Corte Di Cassazione Penale Sez. Iv, 6 Luglio 2016, N. 27898 (Ud. 28 Aprile 2016)

Pagine605-607
605
giur
Arch. nuova proc. pen. 6/2016
LEGITTIMITÀ
momento interno della procedura e il dispositivo è privo
di autonoma rilevanza, giacché il provvedimento giurisdi-
zionale, nella sua unità strutturale, acquista giuridica esi-
stenza soltanto con il deposito, che ne segna il momento
perfezionativo, con la sola eccezione del procedimento ca-
merale concernente le misure cautelari personali, per le
quali, a determinati f‌ini, è riconosciuta rilevanza esterna
al dispositivo, prima ancora del deposito del provvedimen-
to completo di motivazione (sez. I, n. 6026 del 18 novem-
bre 1996, Tononi, Rv. 206256; sez. II, n. 30833 del 21 giugno
2012, Speranza, Rv. 253532).
Nella medesima prospettiva, d’altronde, questa Supre-
ma Corte ha posto in rilievo che, a differenza di quanto
si verif‌ica nel caso della sentenza, il cui dispositivo letto
in udienza costituisce l’atto con il quale il giudice estrin-
seca la volontà della legge nel caso concreto, l’ordinanza
emessa a seguito di rito camerale presenta il carattere
unitario del complesso procedimento logico nel quale si
compendia la decisione adottata, con la conseguenza che,
non essendovi momento distintivo tra il dispositivo e la
motivazione, dette parti del provvedimento costituiscono
nel loro insieme la decisione (sez. V, n. 27787 del 20 mag-
gio 2004, Fattorusso, Rv. 228709, secondo cui all’eventuale
discrepanza esistente nel primo può ovviarsi con la lettura
del provvedimento nel suo complesso).
Ne discende, con riferimento all’esatta delimitazione
del perimetro di applicazione delle su richiamate previ-
sioni normative, che il termine f‌inale di riferimento per la
pronuncia della Corte d’appello deve correttamente indi-
viduarsi non certo nella data di deposito del dispositivo,
bensì in quella di deposito del decreto motivato entro il
termine di un anno e sei mesi dal ricorso in appello.
Una diversa soluzione esegetica, specie in considera-
zione della su indicata ratio della modif‌ica normativa, pri-
verebbe di qualunque contenuto di garanzia la diposizione
di cui all’art. 27, comma 6, D.L.vo cit., rimettendo all’Auto-
rità giudiziaria la possibilità di scegliere arbitrariamente
i tempi di deposito della motivazione del provvedimento,
così dilatando in misura imprevedibile gli effetti invasivi
della misura ablativa, con gli inevitabili rif‌lessi sui tempi e
sulle modalità di esercizio del diritto all’impugnazione da
parte del proposto e dei terzi interessati.
Al riguardo, peraltro, il legislatore ha signif‌icativamente
previsto un’opportuna misura di contemperamento alla pe-
rentorietà del termine attraverso la possibilità di disporne,
in due occasioni, una proroga motivata: facoltà, questa, cui
la Corte distrettuale, nel caso di specie, non ha fatto ricorso.
A non dissimili conclusioni, inf‌ine, si perviene anche
muovendo da una diversa prospettiva ermeneutica, ove si
considerino, in tema di impugnazioni avverso i provvedi-
menti di applicazione delle misure di prevenzione persona-
li, il tenore letterale della norma generale dettata nell’art.
10, comma 2, D.L.vo cit. là dove si stabilisce che la Corte
d’appello provvede, “con decreto motivato”, entro il termine
di trenta giorni dalla proposizione del ricorso – e, in tema
di procedimento applicativo, la connessa disposizione di cui
all’art. 7, comma 1, ove del tutto analogamente si prevede
che il Tribunale provvede, con “decreto motivato”, entro il
termine di trenta giorni dalla formulazione della proposta.
Fatta salva, in mancanza della previsione di qualsiasi
sanzione per la loro inosservanza, la natura ordinatoria di
tali termini (sez. l, n. 23407 del 24 marzo 2015, Lin, Rv.
263963) – laddove, in tema di misure di prevenzione pa-
trimoniali, al mancato rispetto della speciale disposizione
relativa alla perentorietà del diverso termine di un anno
e sei mesi espressamente si ricollega, come si è visto, la
perdita di eff‌icacia del provvedimento di conf‌isca (ex art.
27, comma 6) – è signif‌icativo rilevare che per le impugna-
zioni contro le misure patrimoniali, ai sensi dell’art. 27,
comma 2, D.L.vo cit., si applicano le disposizioni previste
dall’art. 10, che costituiscono pertanto la disciplina gene-
rale di riferimento per le impugnazioni proposte avverso i
provvedimenti di conf‌isca e gli altri provvedimenti in tema
di misure di prevenzione patrimoniali (esplicitamente in-
dicati nell’art. 27, comma 1), con la conseguente esigenza
di un coordinamento logico – sistematico tra le diverse
evenienze procedimentali in cui la Corte d’appello è chia-
mata a provvedere a seguito di un ricorso.
In tal senso, l’integrale richiamo che, in caso di ricorso
in appello, viene effettuato dall’art. 27, comma 6, all’appli-
cazione delle regole dettate nell’art. 24, comma 2 – che a
sua volta sancisce una analoga perdita di eff‌icacia per il
provvedimento di sequestro, se nel termine perentorio ivi
previsto il Tribunale “non deposita il decreto che pronun-
cia la conf‌isca” – sta a signif‌icare che la Corte d’appello
deve comunque pronunciarsi, entro il termine previsto dal
legislatore (sia esso di natura perentoria, come nell’art. 27
comma 6, ovvero di natura meramente ordinatoria, come
nell’ipotesi di cui all’art. 10, comma 2), con il deposito di
un decreto motivato. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. IV, 6 LUGLIO 2016, N. 27898
(UD. 28 APRILE 2016)
PRES. VESSICHELLI – EST. FIDANZIA – P.M. PINELLI (CONF.) – RIC. CANIGLIA ED ALTRO
Prova penale y Documenti e scritture y Dichia-
razioni rese dal fallito y Al giudice delegato y Nel
corso della procedura fallimentare y Utilizzabilità
y Sussistenza y Al pari delle dichiarazioni rese al
curatore y Nel procedimento penale y Per reato di
bancarotta y Applicabilità al caso di specie degli
art. 63, 238 commi 2 e 2 bis e 238 bis c.p.p. y Conf‌i-
gurabilità y Esclusione.
. Le dichiarazioni rese dal fallito al giudice delegato,
nel corso della procedura fallimentare, sono pienamen-
te utilizzabili, al pari di quelle rese al curatore falli-
mentare, nel procedimento penale instaurato a carico
del medesimo fallito per il reato di bancarotta, appale-
sandosi non pertinente, con riguardo ad esse, il richia-
mo agli artt. 63, 238 commi 2 e 2 bis, e 238 bis c.p.p.
(Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 234; c.p.p., art. 238 bis) (1)

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT