Corte di cassazione penale sez. V, 24 ottobre 2014, n. 44390 (c.c. 20 giugno 2014)

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giur
12/2014 Rivista penale
LEGITTIMITÀ
giugno 1990, n. 162, distingueva, invece, nettamente, ai f‌ini
del trattamento sanzionatorio, tra droghe pesanti e droghe
leggere, prevedendo per i fatti che avevano ad oggetto le
prime, la pena della reclusione da otto a venti anni e della
multa da (25.822,00 a (258.228,00 (art. 73, comma 1) e
per le seconde, la pena della reclusione da due a sei anni
e della multa da (5.164,00 a (77.468,00 (art. 73, comma
4): il che imponeva, per la giurisprudenza formatasi nel
vigore di tale previgente disciplina, nel caso di fatti rela-
tivi a droghe di diverso tipo, di ritenere integrate due au-
tonome ipotesi di reato, tra le quali era possibile ravvisare
la continuazione, trattandosi di distinte azioni tipiche a
diversa oggettività giuridica, con differente trattamento
sanzionatorio, non alternative tra loro né inquadrabili in
un rapporto di assorbimento tra un maius (assorbente) ed
un minus (assorbito), come potrebbe essere tra trasporto
e detenzione o tra importazione e detenzione (v. sez. VI, n.
35637 del 16 aprile 2003, Poppi, Rv. 226649; sez. IV, n. 3208
del 21 febbraio 1997, Buttazzo, Rv. 207879).
Secondo tale ultima disciplina, dunque, in presenza di
fattispecie non lievi relative a entrambe le dette tipologie
di stupefacenti, occorre comunque distinguere, peraltro
all’interno di ciascuno degli episodi contestati, tra reati
relativi a droghe pesanti e reati relativi a droghe leggere,
derivandone la necessità di applicare la pena minima edit-
tale di anni otto in relazione ai primi, tra i quali, dunque,
dovrebbe individuarsi il reato più grave, sulla cui pena
calcolare anche l’aumento per la continuazione con gli
altri reati.
Ne discende, con ogni evidenza, che l’applicazione
della legge ora vigente (perchè tornata in vigore, come
detto, per effetto della detta declaratoria di incostituzio-
nalità), sarebbe comunque peggiorativa, in fatto, rispetto
a quella applicata dal primo giudice, la quale, pertanto,
non si espone ad alcun possibile rilievo off‌icioso di illegali-
tà in questa sede (ancorché, ripetesi, si tratti di disciplina
dichiarata incostituzionale).
Ciò non soltanto perchè tale rilievo non potrebbe co-
munque mai operare in malam partem in mancanza di im-
pugnazione da parte del P.M., per il divieto di reformatio
in peius (v. ex aliis sez. VI, n. 49858 del 20 novembre 2013,
G., Rv. 257672; sez. V, n. 771 del 15 febbraio 2000, Bosco,
Rv. 215727), ma prima ancora perchè la norma dichiarata
incostituzionale (ossia, per quanto in questa sede interes-
sa, l’art. 73, comma 1, D.P.R. cito nel testo introdotto dal
citato art. 4-bis D.L. n. 272/2005, conv. con modif. dalla
legge 49/2006), nonostante la detta pronuncia di incosti-
tuzionalità, ben può continuare a trovare applicazione per
i fatti commessi sotto la sua vigenza (non anche invece
per quelli anteriori: v. in tal senso Corte cost. n. 394 del
23 novembre 2006; nonché sez. IV, n. 13903 del 28 febbraio
2014, Spampinato, non mass.), ove la sua applicazione in
concreto possa - come nel caso di specie - condurre a un
trattamento più favorevole per l’imputato: ciò per il prin-
cipio inderogabile della irretroattività delle legge penale
meno favorevole. (Omissis)
Corte di CAssAzione penAle
sez. v, 24 ottobre 2014, n. 44390
(C.C. 20 giugno 2014)
pres. fumo – est. settembre – p.m. stAbile (diff.) – riC. meCCA
Informatica y Banche dati y Accesso abusivo ad un
sistema informatico y Soggetto autorizzato con la
qualità di pubblico uff‌iciale e/o incaricato di pub-
blico servizio y Utilizzo dei dati appresi per f‌inali-
tà estranee da quelle consentite y Ammissibilità y
Esclusione.
. Ai f‌ini della riconoscibilità del carattere abusivo
dell’accesso ad un sistema informatico da parte di
soggetto dotato delle necessarie credenziali (“pas-
sword”) ed investito della qualità di pubblico uff‌iciale
o di incaricato di pubblico servizio, non può farsi gene-
rico riferimento alla pretesa violazione della regola di
imparzialità e trasparenza che, ai sensi dell’art. 7 della
legge 7 agosto 1990 n. 241, deve presiedere allo svol-
gimento dell’attività della pubblica amministrazione, e
neppure al disposto di cui all’art. 9 della legge 1 aprile
1981 n. 121 che, nell’individuare i soggetti abilitati ad
accedere al sistema informatico, non detta prescrizioni
in ordine alle modalità dell’accesso ed alle operazioni
consentite all’utente abilitato, ma si limita a vietare a
quest’ultimo ogni successiva utilizzazione dei dati da
lui appresi per f‌inalità diverse da quelle consentite.
(Mass. Redaz.) (c.p. art. 615 ter; l. 7 agosto 1990, n.
241, art. 7; l. 1 aprile 1981, n. 121, art. 9) (1)
(1) Ai f‌ini dell’individuazione del reato di cui all’art. 615 ter si veda
Cass. pen., sez. un., 7 febbraio 2012, n. 4694, in questa Rivista 2013,
106 e Cass. pen., sez. V, 18 aprile 2012, n. 15054, ivi 2013, 722. Cfr.,
inoltre, Cass. pen., sez. V, 22 maggio 2013, n. 22024, ivi 2014, 231,
secondo cui integra il reato di accesso abusivo al sistema informatico
la condotta del pubblico dipendente, impiegato della Agenzia delle
entrate, che effettui interrogazioni sul sistema centrale dell’anagrafe
tributaria sulla posizione di contribuenti non rientranti, in ragione
del loro domicilio f‌iscale, nella competenza del proprio uff‌icio.
svolgimento del proCesso
1. Il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale
di Potenza, con ordinanza confermata dal Tribunale del
riesame, ha applicato a Mecca Leonardo la misura caute-
lare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria
perchè ritenuto responsabile di concorso nel reato di ac-
cesso abusivo alla banca dati dell’ACI (art. 615/ter, commi
2, n. 1 e 3 c.p.). Secondo l’accusa il Mecca, sospettando di
essere sottoposto ad indagine da parte di Forze di Polizia
in relazione ad appalti e gare pubbliche indette dalla re-
gione Basilicata, istigò il suo conoscente Zarrillo Mario,
Capo di Stato Maggiore presso il Comando Regionale della
Guardia di Finanza della regione Basilicata, ad accedere
abusivamente al Sistema di Indagine presso il Ministero
dell’Interno aff‌inché gli rivelasse l’intestazione della Fiat
Punto che lo aveva seguito ed i cui occupanti avevano
scattato foto che lo riguardavano.
Il Tribunale ha ritenuto sussistente il quadro di gravità
indiziaria sulla scorta degli accertamenti effettuati dalla

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