Corte di Cassazione italiana e Corti europee

Autoredi Vincenzo Carbone
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Buongiorno, buongiorno a tutti, partecipo volentieri a questi dibattiti, perché in ognuno di noi c’è l’animo del giurista e non si può non compiere una riflessione su quelli che sono i compiti del giurista.

Prima cosa importante! mi è stato dato il titolo di Eccellenza, ma francamente non lo accetto, perché tengo a ribadire che il magistrato qui presente, Primo Presidente della Corte di cassazione, è un magistrato come tutti gli altri.

Seconda cosa importante! Quando uno comincia a studiare e fa il giurista, deve pensare quali sono i propri compiti. Fare il giurista non significa soltanto andare a fare la spesa, dormire, mangiare eccetera; richiede prima di tutto una attività anche intellettuale più che complessa.

Questa mattina è stato citato “Lo spirito del diritto romano” di Jhering, anzi di von Jhering, perché l’opera è richiamata nella prefazione redatta da Benedetto Croce a “La lotta per il diritto” dello stesso Autore, nell’edizione del 1932, pubblicata da Laterza, come monito contro l’ormai vincente nazionalismo giuridico. io ritengo utile ricordare anche un’altra celebre opera del grande giurista tedesco: Scherz und Ernst in der Jurisprudenz (Serio e faceto nella giurisprudenza).

In un passo di questo celebre libro Rudolf von Jhering sogna di andare in paradiso e di diventare (lo sto raccontando in una maniera più semplificata) giurista; incontra una specie di San Pietro, al quale chiede: cosa devo fare per diventare giurista? E l’altro risponde: Bene, c’è la macchina spacca capelli, c’è un capello, lo devi spaccare in 999 parti. E a sua volta von Jhering domanda: ma poi divento giurista?. No, risponde il vecchio, non basta. ogni capello va fatto in altre 999 parti. A questo punto von Jhering si sveglia e dice: no, preferisco non fare il giurista in questo modo, ma vivere concretamente ed operare, non spaccare capelli.

Il discorso è proprio questo. oggi si è pienamente consapevoli del fatto che la giurisprudenza non è soltanto, l’applicazione meccanica di una semplice norma per risolvere un caso concreto. La soluzione anche del singolo caso ha un riflesso ester-no, anche un riflesso economico sulla affidabilità del Paese e sul problema degli investimenti, non è solamente la decisione su Tizio e Caio. in ogni processo, chiunque sia il giudice che deve intervenire, c’è un frammento di tante verità e la decisione non riguarda soltanto le parti coinvolte nel singolo processo, perché opera non solo inter partes, ma erga omnes. Dobbiamo pensare questo quando facciamo il nostro mestiere.

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E veniamo alla seconda riflessione sul problema.

Nel momento in cui il giurista si occupa di qualche cosa, trova per lo più una disposizione fatta dal legislatore. Noi, per intenderci, dobbiamo fare una piccola distinzione tra disposizione e norma. Disposizione è quella che fa il legislatore, norma è quello che la disposizione è divenuta. Pensate, per esempio, ad un Luigi XiV, ad un bellissimo mobile fatto all’epoca da un artigiano qualsiasi che poi col tempo si è invecchiato, si è abbellito, è diventato un pezzo di antiquariato, o un quadro d’autore. Lo stesso vale per la norma giuridica1.

La disposizione originaria fatta dal legislatore diventa norma attraverso l’interpretazione. Guardate che non si tratta soltanto di esaltare l’importanza dell’interpretazione: si tratta del diritto vivente (das lebende Recht).

Fornisco due esempi: uno è il povero Napoleone che, quando vide le prime interpretazioni del suo codice, si mise le mani nei capelli e disse “mon code este perdu”, il mio codice è perduto, tutti lo interpretano, che disperazione! È una disperazione comune a tutti gli autocrati.

A tale riguardo, pensate, per fare un esempio, all’opera della Corte costituzionale, che non dichiara la disposizione incostituzionale per come è scritta, ma per come è interpretata; il che dimostra che l’interpretazione aggiunge un tassello rilevante a ciò che è la semplice disposizione.

Potrei fare delle citazioni. C’è un passo di Emilio Betti a pag. 17 di quel meraviglioso libro sull’interpretazione del ’48 Le categorie civilistiche dell’interpretazione, milano, 1948, che successivamente è diventata “La teoria generale dell’interpretazione”: “il diritto non è, ma si fa”, testuali parole.

Virgilio Andrioli, altro grande giurista e processualista eccelso, ripeteva spesso che quello che non fa il legislatore, lo fa il giudice, se è capace. Se è capace! Se voi pen-sate a tutto questo, comprenderete bene anche che noi cominciamo un bel mattino ad applicare una norma e poi questa opera di interpretazione crea un principio2.

Questa è la funzione della giurisprudenza: quando uno bussa alla porta, la norma, se ce l’ho, la applico, altrimenti la ricostruisco.

C’è l’analogia legis e quella iuris, ci sono i principi generali costituzionali, si ricorre anche, nella nuova dimensione del dialogo tra le Corti, al diritto straniero per ricostruire il diritto interno; non voglio citare i casi specifici ma voi capite bene ov-Page 33 viamente a cosa mi riferisco in un momento così delicato. io non posso dire: manca la norma, non rispondo al cittadino perché non c’è una norma; è un compito fondamentale del giudice dare una risposta concreta.

Basti riflettere su alcuni istituti-cardine del nostro ordinamento, in cui si evidenzia l’evoluzione tra: – “la proprietà” (terriera) e “le proprietà” (care a Pugliatti), con l’emergere della proprietà edilizia, di quelle industriali, del diritto di autore, delle attività cinematografiche e della Tv; – “la famiglia legittima” e “le famiglie” (di fatto, economica, non più more uxorio); – “la filiazione” legittima nel contesto del matrimonio e “le filiazioni” fuori dal matrimonio (anche da rapporto adulterino o incestuoso con la precisazione, finalmente, che l’anomalia del rapporto uomo-donna non debba ricadere sull’innocente e inconsapevole nascituro); – la “patria potestas” e la “bigenitorialità” (legge 8 febbraio 2006, n. 54); – “la successione” e “le successioni ”, con l’attenzione ai patti successori; – “il contratto” tra soggetti in posizione paritaria, come i gentiluomini o i borghesi, e “i contratti”, come quello tra produttore mondiale e dipendenti e consumatori sparsi in tutti i paesi, o sostituendo il “consumatore planetario” all’ “acquirente locale”; – il risarcimento del danno aquiliano (dall’originaria limitazione ai diritti reali) e i risarcimenti del danno esteso alla tutela dei diritti di credito e poi degli interessi diffusi (caso italia nostra del 1978), degli interessi legittimi fino alla lettura costituzionale del danno non patrimoniale esteso ai valori costituzionali. – “la società” nata con scopo di lucro (art. 2247 c.c.) – tutelata dal c.c. 1942, a differenza delle altre persone giuridiche, i cui limiti (art. 12 e art. 17) sono stati rimossi solo con leggi recenti (l. 15.5.1997 n.127 e d.p.r. 10.2.2000 n. 361) – e “le società”, nelle loro infinte tipologie, in cui la struttura sociale che rende i titolare in una posizione meno responsabile, anche sotto il profilo delle conseguenze patrimoniali rispetto alla persona fisica è utilizzata per scopi diversi da quello originario e codicistico.

E la “pluralizzazione” non si ferma entro i confini del diritto civile, ma si estende anche a quello pubblico: dallo Stato ai soggetti che compongono la repubblica nel nuovo art. 114 Cost., dall’Amministrazione pubblica alle “pubbliche amministrazioni”, dall’“interesse pubblico” alla pluralità di “interessi pubblici”, statali e locali, non sempre coerenti tra di loro, mediati dal procedimento amministrativo.

Preferisco ricorrere alla letteratura greca per non citare le roventi vicende del nostro quotidiano.

C’è una bellissima commedia di Menandro che si chiama Epitrepontes, se volete anche “dell’arbitrato”. L’Autore ci racconta di un litigio tra due persone Sirisco e Page 34 Davo, che avevano trovato un bambino e dei gioielli e litigavano perché uno voleva solo i gioielli, l’altro diceva: io mi piglio il bambino, ma mi devi dare i gioielli. La cosa divertente è l’intervento di Smicrine, il saggio del villaggio, il quale dice: io sono disposto a risolvere la lite a patto che poi non litighiate più. il bellissimo passo di Menandro sottolinea che i gioielli non erano un frutto spontaneo del bosco, erano gioielli fatti dall’oro che la mamma aveva lasciato vicino al bambino, perché voleva che chi si fosse preso il bambino prendesse anche i gioielli.

La decisione di Smicrine è questa: chi si prende il bambino, ha diritto anche ai gioielli, e così fu fatto e non se ne parlò più.

Non c’è una norma, non è che a quel punto hanno dovuto trovare una norma, aspettare che il legislatore facesse, diciamo, un testamento biologico per il bambino oppure per quanto riguarda i gioielli. È chiaro il discorso, il discorso che abbiamo fatto di recente con una decisione che ha suscitato tante polemiche: la giurisprudenza ha il compito di risolvere la lite ed evitare che i cittadini continuino ulteriormente a litigare.

Vi è ancora un’altra questione da affrontare sempre a proposito della giurisprudenza: la giurisprudenza non è sempre la stessa, opera diversamente a seconda delle tipologie di contrasto.

Mi spiego meglio. il cittadino può dire: non mi sta bene la tassa che mi ha imposto lo Stato, non mi sta bene l’azione penale che mi fa lo Stato, non mi sta bene la disposizione del Comune, della regione o dello Stato ecc.; è una giurisdizione sull’atto, c’è un atto al quale il cittadino si ribella.

Un altro settore, ganz verschieden, completamente, diverso, è la giurisdizione sul rapporto di due cittadini in lite tra di loro. A questo punto lo Stato istituisce un giudice per risolvere la controversia.

A noi ciò sembra ovvio, ma la storia ci dimostra che non è sempre stato così; i litiganti si accordavano fra loro e con gli arbitri, arbitri bravi, per es. Bartolo da Sassoferrato, Baldo degli Ubaldi.

A quel tempo, avevano veramente arbitri bravi, ma non vi era pagamento a carico dello Stato; era una giustizia...

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