Corte Di Cassazione Penale Sez. V, 6 Giugno 2018, N. 25651 (Ud. 15 Febbraio 2018)

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giur giur
Arch. nuova proc. pen. 5/2018
LEGITTIMITÀ
5/2018 Arch. nuova proc. pen.
LEGITTIMITÀ
riesame del sequestro, o l’eventuale ricorso per cassazione
contro la decisione del tribunale del riesame è inammissi-
bile per sopravvenuta carenza di interesse, che non è con-
f‌igurabile neanche qualora l’autorità giudiziaria disponga,
all’atto della restituzione, l’estrazione di copia degli atti o
documenti sequestrati, dal momento che il relativo prov-
vedimento è autonomo rispetto al decreto di sequestro, né
è soggetto ad alcuna forma di gravame, stante il principio
di tassatività delle impugnazioni. La stessa sentenza An-
dreucci ha peraltro precisato come, in tale ultimo caso, è
necessario fare eccezione per l’ipotesi in cui il documento,
sia esso informatico o di altro tipo, «trasferisca il proprio
valore anche sulla copia», venendo così in gioco l’interesse
alla «disponibilità esclusiva del “patrimonio informativo”».
2.2.5 Nel richiamarsi ai principi sanciti dalla senten-
za Andreucci, la ricorrente non considera però come la
Corte, anche in riferimento all’ipotesi da ultima illustra-
ta, presupponga che dei dati contenuti in una memoria
informatica venga effettuata una copia e che, dunque,
questa, nella sua essenza di documento riproduttivo di un
contenuto informativo, ne determini di fatto il sequestro.
Diverso è invece il caso, che ricorre nella specie, in cui al-
cuna copia della rubrica contenuta nella memoria del cel-
lulare del coindagato è stata estratta, essendosi limitati gli
operanti ad attestare nel relativo verbale, ai sensi dell’art.
357 c.p.p., quanto accertato in sede di perquisizione, nel
corso della quale avevano preso cognizione di un fatto (la
presenza di alcune informazioni all’interno del telefono)
riportato secondo la loro percezione. Tale operazione non
può ritenersi, proprio perchè mediata dalla percezione de-
gli operanti, equipollente alla realizzazione di una copia
del documento originale, né ha comportato il sequestro
delle informazioni in quest’ultimo contenute.
2.3 Difettando dunque un provvedimento in qualche
modo assimilabile a quello di sequestro, oggetto dell’istan-
za di riesame è stato esclusivamente il decreto di perquisi-
zione, che per il consolidato insegnamento di questa Corte
non è impugnabile, mancando una espressa previsione in
tal senso (sez. un., n. 23/97 del 20 novembre 1996, Bassi
e altri, rv. 206656). Conseguentemente inammissibile era
l’istanza di riesame proposta dalla S. ed a maggior ragione
il ricorso avverso il provvedimento reiettivo del gravame.
2.4 Peraltro, anche laddove volesse accedersi alla tesi
prospettata dalla ricorrente, in ogni caso il ricorso dovrebbe
ritenersi inammissibile in quanto generico. Ed infatti, proprio
in applicazione dei principi affermati dalla citata sentenza
Andreucci, non è suff‌iciente che il ricorrente sia legittimato a
proporre il riesame in caso di sequestro del patrimonio infor-
mativo, ma è necessario che sussista il suo specif‌ico interesse
all’esclusiva disponibilità del medesimo. Interesse che la ri-
corrente non ha prospettato e che non coincide con quello
generico all’espunzione dalla piattaforma probatoria disponi-
bile di un elemento potenzialmente indiziante.
3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso con-
segue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la condanna del ricorren-
te al pagamento delle spese processuali e al versamento
della somma, ritenuta congrua, di euro duemila alla cassa
delle ammende. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. V, 6 GIUGNO 2018, N. 25651
(UD. 15 FEBBRAIO 2018)
PRES. FUMO – EST. SETTEMBRE – P.M. DI LEO (DIFF.) – RIC. P.
Cosa giudicata penale y Effetti y Inammissibilità
di un secondo giudizio y Formazione del giudicato
sul reato di appropriazione indebita y Possibilità di
procedere per il reato di bancarotta per distrazio-
ne y Ammissibilità y Esclusione.
. In tema di rapporti tra il reato di appropriazione in-
debita e quello di bancarotta fraudolenta per distra-
zione, avuto riguardo ai principi affermati dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 200/2016, dichiarativa
della parziale illegittimità costituzionale dell’art. 649
c.p.p., nella parte in cui escludeva la operatività del di-
vieto di un secondo giudizio per la sola circostanza che
sussistesse concorso formale tra il reato già giudicato e
quello da giudicare, deve escludersi che il soggetto già
giudicato in via def‌initiva (e, nella specie, assolto) per
il reato di appropriazione indebita possa essere nuova-
mente processato per quello di bancarotta fraudolenta
per distrazione, quando la condotta materiale a lui ad-
debitata sia sempre la stessa, non potendo valere come
elemento differenziatore la sopravvenuta dichiarazio-
ne di fallimento, atteso che questa è da considerare
come indipendente dalla volontà dell’agente. (Mass.
Redaz.) (c.p., art. 646; c.p.p., art. 649; r.d. 16 marzo
1942, n. 267, art. 216) (1)
(1) La sentenza in commento richiama opportunamente la pronun-
cia della Corte cost. 21 luglio 2016, n. 200, pubblicata solo in moti-
vazione in www.latribuna.it, che ha dichiarato illegittimo, per con-
trasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 4 del
Protocollo n. 7 alla CEDU, l’art. 649 c.p.p. nella parte in cui secondo
il diritto vivente esclude che il fatto sia il medesimo per la sola cir-
costanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato
con sentenza irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo proce-
dimento penale. Alle medesime conclusioni di cui in massima sono
pervenute, in relazione al concorso formale di reati, Cass. pen., sez.
V, 21 marzo 2016, n. 11918, in questa Rivista 2016, 921 e Cass. pen.,
sez. III, 2 dicembre 2014, n. 50310, ivi 594.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(Omissis)
Col secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 649
c.p.p., giacché per il medesimo fatto (l’appropriazione
della somma di € 35.000) P. è già stato giudicato e assolto
dal Tribunale di Pordenone con sentenze passate in giudi-
cato il 24 luglio 2012 (il reato contestato era quello di cui
all’art. 646 c.p.). (Omissis)
MOTIVI DELLA DECISIONE
È fondato il secondo motivo di ricorso, che riveste ca-
rattere pregiudiziale rispetto a tutti gli altri e va, pertanto,
esaminato prioritariamente.
1. La questione posta dal ricorrente, rappresentata dal
rapporto tra appropriazione indebita e “distrazione” (una
volta dichiarato il fallimento) degli stessi beni, ha trova-
to, com’è noto, differenti soluzioni nella giurisprudenza di
questa Corte, giacché si è fatto riferimento, per risolve-
re le problematiche scaturenti dal divieto di un secondo
giudizio, posto dall’art. 649 c.p.p., alternativamente alle
f‌igure del concorso formale e del reato complesso, per
affermare, nell’uno e nell’altro caso, che un giudizio, ce-
lebrato e comunque concluso, per il reato di cui all’art.
646 c.p. non è di ostacolo - una volta intervenuto il falli-
mento - alla celebrazione di altro giudizio per bancarotta
(invero, come si dirà, è stata ritenuta praticabile anche la
soluzione inversa).
1.1. La prima soluzione, fatta propria da una risalente
pronuncia di questa Corte (sez. II, n. 10472 del 4 marzo
1997, rv. 209022), è imperniata sulla considerazione che
all’unicità di un determinato fatto storico può far riscon-
tro una pluralità di eventi giuridici (come si verif‌ica, ap-
punto, nell’ipotesi del concorso formale di reati), sicché il
giudicato formatosi con riguardo ad uno di tali eventi non
impedisce l’esercizio dell’azione penale in relazione ad un
altro evento (inteso sempre in senso giuridico), pur scatu-
rito da un’unica condotta, quale che sia stato il reato giu-
dicato per primo (in applicazione di tale principio la Corte
ha ritenuto che l’imputato, agente di cambio, già condan-
nato per il reato di bancarotta fraudolenta - consistita, fra
l’altro, nella sottrazione di titoli e denaro della clientela
- potesse essere sottoposto a nuovo procedimento penale
per il reato di appropriazione indebita in danno di un
cliente). Questa impostazione non esclude del tutto, però,
l’operatività dell’art. 649 c.p.p. e del principio del ne bis in
idem, in esso trasfuso: ciò avviene quando nel primo giu-
dizio sia stata dichiarata l’insussistenza del fatto o la man-
cata commissione di esso da parte dell’imputato, per ovvie
ragioni di incompatibilità logica e per evitare il conf‌litto di
giudicati (Cass., n. 11918 del 20 gennaio 2016, rv. 266382,
riferita al rapporto tra truffa e sostituzione di persona).
1.2. La seconda soluzione, propugnata da una giuri-
sprudenza più recente e più cospicua, afferma, invece,
che l’appropriazione indebita e la bancarotta fraudolenta
per distrazione sono in rapporto di contenuto a contenito-
re, dacché la bancarotta fraudolenta integra una ipotesi
di reato complesso, ai sensi dell’art. 84 c.p., sicché solo
l’avvio del procedimento per bancarotta esclude la possi-
bilità di un secondo giudizio per l’appropriazione, e non
viceversa. Tale impostazione fa leva sul fatto che gli ele-
menti normativi descrittivi della bancarotta sono diversi
e più ampi rispetto a quelli descrittivi dell’appropriazione
giacché nella bancarotta assume rilevanza la pronuncia
di fallimento, che manca all’altra f‌igura di reato (si veda-
no, sul punto, Cass., n. 37298 del 9 luglio 2010, rv. 248640;
sez. V, n. 4404 del 18 novembre 2008, rv. 241887; sez. V,
n. 37567 del 4 aprile 2003, rv. 228297. Una applicazione
di tale principio si è avuta anche con la sentenza n. 2295
del 3 luglio 2015, che ha ritenuta legittima un’ipotesi di
modif‌ica dell’imputazione ex art. 516 c.p.p., operata in di-
battimento dal pubblico ministero una volta intervenuta
la sentenza di fallimento). Si tratta, all’evidenza, di una
impostazione che valorizza, per la comparazione delle fat-
tispecie (e, quindi, per valutare l’identità del fatto, preclu-
siva, per l’art. 649 c.p.p., del secondo giudizio), non solo
la dimensione naturalistica, ma anche la conf‌igurazione
giuridica delle fattispecie, per affermare la loro diversità
strutturale e, quindi, la irriconducibilità all’idem factum.
2. La questione deve oggi essere risolta, ad avviso di
questo Collegio, alla luce dei principi affermati dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 200 del 31 maggio 2016.
2.1. Come è noto, questa pronuncia ha escluso che l’art.
4 del protocollo n. 7 CEDU - secondo cui “nessuno può es-
sere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdi-
zione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato
assolto o condannato” - abbia un contenuto più ampio di
quello dell’art. 649 c.p., per il quale “l’imputato prosciol-
to o condannato con sentenza o decreto penale divenuti
irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a proce-
dimento penale per il medesimo fatto”. La giurispruden-
za stabilizzata della Corte EDU porta solo ad affermare,
ha precisato la Corte costituzionale, che - per i giudici di
Strasburgo - la medesimezza del fatto va apprezzata alla
luce delle circostanze fattuali concrete, indissolubilmente
legate nel tempo e nello spazio, col ripudio di ogni riferi-
mento alla qualif‌icazione giuridica della fattispecie. Non
v’è nessuna ragione logica, ha però precisato la Corte co-
stituzionale, per concludere che il fatto, pur assunto nella
sola dimensione empirica, si restringa, secondo il giudizio
della Corte EDU, “all’azione o all’omissione, e non com-
prenda, invece, anche l’oggetto f‌isico su cui cade il gesto,
se non anche, al limite estremo della nozione, l’evento
naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modif‌icazione
della realtà indotta dal comportamento dell’agente”.
2.2. Parimenti, ha proseguito la Corte costituzionale,
nemmeno il contesto normativo in cui si colloca l’art. 4
del Protocollo CEDU depone per una lettura restrittiva
dell’idem factum, da condurre attraverso l’esame della
sola condotta. Anzi, ha aggiunto la Corte costituzionale, la
lettura delle varie norme della Convenzione (tra cui pro-
prio l’art. 4 del Protocollo 7, che permette la riapertura del
processo penale se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni
sono in grado di mettere in discussione una sentenza favo-
revole all’imputato - già passata in giudicato) rende pale-
se che, allo stato, il testo convenzionale impone agli Stati
membri di applicare il divieto di bis in idem in base ad una
concezione naturalistica del fatto, ma non di restringere
quest’ultimo nella sfera della sola azione od omissione
dell’agente.
2.3. Al contrario, ha concluso la Corte costituzionale,
sono costituzionalmente corretti gli approdi della giuri-
sprudenza di legittimità, per la quale l’identità del fatto
sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturali-
stica nella conf‌igurazione del reato, considerato in tutti
i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso cau-
sale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e
di persona (Cass., sez. un. n. 34655 del 28 giugno 2005, rv.
231799). Tanto, precisa la Corte costituzionale, a condi-
zione che, nell’applicazione pratica, tutti gli elementi del
reato siano assunti nella loro dimensione empirica, sicché
anche l’evento non potrà avere rilevanza in termini giuri-
dici, ma assumerà signif‌icato soltanto quale modif‌icazione

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