Corte Costituzionale 8 marzo 2019, n. 40 (ud. 23 gennaio 2019)

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Rivista penale 3/2019
Corte costituzionale
CORTE COSTITUZIONALE
8 MARZO 2019, N. 40
(UD. 23 GENNAIO 2019)
PRES. LATTANZI – REL. CARTABIA – RIC. CORTE APP. TRIESTE IN PROC. J.F. C.M.
Stupefacenti y Attività illecite in genere y Produ-
zione, traff‌ico e detenzione illeciti di sostanze stu-
pefacenti o psicotrope y Trattamento sanzionatorio
y Pena minima edittale di anni otto di reclusione,
anziché sei y Contrasto con gli artt. 3, 25 e 27 Cost.
y Illegittimità costituzionale parziale.
. È costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli
artt. 3, 25 e 27 Cost., l’art. 73, comma 1, D.P.R. 9 ot-
tobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia
di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,
prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza), nella parte in cui in cui prevede la
pena minima edittale della reclusione nella misura di
otto anni anziché di sei anni. (d.p.r. 9 ottobre 1990, n.
309, art. 73) (1)
(1) Con questa importante decisione la Consulta interviene in mate-
ria di stupefacenti ridef‌inendo il trattamento sanzionatorio dei fatti
di "non lieve entità". Infatti, proprio a causa della stratif‌icazione degli
interventi legislativi e giurisprudenziali, si è venuta progressivamen-
te a creare un profondo divario tra le pene previste per i fatti di non
lieve entità e quelle per i fatti lievi, senza che il legislatore sia inter-
venuto per colmarlo. Secondo la Consulta l’eccessiva differenza tra il
minimo edittale di otto anni previsto per i fatti di non lieve entità ed il
massimo edittale di quattro anni stabilito per i fatti lievi, costituisce
un’anomalia sanzionatoria in contrasto con i principi costituzionali
di uguaglianza, proporzionalità, ragionevolezza e funzione rieducati-
va della pena, con il rischio di dar luogo a sperequazioni punitive, in
eccesso o in difetto, oltre che a irragionevoli difformità applicative in
un numero rilevante di condotte. La riduzione a sei anni della pena
prevista per i primi, è stata ritenuta, pertanto, la misura adeguata a
sanzionare i casi che si collocano in una "zona grigia", al conf‌ine fra le
due fattispecie di reato, "al margine inferiore delle categorie di reati
più gravi o a quello superiore della categoria dei reati meno gravi".
Con la sentenza 13 luglio 2017, n. 179, in www.latribunaplus.it, la
Consulta, dichiarandone, tuttavia, l’inammissibilià, aveva già ravvi-
sato plurime violazioni della Costituzione nell’ampia forbice edittale
creatasi tra il minimo di pena – previsto nella misura di anni otto
di reclusione per i fatti non lievi – concernenti le droghe "pesanti"
ai sensi dell’art. 73, comma 1, del D.P.R. n. 309/1990 e il massimo di
pena – previsto nella misura di anni quattro di reclusione – per i fatti
lievi concernenti sia droghe "pesanti" sia droghe "leggere" ai sensi
dell’art. 73, comma 5, del medesimo decreto. Si rammenta, inoltre,
che l’inasprimento di pena per le fattispecie non lievi di traff‌ico di
stupefacenti si è determinato a seguito di altra sentenza della Corte
costituzionale: la n. 32 del 25 febbraio 2014, pubblicata per esteso in
questa Rivista 2014, 371.
RITENUTO IN FATTO
1.– Con ordinanza del 17 marzo 2017 (reg. ord. n. 113
del 2017), la Corte d’appello di Trieste ha sollevato que-
stioni di legittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, del
309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli
stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), per
contrasto con gli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione, nella
parte in cui, per effetto della sentenza n. 32 del 2014 della
Corte Costituzionale, prevede la pena minima edittale di
otto anni anziché di quella di sei anni introdotta con l’art.
4 bis del decreto legge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure
urgenti per garantire la sicurezza ed i f‌inanziamenti per
le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità
dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire
il recupero di tossicodipendenti recidivi e modif‌iche al testo
unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti
e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei
relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Pre-
sidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), convertito,
con modif‌icazioni, nella legge 21 febbraio 2006, n. 49.
Le questioni sono state sollevate nell’ambito di un giu-
dizio avente ad oggetto una fattispecie di detenzione di
circa cento grammi di cocaina, occultati all’interno di tre
condensatori per computer, contenuti all’interno di un
pacco proveniente dall’Argentina. Il giudice di prime cure
ha ritenuto che la sostanza stupefacente fosse destinata
in via prevalente alla cessione a terzi, così escludendo,
tenuto conto della quantità di tale sostanza sequestrata
e di altri elementi di contesto, la possibilità di inquadrare
il fatto nell’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73, comma
5, del D.P.R. n. 309 del 1990. In esito a giudizio abbreviato,
l’imputato è stato condannato alla pena di anni quattro di
reclusione e 14.000 euro di multa, previo riconoscimento
delle attenuanti generiche e l’applicazione della dimi-
nuente per il rito.
1.1.– L’ordinanza precisa che il difensore dell’imputato,
pur non contestando la responsabilità penale per il fatto
ascritto, ne ha chiesto la riqualif‌icazione, ai sensi del ci-
tato art. 73, comma 5. In via subordinata, permanendo la
qualif‌icazione giuridica del fatto di cui all’imputazione, ha
posto in dubbio la legittimità costituzionale dell’art. 73,
comma 1, del D.P.R. n. 309 del 1990. La difesa privata si
duole del fatto che tale disposizione prevede oggi, all’esi-
to di una tortuosa evoluzione normativa, un trattamento
sanzionatorio con limite edittale minimo di otto anni di
reclusione, pari al doppio del massimo previsto per il rea-
to minore. Infatti, a seguito della sentenza n. 32 del 2014,

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