Corte di Cassazione Penale sez. III, 22 settembre 2015, n. 38364 (ud. 7 luglio 2015)

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Rivista penale 11/2015
LEGITTIMITÀ
tesi di applicazione di misure di sicurezza sulla base di
una pericolosità presunta, stante il carattere non confor-
me ai principi costituzionali (come affermato nelle prece-
denti pronunce) di siffatte ipotesi.
6.4. È vero che non vi è stata alcuna espressa abroga-
zione dell’art. 300 D.P.R. 43/73 che, come si è visto, preve-
de sempre la sottoposizione del condannato a pena supe-
riore ad un anno alla libertà vigilata; senza, quindi, alcun
accertamento in ordine alla pericolosità sociale.
Ma tale disposizione risulta palesemente incompatibi-
le con la norma sopravvenuta di cui all’art. 31, comma 2
L. 663/1986, secondo la quale tutte le misure di sicurezza
personali sono ordinate previo accertamento della perico-
losità sociale.
Non c’è dubbio, invero, che tra le misure di sicurezza
personali debba essere annoverata anche la libertà vigila-
ta (art. 215 comma 3 n. 1 c.p.).
Deve ritenersi, quindi, che vi sia stata un’abrogazione
implicita dell’art. 300 D.P.R. 43/73 per palese incompatibi-
lità con la normativa sopravvenuta di cui all’art. 31 comma
2 L. 663/1986, a norma dell’art. 15 Preleggi (“Le leggi non
sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione
espressa del legislatore o per incompatibilità tra le nuove
disposizioni e le precedenti...”).
Una diversa conclusione, del resto, comporterebbe evi-
denti prof‌ili di incostituzionalità della norma sia sotto il
prof‌ilo dell’applicazione di una misura di sicurezza perso-
nale senza un previo accertamento, da parte del giudice,
della pericolosità sociale del condannato, sia per disparità
di trattamento, con violazione del principio di uguaglian-
za, rispetto a tutti i soggetti nei confronti dei quali non
sono più applicabili le misure di sicurezza sulla base di
una pericolosità sociale presunta (secondo quanto preve-
deva l’art. 304 c.p. abrogato).
6.5. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata sul
punto non solo nei confronti dei ricorrenti Shoby Ali e
Ould Belaid El Mokhtar, ma anche nei confronti di Kilate
Mohamed e Ibrahim Mohamed Abdel Salam per l’effetto
estensivo dell’impugnazione a norma dell’art. 587 c.p.p.,
con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Mi-
lano.
I Giudici del rinvio, uniformandosi ai principi di diritto
in precedenza enunciati, pur potendo pervenire alle me-
desime conclusioni della sentenza impugnata, accerteran-
no previamente, ai f‌ini dell’applicazione della misura di
sicurezza della libertà vigilata, la pericolosità sociale dei
soggetti sopra indicati. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. III, 22 SETTEMBRE 2015, N. 38364
(UD. 7 LUGLIO 2015)
PRES. FIALE – EST. PEZZELLA – P.M. MAZZOTTA (DIFF.) – RIC. DI SALVIA
Stupefacenti y Coltivazione y Quantità di sostanza
stupefacente prodotta dalla pianta y Ad uso perso-
nale y Rilevanza y Esclusione y Condotta penalmen-
te rilevante y Conf‌igurabilità y Limiti.
. Costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi
attività di coltivazione, ancorchè domestica, di piante
dalle quali siano estraibili stupefacenti, nulla rilevando
che queste siano destinate ad uso personale, salvo che
risulti di fatto esclusa l’idoneità della sostanza ricava-
bile dalla coltivazione a produrre un qualsiasi effetto
stupefacente e salva la possibilità, alla stregua della
sopravvenuta introduzione dell’art. 131 bis c.p., che la
punibilità venga esclusa per la particolare tenuità del
fatto. (Mass. Redaz.) (d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, art.
75; c.p., art. 131 bis) (1)
(1) La prima parte della pronuncia in commento nasce nel solco
di un’importante statuizione in materia; si veda in senso conforme
Cass. pen., sez. un., 10 luglio 2008, n. 28605, in questa Rivista 2008,
993, che aveva risolto lo “storico” contrasto giurisprudenziale tra due
orientamenti radicalmente contrapposti; la tesi prevalente, sostene-
va infatti che la coltivazione di piante, da cui derivavano sostanze
stupefacenti, fosse da ritenersi sempre penalmente illecita e un se-
condo indirizzo minoritario riteneva, al contrario, che la “coltivazio-
ne domestica” non integrasse gli estremi della fattispecie di reato,
ma fosse inquadrabile come “species” del più ampio “genus” – deten-
zione, di cui all’art. 75, comma 1 del D.P.R. 309/1990, risultando quin-
di depenalizzata, se per uso esclusivamente personale. Nello stesso
senso, relativamente alla seconda parte della statuizione in epigrafe,
si vedano Cass. pen., sez. VI, 30 luglio 2014, n. 33835, in questa Rivista
2015, 391 e Cass. pen., sez. VI, 23 maggio 2013, n. 22110, in Ius&Lex
dvd n. 2/2015, ed. La Tribuna.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte di Appello di Milano, pronunciando nei
confronti di Di Salvia Vincenzo in data 3 aprile 2014, in
parziale riforma della sentenza emessa dal G.M. presso il
Tribunale di Vigevano il 9 febbraio 2011, rideterminava la
pena in mesi 4 di reclusione ed euro 800 di multa, confer-
mando nel resto la sentenza impugnata.
Il giudice di prime cure, all’esito di giudizio ordinario,
ritenuta l’ipotesi lieve di cui al V comma dell’art. 73 D.P.R.
309/90 nonché riconosciute le circostanze attenuanti ge-
neriche, aveva condannato l’imputato alla pena di mesi
8 di reclusione ed euro 2000 di multa, oltre al pagamen-
to delle spese processuali, con conf‌isca e distruzione di
quanto in sequestro perchè, senza l’autorizzazione di cui
all’art. 17, coltivava sostanza stupefacente di tipo marijua-
na, in particolare all’interno del cortile della propria abi-
tazione coltivava tre piante di marijuana di cui una alta m.
1,2 e due alte cm. 60. In Candia Lomellina il 4 agosto 2008,
con recidiva specif‌ica. (Omissis)
d. Omessa motivazione della sentenza impugnata circa
la mancanza di offensività della condotta contestata - tra-
visamento dei fatti e manifesta illogicità e contradditto-
rietà della motivazione quando il vizio risulta dal testo del
provvedimento impugnato ex art. 606, lett. e).
La Corte di Appello avrebbe completamente omesso di
motivare sul motivo di impugnazione fondato sull’offensi-
vità concreta della condotta consistente nella coltivazione
di tre piantine di marijuana, poste a distanza in diverse
aiuole di un cortile.

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