Corte Di Cassazione Civile Sez. Un., 29 Febbraio 2016, N. 4004

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giur
Arch. nuova proc. pen. 6/2016
LEGITTIMITÀ
stessa il Giudice delle indagini preliminari della sede «in
analogia a quanto previsto dal codice per le richieste di
riti alternativi formulati con l’opposizione stessa».
2. Il Giudice delle indagini preliminari presso il Tribu-
nale di Lecce, investito della cognizione del predetto pro-
cedimento relativamente alla deliberazione sull’istanza di
messa alla prova, con ordinanza emessa il 6 ottobre 2015,
ha sollevato conf‌litto negativo di competenza, con conse-
guente rimessione degli atti, per la decisione, a questa
Corte di legittimità.
Secondo quel giudice, infatti, l’istituto della messa in
prova, se pur ricompreso nell’ambito dei procedimenti
speciali, conf‌igurandosi sostanzialmente come una causa
di estinzione del reato, in alcun modo può considerarsi
equiparabile ad un rito alternativo, trattandosi di «istituti
aventi un fondamento diverso e che mirano a raggiungere
f‌inalità processuali del tutto distinte», sicché nel caso di
specie deve ritenersi che sia il Tribunale di Lecce in com-
posizione monocratica il giudice competente a decidere in
merito alla eventuale sospensione del procedimento con
messa alla prova dell’imputata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente va dichiarata l’ammissibilità in
rito del conf‌litto, in quanto l’indubbia esistenza di una si-
tuazione di stasi processuale, derivata dal rif‌iuto, formal-
mente manifestato, di due giudici a conoscere dello stesso
procedimento, appare insuperabile senza l’intervento di
questa Suprema Corte.
2. Ciò premesso, il conf‌litto va risolto dichiarando la
competenza del Tribunale di Lecce in composizione mo-
nocratica, con conseguente annullamento senza rinvio
del provvedimento declinatorio di competenza emesso il
4 giugno 2015.
Ritiene infatti il Collegio, come correttamente afferma-
to dal Giudice delle indagini preliminari presso il Tribuna-
le di Lecce nell’ordinanza che ha sollevato il conf‌litto, che
l’art. 461 comma 3 c.p.p., ovvero la norma che individua
nel giudice che ha emesso il decreto penale di condanna
l’autorità giudiziaria destinataria della richiesta dell’im-
putato di ammissione al giudizio abbreviato ovvero di ap-
plicazione della pena a norma dell’art. 444 c.p.p., non è
applicabile, in via analogica, alla diversa ipotesi in cui con
l’opposizione al decreto penale sia stata invece formulata
una richiesta di messa alla prova ex art. 464 bis c.p..
In favore di tale soluzione militano, invero, come corret-
tamente rilevato dal giudice che ha sollevato il conf‌litto, sia
l’obiettiva diversità della richiesta di messa alla prova rispet-
to a quella di ammissione ad un rito alternativo, resa evidente
anche dal dato testuale della mancanza di una espressa pre-
visione in tal senso, da ritenersi indicativa di una volontà del
legislatore di attribuire, in tal caso, la competenza al giudice
chiamato a def‌inire il giudizio conseguente all’opposizione,
sia anche la previsione dell’art. 464 sexies c.p.p., secondo cui
“durante la sospensione del procedimento con messa alla
prova il giudice con le modalità stabilite per il dibattimento,
acquisisce, a richiesta di parte, le prove non rinviabili e quelle
che possono condurre al proscioglimento dell’imputato”.
Deve riconoscersi, infatti, come pure acutamente rilevato
dal giudice che ha sollevato il conf‌litto, che se dovesse esse-
re ritenuto competente il Giudice delle indagini preliminari,
quest’ultimo, del tutto incongruamente, «dovrebbe acquisire
delle prove relativamente al giudizio che, in caso di revoca
dell’ordinanza di sospensione con messa la prova, verrebbe
poi ad essere celebrato, per la restante parte, dal giudice del
dibattimento», con la conseguenza che, «così argomentando
il legislatore avrebbe introdotto una nuova ipotesi di “inci-
dente probatorio”, ulteriormente derogando in maniera tra
l’altro non espressa al principio di oralità della prova».
Occorre altresì considerare che l’art. 464 octies, comma
4 c.p.p., in caso di revoca dell’ordinanza di sospensione del
processo con messa alla prova, prevede espressamente
che “quando l’ordinanza di revoca è divenuta def‌initiva
il procedimento riprende il suo corso dal momento in cui
era rimasto sospeso”, il che induce a ritenere, proprio in
considerazione del carattere “incidentale” dell’istituto e
del conseguimento dell’estinzione del reato solo in caso
di esito positivo della messa in prova, che il procedimento
debba essere trattato, nel caso di opposizione a decreto
penale di condanna, innanzi al giudice davanti al quale
sarà essere espletato il giudizio, che nel caso in specie è
senz’altro quello dibattimentale. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE
SEZ. UN., 29 FEBBRAIO 2016, N. 4004
PRES. ROVELLI – EST. GRECO – P.M. PRATIS (CONF.) – RIC. L.G. (AVV. BELLESI) C.
PROC. GEN. CORTE CASS. ED ALTRO
Ordinamento giudiziario y Procedimento disci-
plinare y Procedimento disciplinare per corruzione
in atti giudiziari y Nei confronti di un magistrato y
Prosecuzione e irrogazione della rimozione dopo la
condanna penale con estinzione del rapporto d’im-
piego y Ammissibilità y Fondamento.
. Il procedimento disciplinare nei confronti del magistra-
to incolpato di corruzione in atti giudiziari può prosegui-
re e condurre all’irrogazione della sanzione della rimozio-
ne anche dopo il giudicato penale di condanna con pena
accessoria di estinzione del rapporto d’impiego, atteso
che gli effetti della sanzione disciplinare permangono,
mentre quelli della sanzione penale possono estinguersi
per amnistia o riabilitazione. (c.p., art. 32 quinquies; c.p.,
art. 151; c.p., art. 178; c.p., art. 319 ter; d.l.vo 23 febbraio
2006, n. 109, art. 4; d.l.vo 23 febbraio 2006, n. 109, art. 12)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il magistrato L.G., già sospeso dalle funzioni e dallo
stipendio e quindi condannato def‌initivamente per il de-
litto di corruzione in atti giudiziari alla pena principale di
quattro anni e nove mesi di reclusione ed alle pene acces-
sorie dell’estinzione del rapporto d’impiego, come previsto
dall’art. 32-quinquies c.p., e dell’interdizione dai pubblici
uff‌ici per tre anni, a norma dell’art. 29 c.p., è stato sottopo-
sto a procedimento disciplinare.

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