Corte di Cassazione Penale sez. III, 20 dicembre 2016, n. 53907 (ud. 1 giugno 2016)

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giur
2/2017 Rivista penale
LEGITTIMITÀ
house Azienda Città Servizi per pagare spese di soggiorno,
anche in località turistiche, per sé e per propri familiari
(in particolare, moglie e cognato), ovvero per corrispon-
dere il premio annuale relativo all’assicurazione dell’au-
tovettura della cognata, oppure ancora per acquistare
cappelli da donna e borselli; altre spese per soggiorni in
località turistiche ovvero per pedaggi autostradali erano
state effettuate mediante risorse esistenti su conti corren-
ti aziendali, previo rilascio di fatture intestate alla preci-
sata società, ovvero mediante l’utilizzo di tessera viacard.
Ha quindi escluso che il denaro pubblico possa essere ge-
stito «ad insindacabile giudizio» del pubblico uff‌iciale o
dell’incaricato di pubblico servizio. È inoltre indicato nello
stesso ricorso che le “destinazioni” dal Gabrieli alla società
di parte dei propri compensi erano cessate dopo il 2012 a
causa della riduzione degli emolumenti a lui corrisposti.
Le conclusioni dell’ordinanza impugnata risultano cor-
rette anche in relazione agli addebiti in questione.
Innanzitutto, infatti, la cessione di somme costituenti
parte dei propri compensi, da un punto di vista giuridi-
co, non poteva comportare l’immissione del denaro in una
sorta di “limbo”, in forza del quale gli importi f‌inivano sui
conti aziendali, ma erano ancora appartenenti al patri-
monio personale dell’amministratore: invero, il denaro, in
quanto cosa fungibile, nel momento in cui conf‌luiva sulle
giacenze intestate alla società, diventava formalmente di
spettanza di quest’ultima; d’altro canto, l’operazione non
era nemmeno f‌iscalmente neutra, posto che, se le som-
me fossero state formalmente indicate come compensi
percepiti dal ricorrente, lo stesso avrebbe dovuto pagare
personalmente le imposte dirette secondo l’aliquota pre-
vista per i suoi redditi. Inoltre, la cessione delle somme
era dichiaratamente f‌inalizzata al raggiungimento di sco-
pi sociali, ma questi certamente non erano ravvisabili in
relazione alle spese sostenute dal ricorrente per sé o per
i propri familiari per pranzi, cene o soggiorni in località
di villeggiatura. In sintesi, allora, può dirsi, alla luce delle
risultanze indicate dal giudice del riesame, che il ricorren-
te, allorché effettuava i pagamenti precedentemente de-
scritti, non gestiva somme proprie, ma somme dell’Azien-
da Città Servizi, ed operava così, anche a voler ritenere
sussistente una sua ragione di credito verso la società, una
compensazione, come tale penalmente rilevante a norma
dell’art. 314 c.p.; inoltre, è altamente opinabile proprio
l’esistenza di un titolo per operare la compensazione, po-
sto che la messa a disposizione di quella parte del proprio
compenso che restava appostata sui conti aziendali era
comunque dichiaratamente f‌inalizzata al perseguimento
di scopi “sociali”.
Per completezza, deve aggiungersi che l’ipotesi dell’im-
piego di risorse personali “lasciate” nelle casse della
società non è nemmeno formulabile con riferimento alle
spese effettuate in data 17 dicembre 2014, in relazione
all’acquisto di undici cappelli da donna e di un borsello,
per un importo pari complessivamente a 780,00 euro: que-
sti acquisti, infatti, sono di ben due anni successivi alle
“destinazioni” all’ente delle quote di compensi di spettan-
za del ricorrente. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. III, 20 DICEMBRE 2016, N. 53907
(UD. 1 GIUGNO 2016)
PRES. AMOROSO – EST. SOCCI – P.M. BALDI (DIFF.) – RIC. CATERINA JOSEPH
Tributi e f‌inanze (in materia penale) y Dichiara-
zione dei redditi y Omessa denuncia y Accertamento
y Determinazione dell’imposta evasa y Criteri.
. In tema di reati tributari il giudice deve accertare e
determinare l’ammontare delle imposte evase - ai f‌ini
del superamento delle soglie di punibilità -attraverso
una verif‌ica che deve privilegiare il dato fattuale reale,
rispetto ai criteri formali dell’ordinamento f‌iscale, con
la conseguenza che occorre valutare i costi non con-
tabilizzati emergenti dalla documentazione comunque
acquisita al processo. (Mass. Redaz.) (d.l.vo 10 marzo
2000, n. 74, art. 5) (1)
(1) Nello stesso senso si veda Cass. pen., sez. III, 18 aprile 2016, n.
15899, in Ius&Lex dvd n. 2/2016, ed. La Tribuna.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’appello di Brescia con sentenza dell’ 11 giugno
2015, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Man-
tova (5 giugno 2014) che aveva condannato Caterina Joseph
alla pena di anni uno e sei mesi di reclusione, oltre pene ac-
cessorie e la sospensione condizionale della pena, subordinata
alla corresponsione di quanto dovuto all’erario, in relazione al
reato di cui all’art 81 c.p. e 5 del D.L.vo n. 74 del 2000 - per gli
anni di imposta 2006 e 2007 - , concedeva il benef‌icio della non
menzione della condanna e revocava la disposizione relativa
alla subordinazione della sospensione condizionale della pena
alla corresponsione di quanto dovuto all’erario.
2. Caterina Joseph propone ricorso per Cassazione tra-
mite il difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati,
nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come
disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p.
2. 1. Violazione degli art. 187 e 192 c.p.p. nonché omes-
sa motivazione e/o travisamento dei fatti. Travisamento
della prova e omessa valutazione di prova decisiva in rela-
zione al superamento delle soglie di evasione IVA per l’an-
no 2006. Violazione dell’art. 5 D.L.vo 74 del 2000.
Si ricava da ben 4 documenti in atti la prova positiva
del mancato superamento della soglia di cui all’art. 5 del
D.L.vo 74 del 2000:
dal verbale della guardia di f‌inanza si legge che l’IVA
dovuta è di € 79.160,55, pag. 11; dal verbale, allegato n. 24
emerge, però, che l’IVA è stata calcolata solo sulle opera-
zioni attive, non risultando nell’elenco fatture di acquisto;
due distinte stampe dell’anagrafe tributaria - del 10 lu-
glio 2012 e del 18 febbraio 2014-riportano un’IVA dovuta
per € 7.890,00;
altro documento del 19 ottobre 2012 sempre acquisito
in sede di escussione del teste Fracasso, relativo all’anno
di imposta 2006 riporta un debito IVA per € 7.855,00 (atti
tutti allegati al ricorso). La differenza di soli 5,00 € è dovu-
ta a qualche errore materiale.

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