Corte di cassazione penale sez. VI, 18 novembre 2014, n. 47586 (c.c. 1 ottobre 2014)

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giur
2/2015 Arch. nuova proc. pen.
LEGITTIMITÀ
e pur nella consapevolezza dell’esistenza di un indirizzo
contrario maggioritario, che il difensore di f‌iducia sia le-
gittimato a rinunciare validamente, ai sensi dell’art. 589
comma 2 c.p.p., all’impugnazione da lui autonomamente
proposta (come avvenuto nel caso di specie) nell’interesse
del condannato (o imputato), senza necessità di munirsi
di un’apposita procura speciale rilasciata da parte dell’as-
sistito.
L’orientamento maggioritario fonda il proprio convin-
cimento, contrario alla titolarità in capo al difensore di
un autonomo potere di rinuncia all’impugnazione dallo
stesso proposta, essenzialmente su due argomenti, l’uno
tratto dal disposto letterale dell’art. 589 comma 2 del
codice di rito (“Le parti private possono rinunciare all’im-
pugnazione anche per mezzo di procuratore speciale”) e
dal riferimento testuale ivi contenuto alle “parti private”
come titolari del potere di rinuncia all’impugnazione, tra
le quali non sarebbe ricompreso il difensore (sez. I n. 7764
del 27 gennaio 2012, Rv. 252080, imputato Santonastaso), e
l’altro basato sulla natura dispositiva dell’atto di rinuncia,
riconducibile alla volontà della parte interessata (manife-
stabile solo personalmente o per il tramite di un procura-
tore speciale), e tale perciò da non costituire espressione
dell’esercizio del diritto di difesa rientrante nei poteri di
rappresentanza spettanti al difensore (sez. I n. 29202 del
23 maggio 2013, Rv. 256792, imputato Maida, che richiama
il precedente di cui alla sentenza n. 18 del 5 ottobre 1994
delle Sezioni Unite, Rv. 199805, imputato Battaggia, dove
il principio risulta peraltro affermato solo incidentalmen-
te e a titolo esemplif‌icativo, nell’ambito della questione
concernente i poteri di rappresentanza che devono ricono-
scersi ex art. 165 comma 3 del codice di rito al difensore
dell’imputato latitante o evaso con riguardo alla ritenuta
legittimazione a proporre la dichiarazione di ricusazione
del collegio giudicante in nome e per conto dell’imputato,
che costituiva l’oggetto specif‌ico di quel giudizio).
Tale orientamento, tuttavia, non si confronta adegua-
tamente, ad avviso di questo Collegio, con la titolarità del
diritto autonomo di impugnazione, che (nell’ambito del
ruolo partecipativo, e non di mera assistenza, attribuito
alla difesa tecnica nel processo penale, secondo quanto
ricavabile in particolare dal disposto dell’art. 99 comma
1 del codice di rito) è espressamente riconosciuto al di-
fensore dell’imputato dall’art. 571 comma 3 c.p.p., e che
implica l’esercizio di un potere dispositivo sulle sorti del
processo in grado di produrre effetti sostanziali di natura
anche pregiudizievole per il rappresentato (si pensi, a
titolo di esempio, all’insorgenza del diritto di proporre ap-
pello incidentale in capo al pubblico ministero come con-
seguenza dell’appello principale autonomamente proposto
dal difensore dell’imputato); così che, in relazione ai modi
in cui è destinato legittimamente ad estrinsecarsi il libero
esercizio di tale autonomo diritto (di impugnazione), non
vi è ragione di disconoscere un parallelo autonomo potere
di caducarne gli effetti mediante la dichiarazione di rinun-
cia al gravame proposto (che, nel caso dell’esempio sopra
citato, comporterebbe l’automatica perdita di eff‌icacia
dell’appello incidentale).
Né vale opporre in contrario la ricordata previsione di
cui al comma 2 dell’art. 589 c.p.p., potendosi essa ragione-
volmente leggere, nell’ambito del sistema delineato dall’art.
571 del codice di rito, come riferita all’iniziativa personale
dell’imputato di rinunciare alla impugnazione proposta da
lui stesso ovvero, in forza del disposto del comma 4 del ci-
tato art. 571, a quella proposta dal difensore, senza che con
ciò si sia inteso inibire a quest’ultimo la rinuncia all’impu-
gnazione da lui autonomamente proposta.
3. La conclusione esposta, poi, non presenta particolari
rischi per l’imputato.
Il difensore, infatti, in ossequio ai suoi doveri deontolo-
gici, è tenuto a fare sempre gli interessi del suo assistito e
ad informarlo di tutto ciò che rilevi per la sua difesa.
Non è immaginabile, quindi, che una decisione così
importante, quale la rinuncia all’impugnazione proposta,
sia assunta senza che sia stata preventivamente concor-
data con l’assistito e/o per motivi diversi dallo specif‌ico
interesse del medesimo (in capo al quale rimane peral-
tro sempre - è bene ricordare - la facoltà, prevista in via
generale dall’art. 99 comma 2 del codice di rito, di togliere
effetto, con propria espressa dichiarazione contraria, al-
l’atto compiuto dal difensore f‌intantoché non intervenga il
provvedimento del giudice).
È superf‌luo aggiungere che quanto testé rilevato vale
ancor più nel caso di mandato difensivo f‌iduciario (quale
quello conferito nella specie dal Tiberia), connotato in-
dubbiamente da un maggior legame tra il professionista e
il suo assistito (maggior legame in effetti riconosciuto, ai
f‌ini della presunzione di conoscenza degli atti del processo
da parte dell’imputato, sia dalla giurisprudenza di questa
Corte - vedi sez. I n. 8232 del 7 febbraio 2006, Rv. 233417,
imputato Zine Ei.; sez. I n. 29482 del 20 giugno 2006, Rv.
235237, imputato Iljazi; sez. V n. 25406 del 15 febbraio
2013, Rv. 256316, imputato Levacovic - sia dallo stesso
legislatore, con la previsione di cui al comma 8-bis dell’art.
157 del codice di rito).
4. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissi-
bile, con conseguente condanna del Tiberia al pagamento
delle spese processuali e al versamento alla cassa delle
ammende della sanzione pecuniaria che si ritiene equo
contenere nella somma di 500 euro. (Omissis)
corte di cAssAzione penAle
sez. vi, 18 novembre 2014, n. 47586
(c.c. 1 ottobre 2014)
pres. Agrò – est. leo – p.m. riello (conf.) – ric. formenti ed Altri
Giudice penale y Ricusazione y Casi y Art. 37,
comma 1, lett. b), c.p.p. y Ambito di operatività.
. In tema di ricusazione del giudice, il disposto di cui
all’art. 37, comma 1, lett. b), c.p.p., quale integrato
dalla sentenza della Corte costituzionale n. 283/2000,
trova applicazione anche quando il giudice, nell’eser-
cizio delle proprie funzioni, dovendo motivare un prov-
vedimento concernente taluni soggetti, abbia espresso

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