Corte costituzionale 9 luglio 2013, n. 183 (c.c. 19 giugno 2013)

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Arch. nuova proc. pen. 6/2013
CORTE COSTITUZIONALE
“in re illecita”) e al solo f‌ine di eliderne le conseguenze
patrimoniali (nella specie, recuperare la modesta somma
versata dai sequestratori al truffatore). Dal che deve con-
clusivamente inferirsi che in un numero non trascurabile
di casi le esigenze cautelari potrebbero trovare risposta in
misure diverse e meno aff‌littive della custodia carceraria.
7. Come già precisato da questa Corte, ciò che vulnera
i valori costituzionali non è la presunzione in sé, ma il suo
carattere assoluto, che implica una indiscriminata e totale
negazione di rilievo al principio del «minore sacrif‌icio ne-
cessario». Di contro, la previsione di una presunzione solo
relativa di adeguatezza della custodia carceraria - atta a
realizzare una semplif‌icazione del procedimento probato-
rio suggerita da aspetti ricorrenti del fenomeno criminoso
considerato, ma comunque superabile da elementi di
segno contrario - non eccede i limiti di compatibilità co-
stituzionale, rimanendo per tal verso non censurabile l’ap-
prezzamento legislativo circa l’ordinaria conf‌igurabilità di
esigenze cautelari nel grado più intenso (sentenze n. 57
del 2013, n. 110 del 2012, n. 331, n. 231 e n. 164 del 2011,
n. 265 del 2010).
L’art. 275, comma 3, secondo periodo, c.p.p. va dichiara-
to, pertanto, costituzionalmente illegittimo nella parte in
cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di
colpevolezza in ordine al delitto di cui all’articolo 630 del
codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere,
salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non
sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresì, l’ipo-
tesi in cui siano acquisiti elementi specif‌ici, in relazione
al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari
possono essere soddisfatte con altre misure. (Omissis)
CORTE COSTITUZIONALE
9 LUGLIO 2013, N. 183
(C.C. 19 GIUGNO 2013)
PRES. GALLO – REL. FRIGO – RIC. GIP. TRIB. VELLETRI IN PROC. B.M.
Giudice penale y Incompatibilità y Atti compiuti
nel procedimento y Giudizio di rinvio dopo l’annul-
lamento da parte della Corte di cassazione y Giudice
che ha pronunciato ordinanza di accoglimento o di
rigetto della richiesta di applicazione della discipli-
na del reato continuato ex art. 671 c.p.p. y Mancata
previsione y Illegittimità costituzionale parziale.
. Sono costituzionalmente illegittimi, in riferimento
agli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost., gli artt. 34 e
623, comma 1, lettera a), cp.p., nella parte in cui non
prevedono che non possa partecipare al giudizio di rin-
vio dopo l’annullamento il giudice che ha pronunciato
o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o
rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva
della disciplina del reato continuato, ai sensi dell’art.
671 c.p.p. (c.p.p., art. 34; c.p.p., art. 623) (1)
(1) Nello stesso senso, limitatamente all’art. 34 c.p.p., si vedano
Corte cost. 21 giugno 2012, n. 153, in www.giurcost.org. e Corte cost.
6 luglio 2001, n. 224, in questa Rivista 2001, 493.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza depositata il 26 ottobre 2012, il Giu-
dice per le indagini preliminari del Tribunale di Velletri
ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 111, secondo
comma, della Costituzione questione di legittimità co-
stituzionale degli articoli 34 e 623, comma 1, lettera a),
del codice di procedura penale, nella parte in cui non
prevedono l’incompatibilità a partecipare al giudizio di
rinvio del giudice che, quale giudice dell’esecuzione, abbia
pronunciato ordinanza di accoglimento o di rigetto della
richiesta di applicazione della disciplina del reato conti-
nuato, annullata dalla Corte di cassazione.
Il rimettente riferisce di avere rigettato, con ordinanza
del 18 maggio 2011, in veste di giudice dell’esecuzione,
la richiesta di un condannato intesa ad ottenere, ai sensi
dell’art. 671 c.p.p., l’applicazione della disciplina della
continuazione in rapporto a due reati di rapina aggrava-
ta, commessi in concorso con altra persona e giudicati
separatamente. La decisione era basata sulla ritenuta
impossibilità di ricondurre i due episodi delittuosi ad un
medesimo disegno criminoso, trattandosi di fatti commes-
si in giorni diversi, in danno di differenti istituti di credito
e in diverse località.
Il provvedimento era stato annullato con rinvio dalla
Corte di cassazione, per incompletezza della motivazione
in ordine allo stato di tossicodipendenza del ricorrente:
condizione non menzionata nell’ordinanza impugnata
e che doveva essere presa invece in considerazione alla
luce del disposto del comma 1 dell’art. 671 c.p.p., in forza
del quale «fra gli elementi che incidono sull’applicazione
del reato continuato vi è la consumazione di più reati in
relazione allo stato di tossicodipendenza». Gli atti erano
stati quindi rinviati allo stesso Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Velletri, aff‌inché esaminasse
«in piena autonomia di giudizio» l’istanza del condannato,
colmando le lacune motivazionali.
Ritenendo di trovarsi in situazione di incompatibilità, il
giudice a quo aveva rimesso gli atti al magistrato designa-
to per tale evenienza, sulla base delle tabelle giudiziarie.
Il magistrato coordinatore della sezione, tuttavia, aveva
nuovamente assegnato il procedimento al rimettente ri-
levando come la Corte di cassazione avesse chiarito che è
legittima l’ordinanza emessa, in sede di giudizio di rinvio,
dallo stesso giudice autore del provvedimento annullato,
in quanto la diversità della persona f‌isica del giudice chia-
mato a decidere dopo l’annullamento con rinvio è imposta
dall’art. 623, comma 1, lettera d), c.p.p. solo con riferimen-
to alle sentenze.
Tanto premesso, il giudice a quo osserva come, se doves-
se pronunciarsi nuovamente sull’istanza del condannato,
tornerebbe a respingerla, essendo - a suo avviso - l’art. 671
c.p.p. comunque inapplicabile nel caso in esame. Secondo
quanto emerge dalla sentenza di condanna relativa alla
prima delle due rapine, infatti, l’istante ha dichiarato di
essersi determinato a commettere il reato in quanto aveva
contratto debiti con spacciatori di sostanze stupefacenti.
Tale dichiarazione - priva peraltro di elementi di riscontro
- non varrebbe a rendere operante la previsione normativa

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