Corte Di Cassazione Penale Sez. I, 22 Giugno 2016, N. 25867 (C.C. 3 Febbraio 2016

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giur
6/2016 Arch. nuova proc. pen.
LEGITTIMITÀ
Inf‌ine si doveva cercare risposta ad un’ultima questione:
se l’ordinanza con cui il giudice aveva rilevato d’uff‌icio una
nullità relativa integrasse un’ipotesi di abnormità.
In ordine al primo quesito – ossia se la nullità del de-
creto di citazione a giudizio causata da un’imputazione ge-
nerica costituisse una nullità a regime intermedio o rela-
tiva – la Corte ribadisce che la generica enunciazione del
fatto integra una ipotesi di nullità relativa del decreto di
citazione diretta a giudizio, che resta sanata qualora non
venga eccepita prima dell’apertura del dibattimento.
In relazione al secondo problema – se tale nullità re-
lativa fosse rilevabile d’uff‌icio dal giudice – i giudici della
Cassazione, seguendo una granitica giurisprudenza sul
punto, confermano che le nullità relative non possono es-
sere rilevate d’uff‌icio dal giudice, ma sono solamente ec-
cepibili dalle parti, in quanto «non è consentito al giudice
sostituirsi alle parti nel rilevare cause di nullità relative,
a pena del sovvertimento dei principi generali su cui si
fonda nel nostro ordinamento il sistema della invalidità
degli atti processuali».
Con riferimento alla terza ed ultima questione – se
l’ordinanza con cui il giudice aveva rilevato d’uff‌icio una
nullità relativa integrasse un’ipotesi di abnormità – la
Suprema Corte, dopo aver ricordato che «è abnorme non
solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza
del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento pro-
cessuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto
espressione di un legittimo potere, si esplichi, al di là di
ogni ragionevole limite, al di fuori dei casi consentiti o
delle ipotesi previste», conclude per l’abnormità e, quindi,
per l’annullamento del provvedimento impugnato con re-
stituzione degli atti al giudice a quo.
La pronuncia in commento costituisce un novum nel
panorama giurisprudenziale.
Esistevano, in verità, sentenze aff‌ini: «poiché la nulli-
tà del decreto di citazione a giudizio davanti al Tribunale
per generica enunciazione del fatto a norma dell’art. 555,
comma 2, stesso codice non integra ipotesi di nullità as-
soluta ai sensi dell’art. 179 c.p.p., la relativa eccezione va
formulata prima della dichiarazione di apertura del dibat-
timento; conseguentemente, è abnorme il provvedimento
del Tribunale che di uff‌icio dichiari tale nullità, disponen-
do la restituzione degli atti al P.M. e determinando, così,
un’inammissibile regressione del procedimento» (Cass.
28512/2014. In senso conforme: Cass. 2367/2000).
Le due pronunce citate, però, si riferivano a casi in cui
il giudice del dibattimento aveva rilevato d’uff‌icio la nul-
lità del decreto di citazione diretta a giudizio per indeter-
minatezza dell’imputazione e restituito gli atti al pubblico
ministero dopo l’apertura del dibattimento.
Nel caso in commento, invece, il giudice si era atti-
vato nel corso del controllo sulla regolare costituzione
delle parti. Cionondimeno, la Suprema Corte afferma che
il principio di diritto deve essere applicato anche a casi
come quello in esame.
Al di là delle rif‌lessioni teoriche, resta da capire quale
possa essere l’utilità di una simile censura, il che assume
un rilievo concreto per rintracciare quell’interesse ad im-
pugnare del ricorrente che costituisce presupposto inde-
fettibile di ammissibilità di qualsiasi impugnazione.
Questo interesse non può di certo essere rintracciato
nel mero rispetto della procedura.
Indubbio valore decisivo è, invece, ravvisabile nel diritto
alla ragionevole durata del processo. In astratto, infatti, l’or-
dinanza impugnata aveva causato un’indebita regressione
alla fase procedimentale. Nel caso concreto, però, il ricorso
in Cassazione ha f‌inito per dilatare i tempi processuali.
Esiste, in realtà, un interesse ben più profondo, che si
lega alle strade processuali da percorrere. Com’è noto, in-
fatti, un’imputazione lacunosa può suggerire ad un’abile
difesa dell’imputato la scelta del giudizio abbreviato non
condizionato, che, cristallizzando l’imputazione, imbriglia
il giudice tra le strette maglie di un addebito generico.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. I, 22 GIUGNO 2016, N. 25867
(C.C. 3 FEBBRAIO 2016)
PRES. VECCHIO – EST. CAVALLO – P.M. DI LEO (CONF.) – RIC. CONFL. DI COMP.
G.I.P. TRIB. LECCE C. TRIBUNALE DI LECCE
Giudizio per decreto y Opposizione y Ammissibili-
tà o inammissibilità y Richiesta di messa alla prova
y Valutazione y Della competenza penale y Conf‌litto
tra giudice per le indagini preliminari e giudice del
dibattimento y Competenza del tribunale davanti al
quale deve instaurarsi il giudizio y Sussistenza.
. Qualora con l’atto di opposizione a decreto penale
venga formulata richiesta di messa alla prova ai sensi
dell’art. 464 bis c.p.p., competente a decidere su tale
richiesta è il tribunale davanti al quale deve instaurarsi
il giudizio e non il giudice per le indagini preliminari.
(Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 28; c.p.p., art. 464) (1)
(1) Nello stesso senso si vedano Cass. pen., sez. II, 13 novembre 2015,
n. 45338, in questa Rivista 2016, 36 e Cass. pen., sez. I, 20 dicembre
2010, n. 44565, in Ius&Lex dvd n. 2/2016, ed. La Tribuna. Per utili
riferimenti sul tema si veda Cass. pen., sez. VI, 2 febbraio 2016, n.
4171, in Riv. pen. 2016, 342.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il Tribunale di Lecce, in composizione monocrati-
ca, investito del procedimento penale a carico di Greco
Stefania – imputata del reato di cui all’art. 483 c.p. – a
seguito dell’opposizione proposta dalla predetta al decreto
penale di condanna emesso nei suoi confronti il 12 maggio
2014 dal Giudice delle indagini preliminari della sede, nel
rilevare che con l’atto di opposizione era stata avanzata
dall’imputata richiesta di messa alla prova ex art. 464 bis
c.p.p. – con ordinanza dibattimentale deliberata il 4 giu-
gno 2015, ha dichiarato la propria incompetenza a deci-
dere sull’istanza, ritenendo competente a conoscere della

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