Corte di Cassazione Civile sez. I, 9 marzo 2018, n. 5841

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giur giur
Arch. giur. circ. ass. e resp. 6/2018
LEGITTIMITÀ
6/2018 Arch. giur. circ. ass. e resp.
LEGITTIMITÀ
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE
SEZ. I, 9 MARZO 2018, N. 5841
PRES. TIRELLI – EST. VALITUTTI – P.M. CARDINO (CONF.) – RIC. S. S.N.C. ED
ALTRI (AVV.TI LOFOCO, LOVECCHIO E TUCCI) C. COMUNE DI M. (AVV. MISSERINI)
Risarcimento del danno y Compensatio lucri cum
damno y Applicabilità y Condizioni y Derivazione di-
retta del lucro e del danno dallo stesso fatto y Van -
taggio meramente occasionato dall’illecito y Esclu-
sione y Fattispecie relativa a danno prodotto ad un
ente pubblico a seguito del crollo di un edif‌icio in-
teressato da lavori di ristrutturazione ed il vantag-
gio conseguito dal medesimo ente per l’adibizione
dell’area di sedime di detto fabbricato a parcheggio
comunale a pagamento.
. In tema di risarcimento del danno per fatto illecito, il
principio della "compensatio lucri cum damno" - san-
cito dall’art. 1241 c.c. in relazione ai successivi artt.
1223 e 2043 - opera solo quando il vantaggio economico
sia arrecato direttamente dal medesimo fatto concreto
che ha prodotto il danno, ossia quando l’incremento
patrimoniale che il danneggiato ottiene sia una conse-
guenza immediata e diretta del comportamento illecito
che cagiona il danno ma non anche quando il vantag-
gio, del cui valore economico si chieda l’imputazione in
conto al valore economico del pregiudizio, derivi non
dal suddetto comportamento illecito, ma da circostan-
ze ad esso del tutto estranee. (Nella specie, la S.C. ha
confermato la decisione di merito, che aveva escluso
l’operatività della compensazione tra il danno prodotto
ad un ente pubblico a seguito del crollo di un edif‌icio
interessato da lavori di ristrutturazione ed il vantaggio
conseguito dal medesimo ente per l’adibizione dell’a-
rea di sedime di detto fabbricato a parcheggio comu-
nale a pagamento). (c.c., art. 1223; c.c., art. 1241; c.c.,
art. 2043) (1)
(1) In termini, si veda Cass. civ. 12 maggio 2003, n. 7269, in www.
latribunaplus.it. In senso conforme, v. Cass. civ. 20 maggio 2013, n.
12248, ibidem.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con atto di citazione notif‌icato il 21 gennaio 2004
il Comune di M. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribu-
nale di Taranto, la S. s.n.c., nonchè i soci M.N.V., (omis-
sis), chiedendone la condanna in solido al risarcimento
dei danni conseguenti al crollo del fabbricato comunale
oggetto del contratto di appalto intercorso tra le parti, ri-
solto per inadempimento dell’impresa appaltante, all’esito
di un contenzioso conclusosi con la decisione di questa
Corte n. 7773/2001, che accoglieva la domanda dell’ente.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 2241/2006 - per quel
che ancora rileva - accoglieva parzialmente la domanda
del Comune di M. nei confronti della società e dei singoli
soci, condannandoli al pagamento, a titolo di risarcimento
danni, della somma di Euro 1.217.433,36, oltre interessi
legali e spese del giudizio.
2. La Corte d’appello di Lecce, con sentenza n.
433/2012, depositata il 9 luglio 2012, rigettava l’appello
proposto dalla S. e dai soci, confermando in toto l’impu-
gnata sentenza. Il giudice di seconde cure riteneva che il
giudicato sull’an coprisse tutte le questioni relative alla
responsabilità dell’appaltante, che fosse da escludere la
compensatio lucri cum damno, dedotta dagli appellanti,
per avere il Comune di M. - in seguito al crollo - utilizzato
la vasta area del preesistente edif‌icio come parcheggio, e
che la misura del danno, determinata dal Tribunale, fosse
pienamente condivisibile.
3. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ri-
corso la S. s.n.c., nonchè i soci M.N.V., (omissis), aff‌idato a
sei motivi. Il Comune di M. ha replicato con controricorso.
4. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, la S. s.n.c. ed i soci de-
nunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223
e 1227 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
1.1. Si dolgono i ricorrenti del fatto che la Corte d’ap-
pello non abbia tenuto conto della circostanza, da essi
evidenziata in giudizio, che - successivamente al crollo
dell’edif‌icio oggetto del contratto di appalto stipulato tra
la S. s.n.c. ed il Comune di M. - l’area occupata dal fab-
bricato era stata adibita dall’ente pubblico a parcheggio
a pagamento, “in modo da ricavarne apprezzabili vantaggi
economici”. Ne conseguirebbe che la determinazione del
danno da risarcire al Comune sarebbe stata effettuata
dalla Corte territoriale prescindendo dall’operatività del
principio della “compensatio lucri cum damno”, in palese
violazione dell’art. 1223 c.c..
1.2. La censura non può essere accolta.
1.2.1. Va osservato, infatti, che - pure a voler considerare
assodato, sulla base della sentenza di appello, che l’area
in questione fosse stata adibita a parcheggio a pagamen-
to, e non gratuito, circostanza peraltro contestata dall’en-
te pubblico (p. 12 del controricorso) - sta di fatto che,
come esattamente rilevato dalla Corte d’appello, l’effetto
della “compensatio lucri cum damno”, che si riconnette
al criterio di determinazione del risarcimento del danno
ai sensi dell’art. 1223 c.c., si verif‌ica esclusivamente allor-
chè il vantaggio ed il danno siano entrambi conseguenza
immediata e diretta dell’inadempimento, quali suoi effetti
contrapposti, e non quando il fatto generatore del pregiu-
dizio patrimoniale subito dal creditore sia diverso da quello
che invece gli abbia procurato un vantaggio (Cass. sez. un.,
25 novembre 2008, n. 28056; Cass., 2 marzo 2010, n. 4950;
Cass., 20 maggio 2013, n. 12248). Il principio in parola non
trova, in particolare, applicazione nelle ipotesi in cui il
vantaggio patrimoniale non trovi la sua causa immediata
e diretta nell’illecito, generatore del danno, costituendone
questo soltanto l’occasione (Cass. 12 maggio 2003, n. 7269).
1.2.2. Ebbene, è evidente che, nel caso concreto, l’e-
ventuale arricchimento del Comune non deriva in via
immediata e diretta dall’inadempimento dell’impresa, che
ha provocato il crollo dell’edif‌icio, rappresentando tale
evento solo l’occasione - ovvero, come ha osservato il P.G.,
“un mero antecedente fattuale” - del successivo vantaggio
economico dell’ente, conseguendo questo all’utilizzazione
del suolo che il Comune ha fatto, in forza del suo diritto di
proprietà sull’immobile.
1.3. Per tali ragioni, dunque, il motivo deve essere ri-
gettato.
2. Con il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, la
S. s.n.c. ed i soci denunciano la violazione e falsa applica-
zione degli artt. 278, 112, 115 e 116 c.p.c., artt. 1223, 1227 e
2033 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.
2.1. Gli istanti si dolgono del fatto che la Corte d’ap-
pello abbia ritenuto che il giudicato formatosi sull’an pre-
cludesse ogni valutazione in ordine all’effettiva portata
dannosa dell’evento accertato in tale sede, ed - in parti-
colare - se il crollo fosse stato, o meno, totale e, quindi, se
la parte di edif‌icio non crollata fosse ancora utilizzabile
da pare del Comune, ai f‌ini di determinare con esattezza
la sussistenza e l’entità del danno risarcibile. E sotto tale
prof‌ilo, la sentenza impugnata - a parere dei ricorrenti -
sarebbe, altresì, incorsa nel vizio di omessa pronuncia ex
art. 112 c.p.c.. Tale decisione si sarebbe, inoltre, posta in
contrasto con il disposto degli artt. 115 e 116 c.p.c., avendo
la Corte d’appello fondato la sua decisione su una man-
cata o inadeguata valutazione del materiale probatorio in
atti (fotograf‌ie e c.t.u.), senza neppure accertare il valore
dell’immobile prima del sinistro.
Di conseguenza, la Corte avrebbe altresì erroneamente
disposto la restituzione - in violazione dell’art. 2033 c.c.
- di quanto corrisposto al contraente inadempiente a ti-
tolo di corrispettivo dell’appalto, senza tenere conto che,
quanto meno sulle parti non crollate, la società appaltatri-
ce “aveva già svolto i lavori di consolidamento”.
2.2. Le doglianze sono inammissibili.
2.2.1. Va rilevato, infatti, che - contrariamente all’assun-
to dei ricorrenti - la Corte territoriale ha accertato la sussi-
stenza in concreto del danno risarcibile, non solo sulla base
delle decisioni emesse sull’an nell’altro giudizio, ma altresì
sulla scorta degli elementi istruttori (riproduzioni fotogra-
f‌iche del “prima” e del “dopo” sinistro, deduzioni del c.t.u.),
dai quali era emersa la totale inutilizzabilità dei “monconi”
dell’edif‌icio principale, esclusa la palestra costituente un
“manufatto a sè stante il cui valore è stato escluso dal com-
puto del risarcimento”, ed ha condiviso la determinazione
del quantum operata complessivamente dal primo giudice,
sulla base della stessa c.t.u. “completa di chiarimenti”.
Di conseguenza, tenuto conto dell’intervenuta risolu-
zione giudiziale del contratto, il giudice di appello - consi-
derata la totale inutilizzabilità della parte di edif‌icio non
crollata - ha correttamente disposto le restituzione alla
stazione appaltante delle somme corrisposte, a titolo di
sensi dell’art. 2033 c.c..
2.2.2. Orbene, a fronte di tale ricostruzione fattuale
della vicenda, le doglianze in doglianze in esame si tradu-
cono nella richiesta di rivisitazione del merito degli stessi
elementi di prova sottoposti all’esame della corte territo-
riale, e riprodotti nel ricorso certamente inammissibile in
sede di legittimità (Cass., 7 aprile 2017, n. 9097; Cass., 6
aprile 2011, n. 7921). Sotto tale prof‌ilo, va altresì soggiun-
to che - secondo l’insegnamento di questa Corte - anche
la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come
vizio di legittimità, non certamente in riferimento all’ap-
prezzamento delle risultanze probatorie operato dal giu-
dice di merito, ma solo sotto due prof‌ili: qualora il mede-
simo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta
e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare
le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedot-
to la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando
sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base
della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la
sua scienza personale (Cass., 11 ottobre 2016, n. 20382).
Nè l’una nè l’altra evenienza, peraltro, risultano nel
caso di specie dall’esame dell’impugnata sentenza.
2.3. I motivi vanno, di conseguenza, disattesi.
3. Con il quinto motivo di ricorso, la S. ed i soci denuncia-
no la violazione e falsa applicazione dell’art. 1203 c.c., artt.
115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
3.1. Lamentano i ricorrenti che la Corte d’appello abbia
erroneamente posto a loro carico il compenso corrisposto
al tecnico progettista dei lavori aff‌idati alla S. con il con-
tratto di appalto, successivamente risolto, laddove la pat-
tuizione intercorsa tra l’ente ed il professionista sarebbe
stata dichiarata nulla dal Tribunale di Taranto, con sen-
tenza 136/2004, il cui mancato passaggio in giudicato, d’al-
tro canto, non rileverebbe nel caso concreto, considerato
che detta decisione non sarebbe stata contestata dall’ente
pubblico; per cui la stessa ben avrebbe dovuto essere valu-
tata dalla Corte d’appello, ai sensi dell’art. 115 c.p.c..
Deducono, inoltre, gli istanti che, nella specie, non sa-
rebbe neppure conf‌igurabile in capo alla S. s.n.c. ed ai soci
contrariamente a quanto affermato dal giudice di prime
cure - la possibilità di surrogarsi nel credito soddisfatto
dal Comune ex art. 1203 c.c., n. 3, nel caso in cui il pa-
gamento in questione non fosse - in ipotesi - dovuto dal
Comune di M.. Ciò in quanto la surroga postulerebbe che
colui che paga il debito altrui sia tenuto all’adempimento
dell’obbligo, con altri o per altri, laddove - nel caso concre-
to - il presunto debito del Comune di M. nei confronti del
professionista non sussisterebbe, per effetto della menzio-
nata sentenza n. 136/2004.
3.2. Il motivo è in parte infondato ed in parte inammis-
sibile.
3.2.1. Deve, anzitutto, osservarsi che la prova del pas-
saggio in giudicato della sentenza resa in altro giudizio
deve essere fornita, non soltanto producendo la sentenza
stessa, ma anche corredandola della idonea certif‌icazio-
ne ex art. 124 disp. att. c.p.c., dalla quale risulti che la
pronuncia non è soggetta ad impugnazione, non potendosi
ritenere nè che la mancata contestazione di controparte
sull’affermato passaggio in giudicato signif‌ichi ammissio-
ne della circostanza, nè che sia onere della controparte
medesima dimostrare l’impugnabilità della sentenza
(Cass., 29 agosto 2013, n. 19883).
Sotto questo primo prof‌ilo, concernente la violazione
degli artt. 115 e 116 c.p.c., il mezzo è, pertanto, infondato.
3.2.2. Per quanto concerne, poi, la questione relativa
alla surroga ex art. 1203 c.c., va rilevato che essa si palesa

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