Reati contro la fede pubblica: falsitá in atti pubblici

AutoreDaniela Pelizzari
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Il contrasto che si segnala nasce dalla diversa valenza attribuita alla c.d. legge di privatizzazione n. 29/93, che ha assimilato il rapporto di lavoro degli impiegati pubblici a quello dei dipendenti di imprese private e dal diverso modo di valutare gli obblighi nascenti dal contratto di lavoro, a seconda che si tratti di lavoro alle dipendenze di ente pubblico o privato.

La norma di cui si discute l'applicazione è l'art. 479 c.p., rubricato «Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici». La fattispecie presa in esame è relativa alla infedele timbratura del cartellino orario relativo all'attività svolta dal personale dipendente di pubbliche amministrazioni interessate dalla riforma che ne ha determinato la c.d. privatizzazione.

La giurisprudenza fino ad ora costante riteneva che, in tema di reati contro la fede pubblica, anche a seguito del decreto legislativo di privatizzazione del pubblico impiego, il cartellino orario e la scheda magnetica che attestano l'attività prestata dai pubblici dipendenti (nella fattispecie in esame si trattava di medici dipendenti di Aziende Sanitarie Locali) costituivano a tutti gli effetti atto pubblico. Infatti, i medesimi erano utilizzati per la certificazione dell'attività prestata dai dipendenti e quindi strumenti per accertare effetti rilevanti per la P.A., sia in materia di prova della presenza dei dipendenti sul luogo di lavoro, sia in materia di possibilità di controllo di qualità e quantità del servizio offerto (nella specie trattavasi di assistenza sanitaria prestata dalla struttura, che, si sottolineava da parte della Suprema Corte, forniva un servizio considerato essenziale per lo Stato).

Da queste considerazioni la Corte faceva discendere, quale logica conseguenza, la configurabilità del reato di falso ideologico in atto pubblico in capo al medico...

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