Corte di cassazione penale sez. V, 22 luglio 2014, n. 32352 (ud. 7 marzo 2014)

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giur
10/2014 Rivista penale
LEGITTIMITÀ
no i cittadini sulle qualità personali di chi lo deteneva e
sul potere connesso all’uso dello stesso. E l’accertamento
della sua idoneità ingannatrice rappresenta un giudizio di
merito che - per essere sorretto da logica motivazione -
non è censurabile in cassazione.
2. Nella specie, il dispositivo non era lecitamente dete-
nuto. Il ricorrente insiste sul fatto che, essendo in servizio
alla Guardia di Finanza, era abilitato all’uso e alla deten-
zione del lampeggiante senza limitazioni di sosta, perchè
“in servizio permanente effettivo”. Senonché, la nozione di
“servizio permanente” è diversa da quella di “esercizio delle
funzioni”, implicando essa che il pubblico uff‌iciale può in
ogni momento intervenire per esercitare le sue funzioni,
ma non che egli le stia concretamente esercitando in ogni
momento (Cass., n. 38735 del 9 luglio 2004; Cass., n. 21730
del 17 aprile 2001). Dal che consegue che il Piva, come
correttamente argomentato dai giudici di merito, essendo
in vacanza in Calabria, fuori della sua sede di servizio, e
non essendo impegnato in un servizio di polizia, non era
legittimato né all’uso né alla detenzione di un dispositivo
in uso alle forze di polizia, peraltro privatamente ottenuto
- secondo il suo dire - attraverso canali internet. Corretto
è anche il rilievo che non rileva l’uso del dispositivo, ma la
sua detenzione, per cui il reato non è escluso dal fatto che
il lampeggiante fosse, al momento del controllo, spento (e
ciò a prescindere dal fatto che anche la circolazione col
dispositivo spento, ma collocato sul tettuccio dell’autovet-
tura, potrebbe integrare una forma di “uso”). La motivazio-
ne concernente l’elemento materiale del reato è, quindi,
priva di vizi logici e conforme al diritto.
3. Lo stesso dicasi per l’elemento soggettivo, ineccepi-
bile (e f‌inanche sovrabbondante) essendo il rilievo che
“la qualif‌ica ricoperta da Piva esclude in radice che egli
non fosse perfettamente consapevole delle conseguenze
dell’utilizzo improprio del lampeggiante”. Peraltro, es-
sendo l’elemento soggettivo integrato dal dolo generico, è
suff‌iciente la cosciente volontà della detenzione, mentre
l’errore circa la liceità della detenzione si risolve in errore
di diritto, la cui scusabilità non è nemmeno argomentata
dal ricorrente.
4. Sebbene l’argomento non sia affrontato dal ricorren-
te, va sottolineato che non opera, nella specie, il principio
di specialità posto dall’art. 9 della L. 689 del 1981, astratta-
mente invocabile sul rilievo che l’art. 177 del D.L.vo 285 del
1992, al comma 4, punisce l’uso del lampeggiante fuori dei
casi previsti dal comma 1 dello stesso articolo. La norma si
riferisce, infatti, ai casi di “uso” improprio da parte di un
soggetto legittimato (si riferisce, quindi, all’uso improprio
che ne faccia un appartenente alle forze dell’ordine o uno
degli altri soggetti indicati nell’art. 177 cit.), ma non anche
alla “detenzione” illegittimamente acquisita dal quivis de
populo, appartenente o meno ad uno dei Corpi specif‌icati
dalla norma.
5. Alla stregua di tanto non merita censura la decisione
impugnata, che è priva di errori ed esibisce una motivazio-
ne che si segnala per suff‌icienza argomentativa. Il ricorso
va pertanto rigettato, con conseguente condanna del ri-
corrente al pagamento delle spese processuali. (Omissis)
corte dI cassazIone penale
sez. v, 22 luglIo 2014, n. 32352
(ud. 7 marzo 2014)
pres. ferrua – est. oldI-de marzo – p.m. gaeta (dIff.) – rIc. tanzI ed altrI
Reati fallimentari y Bancarotta fraudolenta y Ban-
carotta per distrazione y Dichiarazione di fallimen-
to y Nesso di causalità tra la condotta dell’agente
ed il fallimento y Esclusione.
Società y Reati societari y Amministratori privi di
delega y Responsabilità a titolo di dolo eventuale di
reati societari o fallimentari y Condizioni.
. In tema di bancarotta fraudolenta, pur dovendosi
escludere che la dichiarazione di fallimento (o pro-
nuncia ad essa equiparabile) costituisca condizione
obiettiva di punibilità, non può neppure affermarsi che
essa (salve le ipotesi previste dall’art. 223, comma 2,
L.F., nelle quali è richiesto che sia stata la condotta
dell’agente a “cagionare” il dissesto o il fallimento
della società), costituisca l’“evento” del reato, dovendo
piuttosto ritenersi che si tratti di una mera condizione
di esistenza del reato medesimo, quale ben può essere
prevista dal legislatore, non essendo questi obbligato,
nella individuazione degli elementi costitutivi di un
illecito penale diversi dalla condotta addebitabile al-
l’agente, ad attenersi ad una rigida alternativa tra con-
dizione obiettiva di punibilità ed evento. Ne consegue
che, ai f‌ini dell’affermazione della penale responsabi-
lità di chi abbia posto in essere taluna delle condotte
previste dall’art. 216 L.F. non occorre che la medesima
abbia assunto eff‌icacia causale nella produzione del
dissesto e neppure che della preesistenza di tale condi-
zione ovvero della possibilità o probabilità del suo suc-
cessivo verif‌icarsi il soggetto abbia avuto percezione.
(Mass. Redaz.) (r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 216; r.d.
16 marzo 1942, n. 267, art. 223) (1)
. Ben può rispondere, a titolo di dolo eventuale, in base
al disposto di cui all’art. 40 comma secondo, c.p., dei
reati societari o fallimentari posti in essere dagli am-
ministratori dotati di poteri esecutivi, l’amministratore
privo di delega, quando risulti dimostrata la presenza
di segnali perspicui e peculiari di operazioni anomale, i
quali siano suscettibili, come tali, di assumere la valen-
za di indizi gravi, precisi e concordanti della effettiva
conoscenza, da parte sua, della probabile realizzazione
di eventi pregiudizievoli, con conseguente obbligo di
attivazione, nell’ambito delle sue attribuzioni, di tutte
le possibili iniziative atte ad impedirla. (Mass. Redaz.)
(c.p., art. 40) (2)
(1) La sentenza in epigrafe segue il costante orientamento della giu-
rispudenza di legittimità secondo cui per la sussistenza del reato di
bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di
un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento.
Ex multis, v. Cass. pen., sez. V, 26 giugno 2013, n. 27993, in Ius&Lex
dvd n. 5/2014, ed. La Tribuna; Cass. pen., sez. V, 15 febbraio 2013, n.
7545, ibidem e Cass. pen., sez. V, 31 ottobre 2006, n. 36088, in questa
Rivista 2007, 944. Isolata appare la tesi sostenuta da Cass. pen., sez.

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