Corte di cassazione civile sez. III, 18 settembre 2014, n. 19657

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giur
Arch. loc. e cond. 2/2015
LEGITTIMITÀ
2. - La censura è infondata.
La sentenza impugnata, premesso che il fabbricato
aveva struttura e linee architettoniche residenziali ed era
inserito in un ambito paesaggistico protetto, ha condiviso
l’affermazione del primo giudice secondo la quale era fa-
cilmente evincibile dalle fotograf‌ie prodotte la lesione al
decoro architettonico dell’edif‌icio derivante dalle dimen-
sioni delle due apparecchiature e dalla loro collocazione
quasi “aggrappati” alla gronda del tetto, di cui rompevano
la continuità.
La Corte capitolina ha così fatto corretta applicazione
dell’art. 1120 c.c., tenuto conto che costituisce innovazio-
ne lesiva del decoro architettonico del fabbricato condo-
miniale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri
le linee architettoniche, ma anche quella che comunque
si rif‌letta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a
prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edif‌icio e
che la relativa valutazione spetta al giudice di merito, ed è
insindacabile in sede di legittimità ove non presenti vizi di
motivazione (v. Cass., sent. n. 10350 del 2011).
Deve aggiungersi a ciò che i rapporti tra l’esecutore
delle opere e la pubblica autorità investita della tutela
urbanistica non possono interferire negativamente sulle
posizioni soggettive attribuite agli altri condomini dall’art.
1120 secondo comma, c.c., per la preservazione del decoro
architettonico dell’edif‌icio.
Ne consegue che, al f‌ine di accertare la legittimità, ai
sensi del citato art. 1120, secondo comma, c.c., della in-
novazione eseguita dal proprietario di un piano o di una
porzione di piano, in corrispondenza della sua proprietà
esclusiva, è irrilevante che l’autorità preposta alla indica-
ta tutela abbia autorizzato l’opera (v. Cass., sez. un., sent.
n. 2552 del 1975).
3. - Le esposte argomentazioni danno altresì conto della
infondatezza del terzo motivo, con il quale si denuncia
ancora violazione o falsa applicazione dell’art. 1120 c.c.,
per non essersi la sentenza impugnata pronunciata sulla
idoneità della nuova opera a rif‌lettersi negativamente sul-
l’insieme dell’armonico aspetto dello stabile, limitandosi
a sottolineare il mutamento delle originali linee architet-
toniche. Motivo che si conclude con la formulazione del
seguente quesito di diritto:«Il decoro architettonico - la
cui violazione implica divieto ex art. 1120 c.c. dell’inno-
vazione apportata dal condominio alla cosa comune - non
si verif‌ica quando semplicemente si mutino le originali
linee architettoniche dell’immobile, ma quando la nuova
opera si rif‌letta negativamente ed in concreto sull’insieme
dell’armonico aspetto dello stabile» .
4. - Tornando ora al primo motivo di ricorso, con esso
si deduce omessa e/o insuff‌iciente motivazione per non
avere la sentenza impugnata chiarito come sarebbe sta-
ta alterata, con la innovazione in questione, la funzione
propria della gronda, del tetto e della facciata o la loro
funzionalità.
La illustrazione del motivo si conclude con la formula-
zione del seguente momento di sintesi: «Le premesse sopra
riportate (a: rottura soluzione continuità gronda; b: uso par-
te più alta della facciata) appaiono del, tutto insuff‌icienti a
dare congrua ragione della sintesi enunciata dalla senten-
za impugnata (alterazione destinazione cosa comune). Ciò
sia in quanto non viene affatto individuata quale concreta
“destinazione” sia stata alterata; sia in quanto si tratta di
installazione in sé non estranea ad uso consentito, seppure
più intenso della cosa comune stessa».
5. - La censura è inammissibile per carenza di interesse.
Va, al riguardo, segnalata la duplicità della ratio de-
cidendi della sentenza, che sottolinea, da un lato, che i
condizionatori erano quasi aggrappati alla gronda del
tetto, della quale rompevano la continuità, e, dall’altro,
che essi costituivano elementi che, unitamente al rilievo
dell’arbitrarietà di un uso della parte più alta della fac-
ciata comune, in luogo della parte che delimita la singola
unità immobiliare in corrispondenza dei balconi privati,
determinavano la violazione dell’art. 1102 c.c. , secondo il
quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune,
purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli
altri di farne uso.
Ebbene, attesa tale duplicità di rationes decidendi
che emerge dalla sentenza impugnata, la eventuale in-
suff‌iciente motivazione sulla sussistenza della alterazione
della destinazione della cosa comune e della sottrazione
della stessa all’uso paritetico da parte degli altri condo-
mini, denunciata con il motivo in esame, non determine-
rebbe comunque la caducazione della sentenza, sorretta
dall’altra ratio, già favorevolmente scrutinata con gli altri
motivi di ricorso.
6. - Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.
In applicazione del criterio della soccombenza, le spese
del presente giudizio, che vengono liquidate come da di-
spositivo, devono essere poste a carico dei ricorrenti in
solido. (Omissis)
corte di cAssAzione civile
sez. iii, 18 settembre 2014, n. 19657
pres. AmAtucci – est. lAnzillo – p.m. goliA (diff.) – ric. rAbbi (Avv. ti
nuzzo e nisii) c. nAnni ed AltrA
Responsabilità civile y Cose in custodia y Danno
da cose in custodia y Danno originato da un bene
contiguo ad altro dato in locazione y Responsabilità
del proprietario/locatore y Esclusione y Condizioni
y Sottrazione della possibilità materiale e giuridica
di prevenire ed evitare il danno y Necessità y Fatti-
specie.
. Il proprietario di un bene, cui è sempre riconducibile
il potere-dovere di custodia sotto il prof‌ilo del control-
lo, della manutenzione e dell’interdizione dell’accesso
a terzi non autorizzati, non è tuttavia responsabile dei
danni da esso derivanti, quando lo stesso - contiguo
ad altro suo immobile concesso in locazione e da cui
solo quel bene sia raggiungibile - risulti in concreto
sottratto al suo controllo, per la detenzione qualif‌icata
attribuita al conduttore sul conf‌inante appartamento,
evenienza che inibisce al proprietario l’accesso a quel

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