del giudice di pace. Nello stesso senso di quest’ultima citata
era anche la pronuncia di Cass. pen., sez. VI, 5 dicembre 2000, n.
2087, ivi 2001, 57.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, con ordinan-
za in data 5 dicembre 2016 rigettava la richiesta nell’inte-
resse di F.S. diretta ad ottenere la declaratoria della non
menzione in riferimento alla sentenza di applicazione
della pena di anni quattro di reclusione emessa il 10 di-
cembre 2008 dal Giudice per le indagini preliminari della
medesima località. Osserva il Giudice a quo che trattando-
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso, infondato, deve essere rigettato. Il novella-
to art. 13, comma 1, del D.L.vo n. 74 del 2000 prevede che
i reati di cui agli artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, comma
1, non sono punibili se prima della dichiarazione di aper-
tura del dibattimento di primo grado i debiti tributari,
comprensivi di sanzioni amministrative ed interessi, siano
stati estinti mediante integrale pagamento degli importi
dovuti. La trasformazione del pagamento del debito tribu-
tario da circostanza attenuante del reato, quale era pre-
vista dalla norma originaria, a causa di esclusione della
punibilità, quale è invece oggi, e la mancanza, all’interno
del corpus del D.L.vo n. 158 del 2015, che ha in tali termini
riformulato la norma, di disposizioni che regolino gli ef-
fetti penali nel tempo della nuova disciplina, conducono a
dovere rinvenire nel “sistema” quali siano i margini di ap-
plicabilità del nuovo comma 1 in particolare ai pagamenti
già intervenuti prima dell’entrata in vigore della modif‌ica
normativa e ai quali, in ossequio alla connotazione attri-
buita dal legislatore, sia seguito a suo tempo un effetto
unicamente di attenuazione del trattamento sanziona-
torio “cristallizzato”, come nella fattispecie in esame, da
pronuncia ormai passata in giudicato. Se infatti non può
dubitarsi che la nuova disciplina sia applicabile anche ai
procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore
della novella sino al punto che questa Corte ha ritenuto
non determinante il già intervenuto superamento del li-
mite temporale assegnato dalla norma e rappresentato
dalla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo
grado (sez. III, n. 15237 del 1 febbraio 2017, dep. 28 marzo
2017, Volanti, Rv. 269653; sez. III, n. 40314 del 30 marzo
2016, dep. 28 settembre 2016, Fregolent, Rv. 267807) solo
restando da comprendere se un limite vada, in tali proce-
dimenti, individuato comunque nella prima udienza utile
successiva all’entrata in vigore della norma (così, infatti,
sostanzialmente, sez. III, n. 30139 del 12 aprile 2017, dep.
15 giugno 2017, Fegolent, Rv. 270464), diversa è invece la
situazione in cui, appunto, il procedimento non sia più in
corso in quanto ormai irreversibilmente def‌inito (da qui,
tra l’altro, derivando, contrariamente alla prospettazione
del ricorrente, la non invocabilità nella specie di tali arre-
sti giurisprudenziali).
2. Se, dunque, nel “sistema” deve essere rinvenuta la ri-
sposta in ordine alla applicabilità della nuova disposizione
ai pagamenti intervenuti nei procedimenti già def‌initi, è
alla f‌isionomia degli effetti del pagamento del debito tri-
butario, espressamente ricondotti dal legislatore all’inter-
no di una causa di esclusione della punibilità (“I reati...
non sono punibili...”) e alla relazione di quest’ultima con
gli artt. 2 c.p. e 673 c.p.p. che deve guardarsi.
Sennonché, nessuna delle due disposizioni appare
potere condurre all’esito invocato dal ricorrente di revo-
ca della sentenza di applicazione della pena a suo tempo
pronunciata nei suoi confronti. Non anzitutto l’art. 2 c.p.,
da cui deve in ordine logico muovere l’analisi, posto che,
nella specie, non essendo intervenuta alcuna abolitio cri-
minis con effetto di iper-retroattività della nuova norma,
ma unicamente una successione modif‌icativa, è al comma
4 (e non al comma 2) dell’art. 2 cit. che deve farsi riferi-
mento (in tal senso, con riferimento alla causa di esclu-
sione della punibilità dell’art. 131 bis c.p., già sez. III, n.
34932 del 24 giugno 2015, dep. 18 agosto 2015, Elia, Rv.
264160, non massimata sul punto; sez. III, n. 15449 del 8
aprile 2015, dep. 15 aprile 2015, Mazzarotto, Rv. 263308,
non massimata sul punto), in tal modo inevitabilmente
operando lo sbarramento rappresentato dalla pronuncia
di sentenza irrevocabile. E non, per le stesse ragioni, l’art.
673 c.p.p., invocato dal ricorrente, che attua sul piano pro-
cessuale il solo comma 2 dell’art. 2 cit. prendendo in con-
siderazione, quale causa di revoca della sentenza, la sola
“abrogazione o dichiarazione di illegittimità costituzionale
della norma incriminatrice”: e proprio con riferimento alla
causa di esclusione della punibilità è stato anche di recen-
te chiarito che la stessa, presupponendo l’accertamento
del reato e la riferibilità soggettiva all’imputato, differisce
radicalmente sia dall’abrogazione della disposizione di
legge che def‌inisce il reato e le sue implicazioni sanzio-
natorie, sia dalla pronuncia dichiarativa di illegittimità
costituzionale, non rientrando dunque tra le situazioni
tassative previste dall’art. 673 citato, dal momento che
non produce l’effetto di escludere la conf‌igurabilità del re-
ato e la sua dimensione storico-fattuale e la responsabilità
risarcitoria per i pregiudizi cagionati ai terzi, che restano
immutate, incidendo soltanto sulla possibilità di irrogare
la sanzione nei confronti del suo autore (così, con riferi-
mento all’art. 131 bis c.p., sez. VII, n. 11833 del 26 febbraio
2016, dep. 21 marzo 2016, Rondello, Rv. 266169). Di qui,
dunque, la preclusione inevitabilmente rappresentata
dal giudicato anche con riferimento alla previsione di cui
all’art. 13, comma 1 in oggetto e l’impossibilità evidente
di applicare analogicamente, come richiesto in ricorso,
la norma processuale in oggetto alla fattispecie in esame
attesa la irriducibilità di quest’ultima al tassativo ambito
contenutistico della norma processuale.
3. Né a conclusioni diverse potrebbero condurre le ar-
gomentazioni svolte in ricorso in ordine alla esecuzione,
conseguente all’impostazione sin qui ribadita, di pene che
sarebbero connotate, alla luce del mutamento succes-
sivo, da sostanziale “ingiustizia”. Se il ricorrente si è, in
proposito, richiamato a pronunce delle Sezioni Unite di
questa Corte, va tuttavia subito osservato come le stesse
siano intervenute in relazione al diverso fenomeno della
dichiarazione di illegittimità costituzionale. Va rammenta-
to che se effettivamente, come riportato in ricorso, questa
Corte a sezioni Unite ha precisato che l’istanza di legalità
della pena è un tema che in fase esecutiva deve ritenersi
costantemente sub iudice e non ostacolato dal dato for-
male della cosiddetta “situazione esaurita” (sez. un. n.
18821 del 24 ottobre 2013, dep. 7 maggio 2014, Ercolano,
Rv. 268550), un tale assunto non può essere disgiunto dal
dato fondamentale che in tanto ciò valga in quanto si versi
in presenza di declaratoria di illegittimità costituzionale,
nella specie insussistente; infatti, hanno precisato sempre
le Sezioni Unite, mentre il succedersi di leggi, che in tutto
o in parte disciplinano materie già regolate da leggi prece-
denti, e l’abrogazione di una norma per effetto di norma

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