Corte di cassazione penale sez. I, 12 settembre 2014, n. 37596 (ud. 11 luglio 2014)

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11/2014 Rivista penale
LEGITTIMITÀ
dura penale. Infatti il Tribunale evidenzia correttamente
perchè ravvisa la sussistenza del fumus commissi delicti,
esamina le doglianze del ricorrente e fornisce un’incensu-
rabile spiegazione del perchè non le ritiene fondate (sullo
spostamento del mobilio dall’azienda della P.O. si veda pa-
gina 2 dell’impugnato provvedimento; sull’appartenenza
del suddetto mobilio alla P.O. si veda pagina 3 dell’impu-
gnato provvedimento; per quanto riguarda la richiesta di
restituzione del mobilio da parte della persona offesa si
veda sempre pagina 3 dell’impugnato provvedimento).
Per quanto riguarda il fumus commissi delicti appare
opportuno riportare alcune decisioni di questa Corte che
confermano quanto ritenuto dal Tribunale: la diversità, in
materia penale, del concetto di possesso rispetto a quello
civilistico e cioè come situazione di fatto in cui rientrano
tutti i casi nei quali il soggetto ha la signoria autonoma
sulla cosa, importa che l’aff‌ittuario e, indubbiamente,
il possessore di un fondo rustico, qualora vendano degli
alberi del fondo tenuto in aff‌itto e ne facciano proprio il
ricavato, commettono il reato di appropriazione indebita
e non già quello di furto (sez. II, sentenza n. 11218 del 9
maggio 1985 ud. - dep. 23 novembre 1985 - Rv. 171196; sez.
II, sentenza n. 2329 del 22 ottobre 1985 Ud. - dep. 21 marzo
1986 - Rv. 172205). Inoltre, integra il reato di appropriazio-
ne indebita la condotta del conduttore di un appartamen-
to che asporti dall’immobile oggetto di locazione i relativi
arredi, senza che, ai f‌ini della sussistenza dell’illecito, sia
necessaria la formale richiesta di restituzione da parte del
locatore ma essendo suff‌iciente che a detti beni sia stata
data dall’agente una diversa destinazione rispetto a quella
originaria (sez. II, sentenza n. 4958 del 22 dicembre 2011
ud. - dep. 9 febbraio 2012 - Rv. 251807).
A fronte di quanto sopra il ricorrente contesta l’inter-
pretazione data dal Tribunale ai fatti e fornisce una sua
diversa prospettazione, tra l’altro, genericissima. Orbene,
quanto sopra porterebbe alla dichiarazione di inammis-
sibilità anche se si fosse in presenza di un ricorso per
Cassazione nel quale poter proporre tutti i motivi previsti
dall’articolo 606 del codice di procedura penale. Infatti,
nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassa-
zione non deve stabilire se la decisione di merito proponga
effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti
né deve condividerne la giustif‌icazione, ma deve limitarsi
a verif‌icare se questa giustif‌icazione sia, come nel caso di
specie, compatibile con il senso comune e con “i limiti di
una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una
formula giurisprudenziale ricorrente. Restano escluse da
tale controllo sia l’interpretazione degli elementi a dispo-
sizione del Giudice di merito sia le eventuali incongruenze
logiche che non siano manifeste, ossia macroscopiche,
eclatanti, assolutamente incompatibili con altri passaggi
argomentativi risultanti dal testo del provvedimento im-
pugnato. Ne consegue che non possono trovare ingresso
in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una di-
versa prospettazione dei fatti nè su altre spiegazioni, per
quanto plausibili o logicamente sostenibili - e nel caso di
specie, come si è detto, non ricorre neppure questa ipotesi
- formulate dal ricorrente. (sez. VI, sentenza n. 1762 del
15 maggio 1998 c.c. - dep. 1 giugno 1998 - Rv 210923; si
vedano anche Cass. sez. IV sent. n. 47891 del 28 settembre
2004 dep. 10 dicembre 2004 RV 230568; Cass. sez. V sent.
n. 1004 del 30 novembre 1999 dep. 31 gennaio 2000 RV
215745; Cass., sez. II sent. n. 2436 del 21 dicembre 1993
dep. 25 febbraio 1994, RV 196955). L’inammissibilità del
resto del ricorso è ancor più evidente nel caso di specie,
perchè, come si è già rilevato, l’unico motivo di ricorso
ammesso, ex articolo 325 c.p.p., è quello della violazione
di legge.
Si deve, inf‌ine, ricordare che questa Suprema Corte ha
più volte affermato il principio - condiviso dal Collegio -
che le condizioni generali per l’applicabilità delle misure
cautelari personali, previste dall’art. 273 c.p.p., non sono
estensibili, per le loro peculiarità, alle misure cautelari
reali essendo precluse per queste ultime, in sede di veri-
f‌ica della legittimità del provvedimento di sequestro pre-
ventivo, ogni valutazione sulla sussistenza dei gravi indizi
di colpevolezza a carico degli indagati e sulla gravità de-
gli stessi. Ne consegue che, in sede di riesame di misure
cautelari reali, pur essendo precluso sia l’accertamento
del merito dell’azione penale sia il sindacato sulla con-
creta fondatezza dell’accusa, il giudice deve - come ha
fatto nel caso di specie - operare un attento controllo sulla
base fattuale del singolo caso concreto, secondo il parame-
tro del “fumus”, tenendo conto delle concrete risultanze
processuali e della effettiva situazione emergente dagli
elementi forniti dalle parti (sez. un., sentenza n. 920 del
17 dicembre 2003 c.c. - dep. 19 gennaio 2004 - Rv. 226492;
sez. V, sentenza n. 18078 del 26 gennaio 2010 c.c. dep. 12
maggio 2010 - Rv. 247134; sez. VI, sentenza n. 35786 del 21
giugno 2012 c.c. - dep. 18 settembre 2012 - Rv. 254394).
Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento
che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto
deve essere condannata al pagamento delle spese del pro-
cedimento. (Omissis)
corte di cassazione Penale
sez. i, 12 settembre 2014, n. 37596
(ud. 11 luglio 2014)
Pres. chieffi – est. di tomassi – P.m. delehaye (conf.) – ric. m.g.
Molestia o disturbo alle persone y Elemento
oggettivo y Invio di messaggi molesti attraverso
pagina di Facebook y Piattaforma sociale Facebook
y Luogo aperto al pubblico y Sussistenza.
. Ai f‌ini della conf‌igurabilità del reato di molestie o
disturbo alle persone, va considerato luogo aperto al
pubblico la piattaforma sociale Facebook, quale luogo
“virtuale” aperto all’accesso di chiunque utilizzi la
rete e che, pertanto, integra la contravvenzione di cui
all’art. 660 c.p. l’invio di messaggi molesti, “postati”
sulla pagina pubblica di Facebook della persona offesa.
(Mass. Redaz.) (c.p., art. 660) (1)

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